Purgatorio (61 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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quand’ io udi’ “Venite; qui si varca”   

               
parlare in modo soave e benigno,

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qual non si sente in questa mortal marca.

               
Con l’ali aperte, che parean di cigno,

               
volseci in sù colui che sì parlonne

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tra due pareti del duro macigno.

               
Mosse le penne poi e ventilonne,   

               
“Qui lugent”
affermando esser beati,

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ch’avran di consolar l’anime donne.

               
“Che hai che pur inver’ la terra guati?”   

               
la guida mia incominciò a dirmi,

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poco amendue da l’angel sormontati.

               
E io: “Con tanta sospeccion fa irmi

               
novella visïon ch’a sé mi piega,

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sì ch’io non posso dal pensar partirmi.”

               
“Vedesti,” disse, “quell’antica strega

               
che sola sovr’ a noi omai si piagne;

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vedesti come l’uom da lei si slega.

               
Bastiti, e batti a terra le calcagne;

               
li occhi rivolgi al logoro che gira

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lo rege etterno con le rote magne.”   

               
Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira,

               
indi si volge al grido e si protende

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per lo disio del pasto che là il tira,

               
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende

               
la roccia per dar via a chi va suso,

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n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.

               
Com’ io nel quinto giro fui dischiuso,   

               
vidi gente per esso che piangea,

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giacendo a terra tutta volta in giuso.

               
“Adhaesit pavimento anima mea”
   

               
sentia dir lor con sì alti sospiri,

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che la parola a pena s’intendea.

               
“O eletti di Dio, li cui soffriri   

               
e giustizia e speranza fa men duri,

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drizzate noi verso li alti saliri.”

               
“Se voi venite dal giacer sicuri,   

               
e volete trovar la via più tosto,

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le vostre destre sien sempre di fori.”

               
Così pregò ’l poeta, e sì risposto

               
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io

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nel parlare avvisai l’altro nascosto,   

               
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:

               
ond’ elli m’assentì con lieto cenno

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ciò che chiedea la vista del disio.

               
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,

               
trassimi sovra quella creatura

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le cui parole pria notar mi fenno,

               
dicendo: “Spirto in cui pianger matura

               
quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi,   

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sosta un poco per me tua maggior cura.

               
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi   

               
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri

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cosa di là ond’ io vivendo mossi.”

               
Ed elli a me: “Perché i nostri diretri

               
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima

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scias quod ego fui successor Petri
.   

               
Intra Sïestri e Chiaveri s’adima   

               
una fiumana bella, e del suo nome

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lo titol del mio sangue fa sua cima.

               
Un mese e poco più prova’ io come

               
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,   

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che piuma sembran tutte l’altre some.

               
La mia conversïone, omè!, fu tarda;   

   

               
ma, come fatto fui roman pastore,

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così scopersi la vita bugiarda.

               
Vidi che lì non s’acquetava il core,

               
né più salir potiesi in quella vita;

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per che di questa in me s’accese amore.

               
Fino a quel punto misera e partita

               
da Dio anima fui, del tutto avara;

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or, come vedi, qui ne son punita.

               
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara   

               
in purgazion de l’anime converse;

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e nulla pena il monte ha più amara.

               
Sì come l’occhio nostro non s’aderse

               
in alto, fisso a le cose terrene,

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così giustizia qui a terra il merse.

               
Come avarizia spense a ciascun bene

               
lo nostro amore, onde operar perdési,

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così giustizia qui stretti ne tene,

               
ne’ piedi e ne le man legati e presi;

               
e quanto fia piacer del giusto Sire,

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tanto staremo immobili e distesi.”

               
Io m’era inginocchiato e volea dire;   

               
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,

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solo ascoltando, del mio reverire,

               
“Qual cagion,” disse, “in giù così ti torse?”

               
E io a lui: “Per vostra dignitate   

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mia coscïenza dritto mi rimorse.”

               
“Drizza le gambe, lèvati sù, frate!”   

               
rispuose; “non errar: conservo sono   

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teco e con li altri ad una podestate.

               
Se mai quel santo evangelico suono   

               
che dice
‘Neque nubent’
intendesti,

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ben puoi veder perch’ io così ragiono.

               
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;

               
ché la tua stanza mio pianger disagia,

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col qual maturo ciò che tu dicesti.   

               
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,   

               
buona da sé, pur che la nostra casa

               
non faccia lei per essempro malvagia;

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e questa sola di là m’è rimasa.”

PURGATORIO XX

               
Contra miglior voler voler mal pugna;   

               
onde contra ’l piacer mio, per piacerli,

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trassi de l’acqua non sazia la spugna.

               
Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li   

               
luoghi spediti pur lungo la roccia,

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come si va per muro stretto a’ merli;

               
ché la gente che fonde a goccia a goccia

               
per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,

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da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.

               
Maladetta sie tu, antica lupa,   

               
che più che tutte l’altre bestie hai preda

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per la tua fame sanza fine cupa!

               
O ciel, nel cui girar par che si creda   

               
le condizion di qua giù trasmutarsi,

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quando verrà per cui questa disceda?   

               
Noi andavam con passi lenti e scarsi,

               
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia

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pietosamente piangere e lagnarsi;

               
e per ventura udi’ “Dolce Maria!”   

               
dinanzi a noi chiamar così nel pianto

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come fa donna che in parturir sia;

               
e seguitar: “Povera fosti tanto,

               
quanto veder si può per quello ospizio

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dove sponesti il tuo portato santo.”

               
Seguentemente intesi: “O buon Fabrizio,   

               
con povertà volesti anzi virtute

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che gran ricchezza posseder con vizio.”

               
Queste parole m’eran sì piaciute,

               
ch’io mi trassi oltre per aver contezza

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di quello spirto onde parean venute.

               
Esso parlava ancor de la larghezza   

               
che fece Niccolò a le pulcelle,

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per condurre ad onor lor giovinezza.

               
“O anima che tanto ben favelle,   

               
dimmi chi fosti,” dissi, “e perché sola

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tu queste degne lode rinovelle.

               
Non fia sanza mercé la tua parola,

               
s’io ritorno a compiér lo cammin corto

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di quella vita ch’al termine vola.”

               
Ed elli: “Io ti dirò, non per conforto   

               
ch’io attenda di là, ma perché tanta

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grazia in te luce prima che sie morto.

               
Io fui radice de la mala pianta   

               
che la terra cristiana tutta aduggia,

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sì che buon frutto rado se ne schianta.

               
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia   

               
potesser, tosto ne saria vendetta;

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e io la cheggio a lui che tutto giuggia.

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