Purgatorio (69 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Poco parer potea lì del di fori;

               
ma, per quel poco, vedea io le stelle   

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di lor solere e più chiare e maggiori.

               
Sì ruminando e sì mirando in quelle,

               
mi prese il sonno; il sonno che sovente,

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anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.

               
Ne l’ora, credo, che de l’orïente   

               
prima raggiò nel monte Citerea,

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che di foco d’amor par sempre ardente,

               
giovane e bella in sogno mi parea

               
donna vedere andar per una landa

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cogliendo fiori; e cantando dicea:

               
“Sappia qualunque il mio nome dimanda   

               
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno

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le belle mani a farmi una ghirlanda.

               
Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;

               
ma mia suora Rachel mai non si smaga

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dal suo miraglio, e siede tutto giorno.

               
Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga

               
com’ io de l’addornarmi con le mani;

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lei lo vedere, e me l’ovrare appaga.”

               
E già per li splendori antelucani,

               
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,   

111
         
quanto, tornando, albergan men lontani,

               
le tenebre fuggian da tutti lati,   

               
e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,

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veggendo i gran maestri già levati.

               
“Quel dolce pome che per tanti rami

               
cercando va la cura de’ mortali,

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oggi porrà in pace le tue fami.”

               
Virgilio inverso me queste cotali

               
parole usò; e mai non furo strenne

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che fosser di piacere a queste iguali.

               
Tanto voler sopra voler mi venne

               
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi   

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al volo mi sentia crescer le penne.

               
Come la scala tutta sotto noi

               
fu corsa e fummo in su ’l grado superno,   

126
         
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,

               
e disse: “Il temporal foco e l’etterno   

               
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte

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dov’ io per me più oltre non discerno.

               
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;

               
lo tuo piacere omai prendi per duce;   

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fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.

               
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;

               
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli

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che qui la terra sol da sé produce.   

               
Mentre che vegnan lieti li occhi belli

               
che, lagrimando, a te venir mi fenno,

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seder ti puoi e puoi andar tra elli.

               
Non aspettar mio dir più né mio cenno;   

               
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,

               
e fallo fora non fare a suo senno:

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per ch’io te sovra te corono e mitrio.”   

PURGATORIO XXVIII

               
Vago già di cercar dentro e dintorno   

               
la divina foresta spessa e viva,   

3
             
ch’a li occhi temperava il novo giorno,

               
sanza più aspettar, lasciai la riva,

               
prendendo la campagna lento lento   

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su per lo suol che d’ogne parte auliva.

               
Un’aura dolce, sanza mutamento   

               
avere in sé, mi feria per la fronte

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non di più colpo che soave vento;

               
per cui le fronde, tremolando, pronte   

               
tutte quante piegavano a la parte

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u’ la prim’ ombra gitta il santo monte;

               
non però dal loro esser dritto sparte   

               
tanto, che li augelletti per le cime

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lasciasser d’operare ogne lor arte;

               
ma con piena letizia l’ore prime,

               
cantando, ricevieno intra le foglie,

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che tenevan bordone a le sue rime,

               
tal qual di ramo in ramo si raccoglie   

               
per la pineta in su ’l lito di Chiassi,

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quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie.

               
Già m’avean trasportato i lenti passi   

               
dentro a la selva antica tanto, ch’io

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non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi;

               
ed ecco più andar mi tolse un rio,   

               
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde

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piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.

               
Tutte l’acque che son di qua più monde,

               
parrieno avere in sé mistura alcuna

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verso di quella, che nulla nasconde,

               
avvegna che si mova bruna bruna

               
sotto l’ombra perpetüa, che mai   

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raggiar non lascia sole ivi né luna.

               
Coi piè ristetti e con li occhi passai

               
di là dal fiumicello, per mirare

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la gran varïazion d’i freschi mai;

               
e là m’apparve, sì com’ elli appare

               
subitamente cosa che disvia

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per maraviglia tutto altro pensare,

               
una donna soletta che si gia   

               
e cantando e scegliendo fior da fiore

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ond’ era pinta tutta la sua via.

               
“Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore   

   

               
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti

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che soglion esser testimon del core,

               
vegnati in voglia di trarreti avanti,”

               
diss’ io a lei, “verso questa rivera,

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tanto ch’io possa intender che tu canti.

               
Tu mi fai rimembrar dove e qual era   

               
Proserpina nel tempo che perdette

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la madre lei, ed ella primavera.”

               
Come si volge, con le piante strette   

               
a terra e intra sé, donna che balli,

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e piede innanzi piede a pena mette,

               
volsesi in su i vermigli e in su i gialli

               
fioretti verso me, non altrimenti

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che vergine che li occhi onesti avvalli;

               
e fece i prieghi miei esser contenti,

               
sì appressando sé, che ’l dolce suono   

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veniva a me co’ suoi intendimenti.

               
Tosto che fu là dove l’erbe sono

               
bagnate già da l’onde del bel fiume,

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di levar li occhi suoi mi fece dono.

               
Non credo che splendesse tanto lume   

               
sotto le ciglia a Venere, trafitta

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dal figlio fuor di tutto suo costume.

               
Ella ridea da l’altra riva dritta,   

               
trattando più color con le sue mani,

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che l’alta terra sanza seme gitta.

               
Tre passi ci facea il fiume lontani;   

   

               
ma Elesponto, là ’ve passò Serse,

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ancora freno a tutti orgogli umani,

               
più odio da Leandro non sofferse

               
per mareggiare intra Sesto e Abido,

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che quel da me perch’ allor non s’aperse.

               
“Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido,”   

   

               
cominciò ella, “in questo luogo eletto

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a l’umana natura per suo nido,

               
maravigliando tienvi alcun sospetto;

               
ma luce rende il salmo
Delectasti
,   

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che puote disnebbiar vostro intelletto.

               
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,   

               
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta

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ad ogne tua question tanto che basti.”

               
“L’acqua,” diss’ io, “e ’l suon de la foresta   

               
impugnan dentro a me novella fede

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di cosa ch’io udi’ contraria a questa.”

               
Ond’ ella: “Io dicerò come procede

               
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,

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e purgherò la nebbia che ti fiede.   

               
Lo sommo ben, che solo esso a sé piace,   

               
fé l’uom buono e a bene, e questo loco

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diede per arr’ a lui d’etterna pace.

               
Per sua difalta qui dimorò poco;

               
per sua difalta in pianto e in affanno

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cambiò onesto riso e dolce gioco.

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