Purgatorio (68 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Or sai nostri atti e di che fummo rei:

               
se forse a nome vuo’ saper chi semo,

90
           
tempo non è di dire, e non saprei.   

               
Farotti ben di me volere scemo:

               
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo   

93
           
per ben dolermi prima ch’a lo stremo.”   

               
Quali ne la tristizia di Ligurgo   

               
si fer due figli a riveder la madre,

96
           
tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,

               
quand’ io odo nomar sé stesso il padre   

               
mio e de li altri miei miglior che mai

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rime d’amor usar dolci e leggiadre;

               
e sanza udire e dir pensoso andai

               
lunga fïata rimirando lui,

102
         
né, per lo foco, in là più m’appressai.

               
Poi che di riguardar pasciuto fui,

               
tutto m’offersi pronto al suo servigio

105
         
con l’affermar che fa credere altrui.

               
Ed elli a me: “Tu lasci tal vestigio,

               
per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,   

108
         
che Letè nol può tòrre né far bigio.

               
Ma se le tue parole or ver giuraro,   

               
dimmi che è cagion per che dimostri

111
         
nel dire e nel guardar d’avermi caro.”

               
E io a lui: “Li dolci detti vostri,   

               
che, quanto durerà l’uso moderno,   

114
         
faranno cari ancora i loro incostri.”

               
“O frate,” disse, “questi ch’io ti cerno   

               
col dito,” e additò un spirto innanzi,

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“fu miglior fabbro del parlar materno.   

               
Versi d’amore e prose di romanzi

               
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti   

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che quel di Lemosì credon ch’avanzi.

               
A voce più ch’al ver drizzan li volti,

               
e così ferman sua oppinïone

123
         
prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.

               
Così fer molti antichi di Guittone,   

               
di grido in grido pur lui dando pregio,

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fin che l’ha vinto il ver con più persone.

               
Or se tu hai sì ampio privilegio,   

               
che licito ti sia l’andare al chiostro

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nel quale è Cristo abate del collegio,

               
falli per me un dir d’un paternostro,

               
quanto bisogna a noi di questo mondo,

132
         
dove poter peccar non è più nostro.”

               
Poi, forse per dar luogo altrui secondo   

               
che presso avea, disparve per lo foco,

135
         
come per l’acqua il pesce andando al fondo.

               
Io mi fei al mostrato innanzi un poco,

               
e dissi ch’al suo nome il mio disire

138
         
apparecchiava grazïoso loco.

               
El cominciò liberamente a dire:

               
“Tan m’abellis vostre cortes deman,
   

141
         
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.

               
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;

               
consiros vei la passada folor,

144
         
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.

               
Ara vos prec, per aquella valor

               
que vos guida al som de l’escalina,

               
sovenha vos a temps de ma dolor!”

148
         
Poi s’ascose nel foco che li affina.

PURGATORIO XXVII

               
Sì come quando i primi raggi vibra   

               
là dove il suo fattor lo sangue sparse,

3
             
cadendo Ibero sotto l’alta Libra,   

               
e l’onde in Gange da nona rïarse,

               
sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,

6
             
come l’angel di Dio lieto ci apparse.   

               
Fuor de la fiamma stava in su la riva,

               
e cantava
“Beati mundo corde!”

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in voce assai più che la nostra viva.

               
Poscia “Più non si va, se pria non morde,   

               
anime sante, il foco: intrate in esso,

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e al cantar di là non siate sorde,”

               
ci disse come noi li fummo presso;   

               
per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,

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qual è colui che ne la fossa è messo.

               
In su le man commesse mi protesi,   

               
guardando il foco e imaginando forte   

18
           
umani corpi già veduti accesi.

               
Volsersi verso me le buone scorte;   

               
e Virgilio mi disse: “Figliuol mio,

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qui può esser tormento, ma non morte.   

               
Ricorditi, ricorditi! E se io

               
sovresso Gerïon ti guidai salvo,

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che farò ora presso più a Dio?

               
Credi per certo che se dentro a l’alvo   

               
di questa fiamma stessi ben mille anni,

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non ti potrebbe far d’un capel calvo.

               
E se tu forse credi ch’io t’inganni,   

               
fatti ver’ lei, e fatti far credenza

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con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.

               
Pon giù omai, pon giù ogne temenza;

               
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!”

33
           
E io pur fermo e contra coscïenza.   

               
Quando mi vide star pur fermo e duro,

               
turbato un poco disse: “Or vedi, figlio:

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tra Bëatrice e te è questo muro.”

               
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio   

               
Piramo in su la morte, e riguardolla,

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allor che ’l gelso diventò vermiglio;

               
così, la mia durezza fatta solla,

               
mi volsi al savio duca, udendo il nome

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che ne la mente sempre mi rampolla.

               
Ond’ ei crollò la fronte e disse: “Come!

               
volenci star di qua?”; indi sorrise

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come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.   

               
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,

               
pregando Stazio che venisse retro,   

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che pria per lunga strada ci divise.

               
Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro

               
gittato mi sarei per rinfrescarmi,

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tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro.

               
Lo dolce padre mio, per confortarmi,

               
pur di Beatrice ragionando andava,

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dicendo: “Li occhi suoi già veder parmi.”   

               
Guidavaci una voce che cantava   

               
di là; e noi, attenti pur a lei,

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venimmo fuor là ove si montava.

               
“Venite, benedicti Patris mei,”
   

               
sonò dentro a un lume che lì era,

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tal che mi vinse e guardar nol potei.

               
“Lo sol sen va,” soggiunse, “e vien la sera;   

               
non v’arrestate, ma studiate il passo,

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mentre che l’occidente non si annera.”

               
Dritta salia la via per entro ’l sasso   

               
verso tal parte ch’io toglieva i raggi

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dinanzi a me del sol ch’era già basso.

               
E di pochi scaglion levammo i saggi,   

               
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,

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sentimmo dietro e io e li miei saggi.

               
E pria che ’n tutte le sue parti immense

               
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,

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e notte avesse tutte sue dispense,

               
ciascun di noi d’un grado fece letto;

               
ché la natura del monte ci affranse

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la possa del salir più e ’l diletto.

               
Quali si stanno ruminando manse   

               
le capre, state rapide e proterve   

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sovra le cime avante che sien pranse,

               
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,

               
guardate dal pastor, che ’n su la verga

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poggiato s’è e lor di posa serve;

               
e quale il mandrïan che fori alberga,

               
lungo il pecuglio suo queto pernotta,

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guardando perché fiera non lo sperga;

               
tali eravamo tutti e tre allotta,

               
io come capra, ed ei come pastori,

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fasciati quinci e quindi d’alta grotta.

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