Gai-Jin (220 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Buon riposo, e grazie per il vostro ottimo lavoro. A proposito” aggiunse sir William che non desiderava congedarlo e al tempo stesso temeva che se fosse rimasto non avrebbe resistito alla tentazione di sottoporgli le prove di André per avere il suo parere. “Quando rivedrete Anjo?”

“Tra un paio di settimane, quando avrà finito il laudano, senza il quale soffrirebbe le pene dell'inferno.”

“Per lui non c'è alcuna speranza?”

“No. Gli rimangono pochi mesi di vita, gli esami lo dicono chiaramente, ha gli organi spappolati. E' Yoshi il nostro uomo.” Un altro enorme sbadiglio. “Pensate che l'incendio sia stato ordinato da Anjo o da Yoshi, o da entrambi?”

“Dall'uno, dall'altro o da nessuno dei due, non lo sapremo mai.” Sir William seguì con lo sguardo Babcott che si avviava verso la porta.

“George, un parere medico, se una donna fosse sotto l'effetto dei sedativi potrebbe essere violentata senza accorgersene?” Babcott sgranò gli occhi e si voltò, la stanchezza si era volatilizzata.

“Perché diavolo mi chiedete una cosa del genere?”

“E' una semplice curiosità che mi è venuta sentendovi parlare del laudano. Un paio di giorni fa Zergeyev ha espresso delle stravaganti teorie sulle droghe, sui loro effetti positivi e negativi. E' possibile una cosa del genere?”

Pur senza lasciarsi troppo convincere da quella spiegazione, Babcott annuì. Sapendo quanto la mente di Willie fosse sofisticata si chiese che cosa nascondesse quella domanda, ma capì che non era il caso di insistere.

“Se la dose fosse forte e lo stupratore agisse senza troppa violenza, sì, è possibile.” Aspettò, ma poiché sir William si limitava ad annuire lo salutò con la mano per non disturbare i suoi pensieri e se ne andò.

Sir William riaprì la cartellina.

Mentre rileggeva la lettera d'accompagnamento di André gli tremavano le mani.

E' chiarissimo. La catena di eventi è cominciata con la droga che George le ha dato a Kanagawa.

Se lei si fosse svegliata quell'uomo l'avrebbe uccisa, non c'è dubbio. E così è stata risparmiata e allo stesso tempo rovinata. Ma perchè quell'uomo non l'ha uccisa dopo, perchè l'ha lasciata vivere? E' insensato. E che cos'è successo alla Legazione francese quando è tornato la seconda volta? Se non fosse stato per George...

E George? Se le ha dato quella droga per aiutarla a dormire, affinché non impazzisse, avrebbe potuto darla anche ad André per liberare da un ricattatore la donna che evidentemente ama... Una dose micidiale della stessa droga...

George Babcott? Buon Dio, devo aver perso la testa. Non farebbe mai una cosa del genere!

Davvero?

E Angélique? Non può aver architettato tutto questo!

Davvero?

Cosa diavolo farò io?

Capitolo 60


 

Scusate, signore” disse Bertram.

“C'è la signora Angélique.”

“Falli entrare e poi va' pure. Ceneremo alle nove. Assicurati che la Belle non parta senza la mia posta.”

“Sissignore. E' sola, non è accompagnata dal signor Skye.”

Sir William si alzò stancamente dalla poltrona, si sentiva infelice.

Le lettere di André erano a faccia in giù sulla scrivania.

Lei entrò. Era attraente come sempre, ma in qualche modo diversa, il viso fisso in un'espressione impenetrabile. Soprabito, cappellino e guanti. Il nero le dona, pensò sir William, fa risaltare la sua carnagione, com'è bella e giovane, più giovane di Vertinskya. Strano, ha pianto?

“Buonasera, come state, Angélique?”

“Oh, bene, grazie” rispose lei con voce inespressiva. Non aveva la solita vivacità. “Il signor Skye vi ha avvisato che questa sera sarei passata per chiedervi di convalidare la mia firma?”

“Sì.” Confuso dalle immagini evocate con tanta precisione da André, sir William andò alla scrivania. “Io... per favore, accomodatevi.” Lei ubbidì. Il suo sguardo luminoso fu attraversato da un'ombra.

“Qualcosa non va?” le chiese con dolcezza.

“Niente. Io... oggi pomeriggio ho saputo che André... è stato ucciso. Avrei voluto passare prima, ma...” Con uno sforzo evidente Angélique allontanò quel pensiero, prese la busta dalla borsetta e distese il foglio sulla scrivania.

“Per favore, come lo devo firmare?”

Sir William unì le mani sconcertato che lo spettro di André avesse di nuovo invaso la stanza senza che fosse stato lui a chiamarlo. “Non ne sono sicuro. Il signor Skye mi ha detto che, tra le altre condizioni poste dalla signora Tess Struan, avete accettato di non usare il vostro titolo da sposata, ho capito bene?”

“Per favore, leggete la lettera se lo desiderate” disse lei con voce incolore.

“Grazie, ma non è necessario” rispose sir William resistendo alla bruciante curiosità di leggere il breve scritto. “I termini del vostro accordo con Tess non mi riguardano. A meno che non abbiate bisogno di un consiglio.” Angélique scosse la testa.

“Bene, allora... Skye ha una teoria legale, non sono sicuro che abbia ragione, ma non vedo perchè dovrei oppormi. Voi rinunciate per sempre al titolo di “signora”, ma come Skye ha giustamente osservato, soltanto dopo che avrete firmato e dunque vi conviene firmare “signora Angélique Struan, nata Angélique Richaud”, così sarebbe inclusa ogni possibilità.” Mentre Angélique scriveva la osservò senza riuscire a distogliere la mente dalla terribile storia che André aveva esumato dalla sua tomba di fuoco. Non è possibile che lei riesca a nasconderci tutte queste cose, non è possibile, dannazione.

“Ecco” disse Angélique. “Adesso è fatta.”

“Mi sento in obbligo di chiedervi: siete sicura di fare la cosa giusta?

Non è che qualcuno vi stia costringendo a firmare questo scritto, qualunque cosa contenga... ?”

“Lo firmo di mia spontanea volontà. Tess... mi ha offerto una sistemazione, sir William. E in verità... generosa. Alcune delle condizioni non sono ben formulate e forse qualche aggiustamento sarà possibile, ma Malcolm era suo figlio, ha il diritto di essere sconvolta.” Angélique si alzò e dopo aver infilato la lettera nella busta la ripose nella borsetta oscillando tra il desiderio di andarsene subito e quello di restare.

“Grazie.”

“Rimanete ancora un istante. Vi farebbe piacere cenare con me e con qualche altro ospite domani sera? Pensavo di invitare Jamie e la signorina Maureen.”

“Ehm, sì, grazie, penso di sì, ma io...

Sono simpatici e lei è molto dolce. Secondo voi si sposeranno?”

“Se lui non lo farà sarà un grosso errore... lei sarà subito impalmata da un altro.” D'impulso sir William aggiunse: “E molto triste quello che è capitato ad André. Henri vi ha raccontato come lo hanno trovato?”.

Vide che i suoi occhi si riempivano di lacrime e che stava perdendo il controllo. “Mi dispiace, non volevo turbarvi.”

“Non è stata colpa vostra, ero già turbata... non riesco ancora a... un'ora fa Henri mi ha detto come André e lei, insieme... la volontà di Dio, si, è triste e allo stesso tempo così bello.”

Angélique si sedette e si asciugò le lacrime. Era quasi svenuta alla notizia e, non appena Henri se ne era andato, era corsa in chiesa a inginocchiarsi davanti alla statua della Vergine benedetta. L'edificio devastato dal fuoco le era sembrato altissimo senza il tetto, ma le candele erano accese e come sempre vi regnava la pace. L'aveva ringraziata, disperatamente, per averla liberata da quella schiavitù e con un improvviso e sincero lampo di comprensione l'aveva ringraziata anche per aver liberato André dal suo tormento, per averli liberati entrambi.

“Adesso capisco. Oh, Madre benedetta, grazie per aver fatto scendere la Tua benedizione su di noi, per aver benedetto me e per aver benedetto lui, che sulla terra non ha conosciuto pace, ma che adesso è insieme a lei tra le Tue braccia, sia fatta la Tua volontà...”

La tristezza e la gratitudine quasi le impedivano di vedere sir William.

“Henri mi ha raccontato della malattia di André. Poveretto, dev'essere stato terribile, e poi lui era tanto innamorato, ma sul serio, alla follia. Con me era gentile benché, a dire il vero” proseguì spinta dal bisogno di dire a voce alta la verità, “fosse a volte anche terribile, ma sempre un amico. Era soltanto follemente innamorato di Hinodeh, per lui nient'altro al mondo aveva importanza e questo lo giustifica. L'avevate mai vista?”

“No, non l'ho mai vista e non conoscevo nemmeno il suo nome.” Nonostante la decisione di non indagare, sir William chiese: “In che senso era terribile?”.

Angélique si asciugò le lacrime con il fazzoletto e con voce triste e senza rancore spiegò: “André sapeva di mio padre e di mio zio e ha approfittato di questo e di altro per sottomettermi e per chiedermi continuamente del denaro che non avevo: mi faceva promesse folli e, per essere sinceri, anche minacce”.

Il suo sguardo era limpido, senza malizia né astuzia. Era soltanto grata a Dio e alla Vergine benedetta per averli liberati entrambi. Il passato era morto con lui, ogni ricordo e ogni male erano consumati. “E' stata la volontà di Dio” disse con fervore. “Ne sono contenta e triste al tempo stesso. Perché non dimentichiamo gli aspetti brutti e ricordiamo soltanto quelli belli? In questo mondo c'è già tanto male, non vi pare?”

“Sì, ce n'è molto” rispose commosso sir William con lo sguardo perso sulla miniatura di Vertinskya.

“Oh, sì.”

Quell'insolita emozione di sir William stupì Angélique che prima ancora di rendersene conto gli confidò la sua paura segreta: “Voi siete saggio e io ho bisogno di dirlo a qualcuno: mi sento innocente come mai prima d'ora ma è Malcolm a preoccuparmi, perchè di lui non mi rimane niente, né il nome, né il dagherrotipo, non è mai riuscito, non ho nessun suo ritratto e a poco a poco i suoi lineamenti dentro di me stanno svanendo, ogni giorno di più.

Mi spaventa” disse sciogliendosi in un pianto silenzioso.

Sir William non riusciva a muoversi. “E come se Malcolm non fosse mai esistito, come se il mio soggiorno a Yokohama non fosse stato che un... théátre macabre.

“Sono sposata e al tempo stesso non lo sono, sono accusata di cose tremende che non sono mai accadute o che non ho mai desiderato, sono innocente e al tempo stesso non lo sono, sono odiata da Tess quando tutto ciò che volevo era il bene del mio Malcolm, oh, sì, sapevo che era molto ricco e che mio padre e io non lo eravamo, almeno credo, ma non ho mai fatto niente per danneggiarlo, Malcolm mi amava e voleva sposarmi e io ho fatto del mio meglio, giuro che è così, e adesso che è morto mi sforzo con tutta me stessa di fare la cosa giusta, sono sola e lui se ne è andato e devo pensare al mio futuro.

Ho paura, quando l'ho incontrato ero una bambina, adesso è diverso, è tutto successo troppo in fretta e la cosa peggiore è che non riesco nemmeno a ricordare il suo viso, si sta dissolvendo e non rimane niente... Povero Malcolm.”

Capitolo 61


 

Ai confini della Terra di Nessuno un'ombra si spostò nel crepuscolo dietro una casetta in costruzione. Poi un'altra. Due uomini erano acquattati in attesa. Fra le tettoie, le baracche e le capanne quasi finite del villaggio provvisorio, e animato da un bisbiglio sommesso, si sentì il pianto subito soffocato di un bambino.

Colline e vallate di spazzatura e relitti che fino a qualche giorno prima dominavano il paesaggio della Terra di Nessuno erano state spianate dall'incendio e quanto rimaneva giaceva sotto una coltre di cenere dalla quale salivano qui e là leggere colonne di fumo. Sporgeva solamente l'imboccatura di mattoni del pozzo.

Uno dei due uomini era Phillip Tyrer.

Sgattaiolò verso il pozzo e si accovacciò.

Si guardò intorno cauto. Era quasi sicuro di non essere stato visto.

Poco lontano la Città Ubriaca era una desolazione di macerie fumanti e contorte, di tettoie provvisorie e di precari rifugi di tela cerata. Intorno a sé vide soltanto pochi litigiosi che si contendevano la birra e il gin rubati e si riparavano dal freddo dietro vecchi barili.

Guardingo, Phillip si sporse sul bordo del pozzo e fischiò. Dal fondo giunse il fischio di risposta. Si accovacciò di nuovo e soffocò uno sbadiglio nervoso.

Un istante dopo sul bordo del pozzo apparve prima una mano poi la testa di Hiraga. Phillip lo chiamò con un cenno. Hiraga sgattaiolò accanto a lui e subito dopo furono raggiunti da Akimoto. I due shishi indossavano giacche imbottite, kimono e pantaloni larghi e le loro spade erano coperte di stracci. Si gettarono a terra per evitare di essere visti da tre uomini provenienti dalla Città Ubriaca. I tre imboccarono quello che un tempo era il vicolo e sparirono in direzione delle macerie del magazzino. Uno di loro cantava una ballata del mare e la sua vibrante voce da baritono tornò sospinta dal vento.

“Seguitemi, ma state attenti!”

Tyrer corse verso le ombre del villaggio e si fermò accanto all'altro uomo nascosto dietro la casa in costruzione. Era Jamie McFay. Assicuratisi che non vi fosse pericolo, Hiraga e Akimoto li raggiunsero spostandosi in silenzio e con maggiore agilità.

Jamie McFay disse: “Qui, veloci”. Aprì il sacco e diede a ciascuno un rozzo vestito da marinaio, passamontagna di lana e scarpe. Si svestirono e misero i loro abiti nel sacco che Akimoto si caricò sulle spalle.

Tyrer notò che Hiraga faceva scivolare il Derringer in una tasca.

L'operazione era durata soltanto un paio di minuti. Jamie li precedette su quella che era stata, e che presto sarebbe tornata a essere, la strada principale del villaggio.

Avevano la sensazione di essere spiati da occhi nascosti ovunque. La luna uscì per un istante da dietro una nuvola.

D'istinto Hiraga e Akimoto si fermarono confondendosi con le ombre e pronti a impugnare le armi, maledicendo tra sé la stolta imprudenza dei due gai-jin. Non appena la luna scomparve proseguirono.

L'abitazione dello shoya era stata ricostruita per tre quarti, il negozio era vuoto, ma le stanze sul retro, benché rifinite in modo provvisorio, erano abitabili. Jamie superò una pila di travi e di shoji e bussò a una porta. La porta si aprì e lui entrò. Gli altri lo seguirono nel buio e la porta si richiuse.

Dopo un istante si sentì lo sfregamento di un fiammifero e lo stoppino della candela si accese. Lo shoya era solo, grigio per la stanchezza e per la paura malcelata. Sul basso tavolo aveva preparato alcune bottigliette di sakè e un pò di cibo. Hiraga e Akimoto si avventarono sul cibo e svuotarono due bottigliette in pochi secondi. “Grazie, shoya” disse Hiraga.

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