Sono armati, Jamie?”.
“Certo che sono armati, sono samurai.”
“Niente armi e niente samurai, per Dio.” Jamie alzò le spalle. “Diglielo pure, ma per favore trattali da gentiluomini, non da indigeni, sono diversi ma sono nobili, giapponesi importanti, davvero.”
“Marinaio!” gridò il capitano. “Falli entrare!” Hiraga e Akimoto si presentarono rispettando le istruzioni di Jamie.
“Chi di voi due parla inglese?”
“Io, Anjin-sama. Mi chiamo Otami-sama.
“Il signor McFay garantisce per voi, Otami-sama, per il vostro comportamento fino a Londra. Accettate di ubbidirmi, di rimanere a bordo se ve lo ordinerò, di scendere a terra e tornare quando ve lo dirò e fino all'arrivo a Londra, e di ubbidirmi come se fossi il vostro capo, il vostro daimyo?”
“Accettiamo di fare quello che Anjin-sama vuole” rispose Hiraga con attenzione.
“Bene, ma a bordo non voglio armi. Dovete consegnarmi tutte le spade, le pistole e i coltelli. Ve li restituirò.” Twomast vide il guizzo d'ira e ne prese nota. “Siete d'accordo?”
“Ma se ci aggrediscono?”
“Se qualcuno vi aggredisce difendetevi a pugni fino al mio arrivo. Li avviserò: cinquanta frustate per chiunque ci provi. Ma non dovrete essere voi a cominciare, capito?”
“No, spiacente.” Jamie spiegò che i marinai quando disubbidivano a un ordine venivano legati al sartiame e fustigati. Inorridito da tanta crudeltà Hiraga riferì la spiegazione ad Akimoto e poi disse: “Ma, Anjin-sama, tu non hai paura? Che dopo un simile affronto l'uomo, libero di girare sulla nave, ti uccida?”.
Johnny Twomast rise. “Lo impiccherebbero, sicuro come l'oro.
L'ammutinamento è punito con la morte. Darò ordine all'equipaggio di non provocarvi, e voi non provocherete loro, capisci?”
“Capisco, Anjin-sama” rispose Hiraga che in realtà aveva capito soltanto in parte.
“Se ci sono problemi venite da me. Non fate a botte se non nel caso che vi aggrediscano. Le armi, per, favore.” Con riluttanza Hiraga gli porse le spade avvolte negli stracci. E il Derringer. “Marinaio!” La porta della cabina si aprì. “Sissignore?”
“Questi due alloggeranno nella cabina del terzo ufficiale, gliela mostro io.” Jamie si alzò e offrì la mano a Hiraga. “Fai un buon viaggio, scrivimi se vuoi, anche a Phillip... a Tairasama. Come ti ho detto ti scriverò presso la mia banca, la Hongkong Bank nel Mall. Le istruzioni su come spedire e ricevere posta sono nei fogli che ti ho dato. Non aspettare risposta prima di quattro mesi. Buona fortuna. A presto.” Si strinsero la mano, poi Jamie fece lo stesso con Akimoto.
“Voi due venite con me” disse Twomast. Fece strada lungo un corridoio e aprì una porta.
“Sistematevi qui e non fatevi vedere in giro, il signor McFay non vuole che vi riconoscano. Dopo Hong Kong sarà più facile.”
Chiuse la porta.
Hiraga e Akimoto si guardarono intorno in silenzio. La cabina era più simile a un armadio che a un appartamento, vi si stava a malapena in piedi in due.
La lampada a olio sostenuta da una sospensione cardanica sfrigolava in modo sinistro. Le due cuccette a castello sistemate contro la paratia e con i cassetti sotto erano sporche e dotate di materassi di paglia macchiati e maleodoranti coperte di lana. Stivali di gomma e vestiti sporchi sparsi ovunque.
Cerate da tempesta appese a dei pioli.
“Queste a che cosa servono?” chiese incuriosito Akimoto.
“Sono vestiti, ma come si possono indossare cose tanto rigide? Senza le spade mi sento nudo.”
“Io invece mi sento morire.”
Il pavimento si inclinò sotto i loro piedi e sentirono voci di uomini che gridavano ordini e altri che cantavano preparando la nave alla partenza.
Il motore faceva vibrare il pavimento e le paratie aumentando il loro disagio, lo spazio era angusto, lo sgradevole odore di carbone bruciato e di olio, l'aria stantia e le cuccette malconce li opprimevano.
Il pavimento si inclinò di nuovo quando fu tirata su un'ancora e Hiraga andò a finire contro le cuccette. Si sedette su quella più in basso. “Credi che riusciremo a dormire su questa roba?”
“E dove, altrimenti?” mormorò Akimoto.
Spostò con attenzione la coperta gualcita. Gli angoli dei materassi erano abitati da colonie di cimici morte e vive e la tela grezza era macchiata dal sangue rappreso di tutte quelle che vi erano state schiacciate negli anni. Si sforzò di non vomitare.
“Torniamo a terra. Ne ho abbastanza.”
“No” disse Hiraga superando il disgusto. “Abbiamo ottenuto un miracolo, siamo sfuggiti alla Bakufu e a Yoshi e veniamo mandati nella terra dei nemici in veste di ospiti. Potremo spiare i loro segreti e imparare come distruggerli.”
“Imparare cosa? Come fustigare un uomo a morte e vivere in questo letamaio per mesi? Hai visto come il capitano se ne è andato senza neppure rispondere al nostro inchino? Andiamo... anche se dovessi tornare a riva a nuoto!”
Akimoto afferrò la maniglia della porta ma Hiraga lo agguantò per la camicia e lo tirò indietro. “No!” Akimoto lo insultò e si liberò dalla presa andando a sbattere contro la porta. Nella minuscola cabina non c'era spazio neppure per lottare.
Poi gridò: “Tu non sei uno di noi, sei stato contagiato dai gai-jin!
Lasciami andare, è meglio morire da civilizzato che vivere in questo modo!”.
Hiraga era paralizzato. Il tempo si era fermato. Per la prima volta capiva appieno l'enormità della sfida alla quale aveva consegnato entrambi: il mondo dei barbari, lontano da ogni civiltà, lasciare tutto alle spalle, sonno-joi e Choshu e gli shishi e i familiari, ma non una moglie né figli. Ah, mia coraggiosa e magnifica Sumomo quanto mi manchi, tu avresti reso la mia partenza più facile ma adesso...
Cominciò a tremare, il cuore si mise a battere all'impazzata, respirava a fatica e ogni parte di lui gli gridava di fuggire da quell'inferno che rappresentava tutto quello che lui odiava.
Se Londra era così qualsiasi cosa sarebbe stata migliore, qualsiasi cosa.
Spinse da parte Akimoto e si avventò contro la porta. Poi si fermò.
“No” sospirò. “Lo sopporterò! Lo sopporterò per sonno-joi. Dobbiamo affrontarlo per sonno-joi, cugino, ma qualsiasi cosa accada moriremo da samurai, scriveremo le nostre poesie di morte, le scriveremo subito, adesso, poi niente altro avrà importanza nella vita...”
Sulla banchina il nostromo gridò: “Ultima chiamata per la Belle, tutti a bordo!”.
“Bene, buon viaggio e buona fortuna” disse Angélique, ancora malinconica e insieme illuminata da un leggero sorriso. “Abbi cura di te!” Lasciato sir William, nella solitudine del suo appartamento si era abbandonata ancora una volta alle lacrime. Ho pianto troppo in questi giorni, aveva pensato, da dove verranno tutte queste lacrime? Poi, quando l'emicrania le era passata, aveva ripreso a considerare la situazione con chiarezza.
Ritrovato il controllo di sé era scesa e aveva rivisto Gornt in privato. Si erano detti tutto quello che dovevano dirsi e la sua forza, la sua sicurezza e il suo amore avevano fugato in lei ogni cattivo pensiero.
Edward mi fa bene, pensò guardandolo, anche se non potrà mai sostituire il mio Malcolm, ma non importa.
“Adesso stai bene?” le chiese lui.
“Sì, grazie, caro. Torna presto.” Gornt le baciò la mano.
“Abbi cura di te, signora.” Il suo ardore gli conferiva un aspetto da ragazzino.
“Non dimenticartene.” Angélique gli aveva chiesto di dire a Tess che sperava un giorno di poterla incontrare da amica. “E' importante.”
“Sì, lo è, non me ne dimenticherò e sarò di ritorno prima di quanto tu creda.” Affinché gli altri intorno a loro sentissero disse a voce alta: “Mi incaricherò dei vostri acquisti, non temete”.
Dopo un'ultima leggera stretta alla sua mano sali con disinvoltura sul ponte scivoloso e fu a bordo. Il nostromo suonò la sirena, spinse i comandi indietro a tutta forza e la lancia retrocedette. Gornt salutò con il braccio, poi, per non tradirsi, entrò nella cabina.
“Una ragazza deliziosa” disse Hoag pensieroso.
“Sì, signore, di una bellezza fuori dal comune.” Entrambi osservarono la banchina che si allontanava. “Siete mai stato in India, Edward?”
“No, mai. Voi siete stato a Parigi?”
“No, mai. Ma l'India è il paese più bello del mondo, il migliore tra quelli in cui gli inglesi possano vivere. Voi siete soprattutto inglese, vero?” Hoag già immaginava l'arrivo nella casa della famiglia di Arjumand, i dintorni bruni e polverosi, l'alto recinto che nascondeva un giardino fresco e verdeggiante, il suono dell'acqua della fontana mescolato alle risate che inondavano l'edificio principale e le casette della servitù.
E pensò al senso di amicizia e di pace che tutti emanavano grazie alla loro fede nel cielo della vita, morte e rinascita, nel susseguirsi di reincarnazioni dalle quali infine la misericordia dell'Infinito lì avrebbe liberati concedendo loro il Nirvana, il Luogo della Pace Suprema.
Arjumand sarà là, pensò, oh, come spero di riuscire a raggiungerlo anch'io.
Fissò la banchina, Angélique e gli altri, persone che probabilmente non avrebbe mai più rivisto.
Angélique agitò il braccio in un ultimo saluto, poi si avvicinò a Maureen che stava aspettando accanto alla lampada.
Chissà se diventeranno amiche, si chiese Hoag. Dopo qualche istante le due donne e la banchina si confusero con la notte. Angélique fa bene a piegarsi a Tess, pensò, anche se non aveva scelta. Le sue dita cercarono distrattamente l'affidavit nella tasca.
Una fine davvero tragica quella di Malcolm. Poveretto, ha lavorato tutta la vita per un destino che non avrebbe mai raggiunto, per qualcosa che non sarebbe mai stato.
Malcolm Struan, il tai-pan che non fu mai tale. La sua vita come quella di chi insegue un miraggio nel deserto.
“Una fine davvero tragica quella di Malcolm, non credete?” Ma Gornt non era più al suo fianco. Si guardò intorno e vide che era uscito sul ponte e che volgendo le spalle a Yokohama stava guardando la Belle, a capo scoperto, con il vento che gli scompigliava i capelli.
Perché quel sorriso? E che cosa nasconde? si chiese. E' tanto duro, eppure... Quel giovane ha qualcosa di strano. E' destinato a diventare re o regicida?
La folla si stava allontanando dalla banchina. Accanto a Maureen Angélique guardava la Belle, e la lancia che scompariva nell'oscurità.
Con le due donne presto rimasero soltanto Chen e Vargas, che conversavano tranquillamente in attesa di scaricare la lancia, se necessario e, sebbene non fosse stato loro richiesto, di riaccompagnarle a casa.
“Maureen...” Angélique la guardò. Il sorriso si spense sul suo viso quando vide l'espressione triste della nuova amica. “Qualcosa non va?”
“Niente. Be', no... niente di preoccupante. E' che... che oggi non ho visto Jamie nemmeno per un istante, era molto occupato e... io avevo qualcosa di importante...” Si interruppe.
“Aspetterò con voi, se lo desiderate. Meglio ancora, perchè non venite voi da me? Andiamo nel mio appartamento ad aspettare il suo arrivo alla finestra.
Quando vedremo la lancia avremo tutto il tempo di scendere ad accoglierla.”
“Penso che... be', preferisco aspettare qui.” Angélique la prese con fermezza per un braccio. “Di che si tratta?
Posso esservi di aiuto?”
“No, non credo, cara Angélique. E' che, è solo che...” Maureen esitò ancora, poi esplose: “Oh, Dio, non volevo infastidirvi, ma oggi pomeriggio la sua amante, l'amante di Jamie, è venuta a trovarmi”.
“Dallo Yoshiwara?”
“Sì. E' venuta per riverirmi, per inchinarsi a me, ha detto, e mi ha anche detto di non preoccuparmi perchè lei si è presa cura di lui nel migliore dei modi. Mi ha chiesto se in futuro penso di pagare il conto mensilmente o annualmente.” Angélique sgranò gli occhi.
“Ha fatto una cosa del genere?”
“Sì.”
Maureen, che alla luce della lampada a olio sembrava livida, balbettò:
“Mi ha anche detto che se c'era qualcosa che volevo sapere su... su Jami, lo ha chiamato, proprio così, sulle sue abitudini amorose, sulle sue... posizioni e così via, visto che sono vergine e non conosco queste cose, lei sarà felice di fornirmi tutti i particolari perchè è una professionista del Secondo Rango.
E ha promesso di darmi un libro illustrato detto “Libro dell'amore” sul quale sottolineerà le sue preferenze, ma ha aggiunto di non angustiarmi perchè Jamie è molto esperto e il suo... Lo ha definito Monaco Guercio, funziona benone. Ecco, adesso sapete tutto!”.
Angélique era esterrefatta.
“Mon Dieu, povera cara, che cosa tremenda! Ma... parla inglese?”
“No, parla un confuso misto di pidgin e parole imparate da Jamie, ma ho capito perfettamente quello che voleva dire. Sembra che... che sia stata la sua amante per più di un anno. E' minuta, per niente bella, non arriva al metro e mezzo e poiché non sapevo cosa dire ho accennato alla sua statura, a quant'era piccola e quella sfrontata, quella sfrontata mi ha risposto: “Sono alta abbastanza, Jami tai-tai, per fare quello.
Siamo tutte uguali, heya? Tu donna montagna”.”
“Oh, Mon Dieu!”
“Proprio così. Cosa devo fare?”
Angélique era confusa. “Dovreste... no, non va bene...”
“Forse dovrei... no, non posso. E' troppo...”
“E se voi...” Angélique scosse il capo disarmata e la guardò. Maureen alzò lo sguardo e si rispecchiarono l'una nell'altra riconoscendosi entrambe sconvolte dall'orrore, dalla repulsione e dall'ira. Per qualche istante rimasero paralizzate, poi Angélique si riprese, Maureen dopo un attimo seguì il suo esempio e scoppiarono a ridere insieme.
Chen e Vargas si voltarono a guardarle, il suono della loro risata si confondeva con quello delle onde che si frangevano sulla spiaggia e contro i pali della banchina. Angélique si asciugò le prime dolci lacrime di allegria che le solcavano il viso da molto tempo. “Il suo Monaco Guercio...”
Risero tanto da rimanere senza fiato e si sostennero l'una con l'altra.
L'euforia scomparve con la velocità con cui era arrivata lasciando entrambe a disagio.
“E' ridicolo, Maureen, e al tempo stesso non è ridicolo per niente.”
“Sì. Non è divertente” le fece eco Maureen in tono greve. “Mi sento... adesso voglio andare a casa. Pensavo di riuscire ad accettare lo Yoshiwara, Jamie non è diverso dagli altri uomini, ma non posso, ora lo so. Non posso accettare una vita in cui... in cui ci sia lo Yoshiwara, e ci sarà sempre, perchè, Angélique, tra un paio di anni arriveranno i bambini e qualche anno dopo il nostro uomo, chiunque sia, si stancherà di noi e noi saremo vecchie, con i capelli grigi e sdentate e, chiunque sia, lui ci volgerà le spalle.