Authors: Dante
quand’ io udi’ “Venite; qui si varca”
→
parlare in modo soave e benigno,
45
qual non si sente in questa mortal marca.
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
48
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
→
“Qui lugent”
affermando esser beati,
51
ch’avran di consolar l’anime donne.
“Che hai che pur inver’ la terra guati?”
→
la guida mia incominciò a dirmi,
54
poco amendue da l’angel sormontati.
E io: “Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon ch’a sé mi piega,
57
sì ch’io non posso dal pensar partirmi.”
“Vedesti,” disse, “quell’antica strega
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
60
vedesti come l’uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira,
indi si volge al grido e si protende
66
per lo disio del pasto che là il tira,
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
69
n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.
Com’ io nel quinto giro fui dischiuso,
→
vidi gente per esso che piangea,
72
giacendo a terra tutta volta in giuso.
“Adhaesit pavimento anima mea”
→
sentia dir lor con sì alti sospiri,
75
che la parola a pena s’intendea.
“O eletti di Dio, li cui soffriri
→
e giustizia e speranza fa men duri,
78
drizzate noi verso li alti saliri.”
“Se voi venite dal giacer sicuri,
→
e volete trovar la via più tosto,
81
le vostre destre sien sempre di fori.”
Così pregò ’l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond’ elli m’assentì con lieto cenno
87
ciò che chiedea la vista del disio.
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
90
le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: “Spirto in cui pianger matura
quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi,
→
93
sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
→
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
96
cosa di là ond’ io vivendo mossi.”
Ed elli a me: “Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
→
una fiumana bella, e del suo nome
102
lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova’ io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
→
105
che piuma sembran tutte l’altre some.
La mia conversïone, omè!, fu tarda;
→
→
ma, come fatto fui roman pastore,
108
così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non s’acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
111
per che di questa in me s’accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
114
or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
→
in purgazion de l’anime converse;
117
e nulla pena il monte ha più amara.
Sì come l’occhio nostro non s’aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
120
così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
123
così giustizia qui stretti ne tene,
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
126
tanto staremo immobili e distesi.”
Io m’era inginocchiato e volea dire;
→
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
129
solo ascoltando, del mio reverire,
“Qual cagion,” disse, “in giù così ti torse?”
E io a lui: “Per vostra dignitate
→
132
mia coscïenza dritto mi rimorse.”
“Drizza le gambe, lèvati sù, frate!”
→
rispuose; “non errar: conservo sono
→
135
teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono
→
che dice
‘Neque nubent’
intendesti,
138
ben puoi veder perch’ io così ragiono.
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
→
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;
145
e questa sola di là m’è rimasa.”
Contra miglior voler voler mal pugna;
→
onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
3
trassi de l’acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
→
luoghi spediti pur lungo la roccia,
6
come si va per muro stretto a’ merli;
ché la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
9
da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.
Maladetta sie tu, antica lupa,
→
che più che tutte l’altre bestie hai preda
12
per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda
→
le condizion di qua giù trasmutarsi,
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
18
pietosamente piangere e lagnarsi;
e per ventura udi’ “Dolce Maria!”
→
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
21
come fa donna che in parturir sia;
e seguitar: “Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
24
dove sponesti il tuo portato santo.”
Seguentemente intesi: “O buon Fabrizio,
→
con povertà volesti anzi virtute
27
che gran ricchezza posseder con vizio.”
Queste parole m’eran sì piaciute,
ch’io mi trassi oltre per aver contezza
30
di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor de la larghezza
→
che fece Niccolò a le pulcelle,
33
per condurre ad onor lor giovinezza.
“O anima che tanto ben favelle,
→
dimmi chi fosti,” dissi, “e perché sola
36
tu queste degne lode rinovelle.
Non fia sanza mercé la tua parola,
s’io ritorno a compiér lo cammin corto
39
di quella vita ch’al termine vola.”
Ed elli: “Io ti dirò, non per conforto
→
ch’io attenda di là, ma perché tanta
42
grazia in te luce prima che sie morto.