Purgatorio (72 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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lo gel che m’era intorno al cor ristretto,

               
spirito e acqua fessi, e con angoscia

99
           
de la bocca e de li occhi uscì del petto.

               
Ella, pur ferma in su la detta coscia

               
del carro stando, a le sustanze pie

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volse le sue parole così poscia:

               
“Voi vigilate ne l’etterno die,   

   

               
sì che notte né sonno a voi non fura

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passo che faccia il secol per sue vie;

               
onde la mia risposta è con più cura

               
che m’intenda colui che di là piagne,

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perché sia colpa e duol d’una misura.

               
Non pur per ovra de le rote magne,   

               
che drizzan ciascun seme ad alcun fine

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secondo che le stelle son compagne,

               
ma per larghezza di grazie divine,

               
che sì alti vapori hanno a lor piova,

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che nostre viste là non van vicine,

               
questi fu tal ne la sua vita nova   

               
virtüalmente, ch’ogne abito destro

117
         
fatto averebbe in lui mirabil prova.

               
Ma tanto più maligno e più silvestro   

   

               
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,

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quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.

               
Alcun tempo il sostenni col mio volto:

               
mostrando li occhi giovanetti a lui,

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meco il menava in dritta parte vòlto.

               
Sì tosto come in su la soglia fui   

               
di mia seconda etade e mutai vita,

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questi si tolse a me, e diessi altrui.

               
Quando di carne a spirto era salita,

               
e bellezza e virtù cresciuta m’era,

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fu’ io a lui men cara e men gradita;

               
e volse i passi suoi per via non vera,

               
imagini di ben seguendo false,

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che nulla promession rendono intera.

               
Né l’impetrare ispirazion mi valse,

               
con le quali e in sogno e altrimenti   

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lo rivocai: sì poco a lui ne calse!

               
Tanto giù cadde, che tutti argomenti

               
a la salute sua eran già corti,

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fuor che mostrarli le perdute genti.

               
Per questo visitai l’uscio d’i morti,   

               
e a colui che l’ha qua sù condotto,

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li preghi miei, piangendo, furon porti.

               
Alto fato di Dio sarebbe rotto,   

               
se Letè si passasse e tal vivanda

               
fosse gustata sanza alcuno scotto

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di pentimento che lagrime spanda.”

PURGATORIO XXXI

               
“O tu che se’ di là dal fiume sacro,”   

               
volgendo suo parlare a me per punta,   

3
             
che pur per taglio m’era paruto acro,

               
ricominciò, seguendo sanza cunta,

               
“dì, dì se questo è vero; a tanta accusa   

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tua confession conviene esser congiunta.”

               
Era la mia virtù tanto confusa,

               
che la voce si mosse, e pria si spense

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che da li organi suoi fosse dischiusa.

               
Poco sofferse; poi disse: “Che pense?   

               
Rispondi a me; ché le memorie triste

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in te non sono ancor da l’acqua offense.”

               
Confusione e paura insieme miste

               
mi pinsero un tal “si” fuor de la bocca,

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al quale intender fuor mestier le viste.

               
Come balestro frange, quando scocca   

               
da troppa tesa, la sua corda e l’arco,

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e con men foga l’asta il segno tocca,

               
sì scoppia’ io sottesso grave carco,

               
fuori sgorgando lagrime e sospiri,

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e la voce allentò per lo suo varco.

               
Ond’ ella a me: “Per entro i mie’ disiri,   

               
che ti menavano ad amar lo bene

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di là dal qual non è a che s’aspiri,

               
quai fossi attraversati o quai catene   

               
trovasti, per che del passare innanzi

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dovessiti così spogliar la spene?

               
E quali agevolezze o quali avanzi

               
ne la fronte de li altri si mostraro,

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per che dovessi lor passeggiare anzi?”

               
Dopo la tratta d’un sospiro amaro,   

               
a pena ebbi la voce che rispuose,

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e le labbra a fatica la formaro.

               
Piangendo dissi: “Le presenti cose   

               
col falso lor piacer volser miei passi,

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tosto che ’l vostro viso si nascose.”   

               
Ed ella: “Se tacessi o se negassi   

               
ciò che confessi, non fora men nota

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la colpa tua: da tal giudice sassi!

               
Ma quando scoppia de la propria gota

               
l’accusa del peccato, in nostra corte

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rivolge sé contra ’l taglio la rota.

               
Tuttavia, perché mo vergogna porte

               
del tuo errore, e perché altra volta,

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udendo le serene, sie più forte,   

               
pon giù il seme del piangere e ascolta:   

               
sì udirai come in contraria parte   

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mover dovieti mia carne sepolta.

               
Mai non t’appresentò natura o arte

               
piacer, quanto le belle membra in ch’io

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rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;

               
e se ’l sommo piacer sì ti fallio

               
per la mia morte, qual cosa mortale

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dovea poi trarre te nel suo disio?

               
Ben ti dovevi, per lo primo strale   

               
de le cose fallaci, levar suso

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di retro a me che non era più tale.

               
Non ti dovea gravar le penne in giuso,   

               
ad aspettar più colpo, o pargoletta

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o altra novità con sì breve uso.

               
Novo augelletto due o tre aspetta;

               
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti   

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rete si spiega indarno o si saetta.”

               
Quali fanciulli, vergognando, muti   

               
con li occhi a terra stannosi, ascoltando

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e sé riconoscendo e ripentuti,

               
tal mi stav’ io; ed ella disse: “Quando

               
per udir se’ dolente, alza la barba,   

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e prenderai più doglia riguardando.”

               
Con men di resistenza si dibarba   

               
robusto cerro, o vero al nostral vento

72
           
o vero a quel de la terra di Iarba,

               
ch’io non levai al suo comando il mento;

               
e quando per la barba il viso chiese,

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ben conobbi il velen de l’argomento.

               
E come la mia faccia si distese,

               
posarsi quelle prime creature   

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da loro aspersïon l’occhio comprese;

               
e le mie luci, ancor poco sicure,

               
vider Beatrice volta in su la fiera

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ch’è sola una persona in due nature.   

               
Sotto ’l suo velo e oltre la rivera   

               
vincer pariemi più sé stessa antica,

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vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.

               
Di penter sì mi punse ivi l’ortica,   

               
che di tutte altre cose qual mi torse

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più nel suo amor, più mi si fé nemica.

               
Tanta riconoscenza il cor mi morse,

               
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,

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salsi colei che la cagion mi porse.

               
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,   

               
la donna ch’io avea trovata sola

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sopra me vidi, e dicea: “Tiemmi, tiemmi!”

               
Tratto m’avea nel fiume infin la gola,

               
e tirandosi me dietro sen giva

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sovresso l’acqua lieve come scola.

               
Quando fui presso a la beata riva,

               
“Asperges me”
sì dolcemente udissi,

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che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.

               
La bella donna ne le braccia aprissi;

               
abbracciommi la testa e mi sommerse

102
         
ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

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