Purgatorio (65 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Ed elli a me: “De l’etterno consiglio   

               
cade vertù ne l’acqua e ne la pianta

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rimasa dietro, ond’ io sì m’assottiglio.

               
Tutta esta gente che piangendo canta

               
per seguitar la gola oltra misura,

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in fame e ’n sete qui si rifà santa.

               
Di bere e di mangiar n’accende cura

               
l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo

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che si distende su per sua verdura.

               
E non pur una volta, questo spazzo

               
girando, si rinfresca nostra pena:

72
           
io dico pena, e dovria dir sollazzo,   

               
ché quella voglia a li alberi ci mena

               
che menò Cristo lieto a dire
‘Elì,’

75
           
quando ne liberò con la sua vena.”

               
E io a lui: “Forese, da quel dì   

               
nel qual mutasti mondo a miglior vita,

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cinqu’ anni non son vòlti infino a qui.

               
Se prima fu la possa in te finita

               
di peccar più, che sovvenisse l’ora

81
           
del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,

               
come se’ tu qua sù venuto ancora?

               
Io ti credea trovar là giù di sotto,

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dove tempo per tempo si ristora.”

               
Ond’ elli a me: “Sì tosto m’ha condotto   

               
a ber lo dolce assenzo d’i martìri

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la Nella mia con suo pianger dirotto.

               
Con suoi prieghi devoti e con sospiri

               
tratto m’ha de la costa ove s’aspetta,

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e liberato m’ha de li altri giri.

               
Tanto è a Dio più cara e più diletta

               
la vedovella mia, che molto amai,

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quanto in bene operare è più soletta;

               
ché la Barbagia di Sardigna assai   

               
ne le femmine sue più è pudica

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che la Barbagia dov’ io la lasciai.

               
O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?

               
Tempo futuro m’è già nel cospetto,   

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cui non sarà quest’ ora molto antica,

               
nel qual sarà in pergamo interdetto

               
a le sfacciate donne fiorentine

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l’andar mostrando con le poppe il petto.

               
Quai barbare fuor mai, quai saracine,

               
cui bisognasse, par farle ir coperte,

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o spiritali o altre discipline?

               
Ma se le svergognate fosser certe

               
di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,

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già per urlare avrian le bocche aperte;

               
ché, se l’antiveder qui non m’inganna,

               
prima fien triste che le guance impeli

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colui che mo si consola con nanna.

               
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!

               
vedi che non pur io, ma questa gente

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tutta rimira là dove ’l sol veli.”

               
Per ch’io a lui: “Se tu riduci a mente   

               
qual fosti meco, e qual io teco fui,

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ancor fia grave il memorar presente.

               
Di quella vita mi volse costui

               
che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda

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vi si mostrò la suora di colui,”   

               
e ’l sol mostrai; “costui per la profonda

               
notte menato m’ha d’i veri morti

123
         
con questa vera carne che ’l seconda.

               
Indi m’han tratto sù li suoi conforti,

               
salendo e rigirando la montagna

126
         
che drizza voi che ’l mondo fece torti.   

               
Tanto dice di farmi sua compagna

               
che io sarò là dove fia Beatrice;   

129
         
quivi convien che sanza lui rimagna.

               
Virgilio è questi che così mi dice,”

               
e addita’lo; “e quest’ altro è quell’ ombra

               
per cuï scosse dianzi ogne pendice

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lo vostro regno, che da sé lo sgombra.”

PURGATORIO XXIV

               
Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento   

               
facea, ma ragionando andavam forte,

3
             
sì come nave pinta da buon vento;

               
e l’ombre, che parean cose rimorte,   

               
per le fosse de li occhi ammirazione

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traean di me, di mio vivere accorte.

               
E io, continüando al mio sermone,

               
dissi: “Ella sen va sù forse più tarda   

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che non farebbe, per altrui cagione.

               
Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda;   

               
dimmi s’io veggio da notar persona

12
           
tra questa gente che sì mi riguarda.”

               
“La mia sorella, che tra bella e buona   

               
non so qual fosse più, trïunfa lieta

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ne l’alto Olimpo già di sua corona.”

               
Sì disse prima; e poi: “Qui non si vieta   

               
di nominar ciascun, da ch’è sì munta

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nostra sembianza via per la dïeta.

               
“Questi,” e mostrò col dito, “è Bonagiunta,   

               
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia

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di là da lui più che l’altre trapunta   

               
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:

               
dal Torso fu, e purga per digiuno

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l’anguille di Bolsena e la vernaccia.”

               
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;

               
e del nomar parean tutti contenti,   

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sì ch’io però non vidi un atto bruno.

               
Vidi per fame a vòto usar li denti

               
Ubaldin da la Pila e Bonifazio   

   

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che pasturò col rocco molte genti.

               
Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio   

               
già di bere a Forlì con men secchezza,

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e sì fu tal, che non si sentì sazio.

               
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza   

               
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,

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che più parea di me aver contezza.

               
El mormorava; e non so che “Gentucca”   

               
sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga

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de la giustizia che sì li pilucca.

               
“O anima,” diss’ io, “che par sì vaga   

               
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,

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e te e me col tuo parlare appaga.”

               
“Femmina è nata, e non porta ancor benda,”   

               
cominciò el, “che ti farà piacere

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la mia città, come ch’om la riprenda.

               
Tu te n’andrai con questo antivedere:

               
se nel mio mormorar prendesti errore,

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dichiareranti ancor le cose vere.

               
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore   

               
trasse le nove rime, cominciando

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‘Donne ch’avete intelletto d’amore.’ ”

               
E io a lui: “I’ mi son un che, quando   

               
Amor mi spira, noto, e a quel modo

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ch’e’ ditta dentro vo significando.”

               
“O frate, issa vegg’ io,” diss’ elli, “il nodo   

               
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne   

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di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!

               
Io veggio ben come le vostre penne

               
di retro al dittator sen vanno strette,

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che de le nostre certo non avvenne;

               
e qual più a gradire oltre si mette,

               
non vede più da l’uno a l’altro stilo”;

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e, quasi contentato, si tacette.

               
Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,   

               
alcuna volta in aere fanno schiera,

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poi volan più a fretta e vanno in filo,

               
così tutta la gente che lì era,

               
volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,

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e per magrezza e per voler leggera.

               
E come l’uom che di trottare è lasso,

               
lascia andar li compagni, e sì passeggia

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fin che si sfoghi l’affollar del casso,

               
sì lasciò trapassar la santa greggia

               
Forese, e dietro meco sen veniva,

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dicendo: “Quando fia ch’io ti riveggia?”   

               
“Non so,” rispuos’io lui, “quant’ io mi viva;   

               
ma già non fïa il tornar mio tantosto,

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ch’io non sia col voler prima a la riva;

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