Gai-Jin (215 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Lo Yoshiwara non esisteva più e il villaggio, la maggior parte della Città Ubriaca e oltre la metà dell'Insediamento, comprese le scuderie, erano distrutti. Non vi era ancora una stima ufficiale delle vittime, soltanto un'infinità di illazioni, tutte scoraggianti. La causa della catastrofe non era ancora stata accertata.

Molti sostenevano che l'incendio fosse stato appiccato dai giapponesi, ma non si sapeva di quale fazione.

Chiunque di loro sarebbe stato capace di distruggere il villaggio e lo Yoshiwara se un incendio a Yokohama avesse favorito qualche loro disegno.

“Ordinerete l'evacuazione questa mattina?” La mente di sir William turbinava di mille dubbi e presentimenti.

“Prima devo fare un'ispezione. Grazie, Thomas. Pallidar, venite con me.” Spronò il pony verso il declivio.

Davanti alla Legazione tirò le redini. “Niente di nuovo, Bertram?”

“No, signore, ancora non ho ricevuto conferma né dei nomi né del numero delle vittime.”

“Manda subito a chiamare l'Anziano del villaggio, lo shoya, e chiedigli di accertarsi del numero dei morti nel villaggio e di comunicarmelo subito.”

“Non parlo giapponese, sir William, e Phillip Tyrer non c'è.”

“Allora trovalo, dannazione” sbottò il ministro, contento di sfogare l'ansia e la preoccupazione accumulate nei confronti di Tyrer e di vedere quel giovane rammollito di Bertram impallidire.

“E impara il giapponese, dannazione, o ti spedirò in Africa, così sarai di peso a loro!

Raduna entro un'ora tutti i mercanti più importanti... No, non qui, è meglio al circolo. Vediamo, adesso sono le sei e mezzo, radunali per le nove e mezzo, e per l'amor di Dio, sbrigati e usa quel fottuto cervello!” Idiota, pensò riprendendo il trotto e un pò sollevato.

Sotto il cielo che si andava schiarendo gli abitanti di Yokohama raccoglievano ciò che restava delle loro case e delle loro vite.

Scortato da Pallidar, sir William percorse High Street, dove salutò tutti e rispose alle domande con: “Voglio prima valutare la situazione. Ho indetto una riunione al circolo alle nove e mezzo, per allora ne saprò di più”.

Nei pressi della Città Ubriaca il fetore che saliva dalle case bruciate si fece più intenso. Dopo che il vento era calato, intorno alle due del mattino, gli incendi si erano rapidamente spenti e il fuoco non aveva più superato le barriere antincendio né era passato da una casa all'altra.

Soltanto il cessare del vento aveva salvato Yokohama dall'annientamento.

Le Legazioni, la capitaneria di porto, gli edifici e i magazzini delle compagnie più importanti, la Struan, la Brock, la Cooper-Tillman e le altre, non avevano subito danni. L'edificio di Lunkchurch invece era distrutto.

Il fuoco si era fermato a pochi metri dalla Santa Trinità senza danneggiarla. Sir William ringraziò Dio per un miracolo tanto opportuno.

In fondo alla strada la chiesa cattolica aveva perso il tetto e la maggior parte delle finestre; la travatura annerita e fumante sembrava una bocca spalancata che mostrava i denti rovinati. “'Giorno, dov'è padre Leo?” chiese sir William a un uomo che ripuliva il giardino.

“Nella sacrestia, sir William. Buona giornata a voi, che Dio vi protegga, signore.”

“Grazie. Mi dispiace per la vostra chiesa. Ho convocato una riunione al circolo alle nove e mezzo, volete far girare la voce? Padre Leo è il benvenuto, beninteso.” Proseguì.

Diversamente dal villaggio e dallo Yoshiwara, dove i resti erano soltanto cumuli di cenere, nelle zone colpite dell'Insediamento e della Città Ubriaca vi era una confusione di mattoni, lastre di pietra, sbarre di metallo attorcigliate, pezzi di macchinari, motori, arnesi da lavoro, fucili, cannoni, incudini e altri prodotti industriali ormai inservibili.

Quella piaga purulenta che era la Terra di Nessuno, a parte qualche residuo metallico, era stata ripulita, e sir William se ne compiacque.

Girovagò dirigendosi verso la porta Sud. La guardiola era scomparsa, nel vuoto i samurai avevano già eretto una barriera provvisoria ed erano ai loro posti di guardia.

“Stupidi” disse Pallidar. “Da cosa si difendono?” Intento a valutare ciò che vedeva e a considerare il da farsi, sir William non rispose. Intorno al canale e al fossato gli abitanti del villaggio vagavano senza meta o sedevano in gruppi, accovacciati e malinconici.

Al di là del fossato, dove prima sorgeva lo Yoshiwara, gruppi di donne, cuochi e inservienti si erano raccolti intorno ai miseri resti dell'unico edificio ancora in piedi riparandosi dietro le pareti di carta. Qui e là i samurai spegnevano ancora dei fuochi. La brezza portava gemiti e singhiozzi.

“E' terribile, signore” disse Pallidar.

“Sì.” Sir William inspirò sforzandosi di reagire, toccava a lui dare l'esempio e, per Dio, si sarebbe comportato come competeva al ministro per il Giappone di Sua Maestà britannica. “Sì, ma guardate là, per Dio!” L'accampamento sul promontorio era intatto. “Tutti i nostri soldati sono salvi e sono salvi anche i cannoni e l'artiglieria, gli armamenti e il deposito di munizioni non hanno subito danni. E guardate là!” Nella baia la flotta era indenne, le bandiere britanniche e le insegne sventolavano orgogliosamente e con l'arrivo della luce tutte le lance andavano e venivano portando uomini a terra e riportandone altri a bordo per rifocillarli.

“Sì può ricostruire tutto, tranne la vita delle persone, perbacco. Fatevi aiutare da qualcuno e cominciate a fare l'appello. Ho bisogno di sapere quanti soldati abbiamo perso prima della riunione delle nove e mezzo. Svelto!”

“Sissignore. Quasi tutte le scuderie sono state aperte e i cavalli sono scappati verso l'ippodromo e sul promontorio. Ho visto lo stallone di Zergeyev con un paio di stallieri.” Pallidar sorrise, la paura gli era un pò passata.

“Avete ragione, sir William, mio Dio, come avete ragione.

Finché l'esercito e la marina sono salvi non abbiamo nulla da temere, va tutto bene. Grazie.” Parti al galoppo.

Sir William volse lo sguardo verso l'entroterra. Cosa fare, cosa fare?

Avvertita la sua irrequietezza la cavalla fece tintinnare nervosamente le briglie e grattò il terreno con una zampa.

“Buongiorno, sir William.”

Jamie McFay sbucò dalle macerie di un edificio di cui non rimaneva che un mucchio di montanti di metano piegati, resti di letti e mobili vari e legname annerito. Era grigio in volto per la stanchezza con i vestiti laceri e bruciacchiati e i capelli arruffati.

“Quanti uomini abbiamo perso?”

“Non ci sono ancora notizie precise. Buon Dio... questo è quanto rimane dell'edificio del “Guardian” e della tipografia?”

“Temo di sì. Ma guardate qui.”

Jamie prese le briglie della sua cavalla e gli porse un foglio mal stampato e pieno di macchie sul quale campeggiava un titolo enorme:

 

YOKOHAMA A FUOCO.

PROBABILMENTE PER UN INCENDIO DOLOSO. STRUAN E BROCK NON HANNO SUBITO DANNI, ESERCITO E MARINA SONO SALVI. MOLTE LE VITTIME NELLO YOSHIWARA E NEL VILLAGGIO.

 

Seguiva un breve editoriale che concludeva con la promessa di un'edizione del pomeriggio e si scusava per la cattiva qualità della stampa.

“Nettlesmith è laggiù.” Sotto una baracca l'editore, arruffato e sporco, azionava la pressa a mano mentre gli stampatori riordinavano i caratteri e smuovevano la cenere per recuperare il possibile.

“Mi hanno detto che avete salvato la vita a parecchi abitanti del villaggio trascinandoli fuori da una casa in fiamme, Jamie.” McFay era ancora in stato confusionale. Sapeva vagamente di non aver trovato Nemi e di non aver saputo niente di lei, ma degli altri non aveva neppure un ricordo. “Non lo so, c'era un grande caos... Eravamo in molti a darci da fare e ad accompagnare i poveretti all'ospedale...”

La stanchezza gli faceva girare la testa. “Ieri notte ho sentito che Phillip è morto. E' vero?”

“Non lo so. Speriamo di no, ma anch'io l'ho sentito dire.” Sir William sospirò. “Corrono molte voci e io ho imparato a non fidarmi delle voci. Si diceva che anche Zergeyev e André fossero morti nello Yoshiwara, eppure ho visto Zergeyev poco fa. Come ho detto conviene aspettare.” Indicò il foglio stampato. “Posso tenerlo, Jamie? Grazie. Ho convocato una riunione alle nove e trenta per discutere il da farsi, la vostra opinione sarebbe preziosa.”

“Non c'è granché di cui discutere, mi pare. Sono distrutto.”

“C'è molto di cui discutere, Jamie. Dobbiamo ritenerci davvero fortunati.

L'esercito e la marina...” Sir William si girò e sollevò il cappello.

“'Giorno, signorina Maureen.” Lei indossava gli stessi abiti della sera prima ma puliti e in ordine, e sfoggiava un bel sorriso.

“'Giorno, sir William, sono contenta di vedervi sano e salvo e che la Legazione non abbia subito danni.

'Giorno, amore.” Il sorriso di Maureen si aprì ancora di più. Cinse Jamie con un braccio trattenendosi dalla sfacciataggine di dargli anche un bacio, come avrebbe voluto. Le sembrava bellissimo con quei vestiti anneriti e il volto non rasato segnato dalla preoccupazione e pensava che una minestra calda, un buon whisky e una bella dormita avrebbero sistemato tutto.

Mentre camminava per raggiungerlo molti l'avevano fermata congratulandosi per il coraggio dimostrato da Jamie. Lei si era data da fare durante la notte per calmare la signora Lunkchurch e la signora Swann, nonché i loro mariti e altre persone della Struan; aveva distribuito con parsimonia l'acqua del diavolo, come sua madre chiamava tutti i liquori quando il padre non c'era, medicando bruciature o portando i feriti da Hoag e Babcott, che avevano organizzato due ospedali da campo il più vicino possibile alle zone colpite.

“Hai un bell'aspetto, Jamie, sembri soltanto un pò stanco.”

“Non più degli altri.” Riconoscendo di essere stato dimenticato e non poco invidioso, sir William li salutò con un cenno del frustino. “A dopo, Jamie. Signorina Maureen.” Lo osservarono allontanarsi al piccolo galoppo. Jamie apprezzava la vicinanza e il calore del braccio di Maureen. Colto da un'improvvisa ondata di infelicità e di preoccupazione per il futuro si girò e l'abbracciò con la foga della disperazione. Lei si lasciò trasportare felice, e aspettò cercando di comunicargli la sua forza.

Dopo qualche minuto gli si schiarì la mente e a poco a poco ritrovò il coraggio e la lucidità.

“Che Dio ti benedica, non riesco a crederci, mi hai riportato in vita, che Dio ti benedica.” Poi ricordò Tess, le cinquemila ghinee che Maureen le aveva strappato e Maureen che diceva: Domani tutto andrà meglio, ed esplose di gioia. “Per Dio, Scintille” disse abbracciandola di nuovo, “hai ragione. Siamo vivi e abbiamo avuto fortuna e se tutto andrà bene sarà solo per merito tuo!”

“Non esagerare, caro” rispose lei con un sorrisino, il capo sempre appoggiato al suo e senza liberarsi dall'abbraccio. “Non dipende da me.” Dipende da Dio, pensava, sono i doni che Dio fa a noi donne, così come ne fa agli uomini perchè al momento giusto ci rinfranchino. “E la vita.” Usò la parola “vita” per non dire “amore”, ma in realtà era sicura che si trattasse di quello.

“Sono orgoglioso di te, ragazza. Ieri notte sei stata magnifica.”

“Dai, non ho fatto proprio niente. Vieni, è arrivato il momento di dormire un pò.”

“Non c'è tempo per dormire. Devo andare dallo shoya.”

“Un sonnellino prima della riunione, ti sveglierò con una tazza di tè. Puoi riposare nel mio letto, Albert dice che possiamo tenere la stanza finché vogliamo, caccerò chiunque si presenti.” Nonostante la stanchezza Jamie sorrise. “E tu dove andrai?” Lei lo abbracciò.

“Ti terrò la mano e ti racconterò una favola. Vieni.”

Tyrer aprì gli occhi e si trovò all'inferno: gli dolevano le ossa, ogni respiro gli squarciava il petto e gli occhi e la pelle gli bruciavano.

Nell'oscurità piena di fumo acre intravide i volti spettrali di due giapponesi che lo fissavano e lo minacciavano agitando con un ghigno crudele i loro lunghi forconi, pronti a dare inizio a un'ennesima tortura. Un viso si fece più vicino. Tyrer arretrò e lanciò un grido di dolore. Sentì una voce che parlava in giapponese e poi in inglese: “Taira-sama, sveglia, sei salvo!”.

La nebbia che gli avvolgeva la mente si dissolse. “Nakama?”

“Sì. Sei salvo.” Riconobbe la luce di una lampada a olio, probabilmente erano in una grotta, e Nakama che gli sorrideva. Anche l'altro. Saito! Il cugino di Nakama, quello che si occupa di navi... No, non è Nakama, è Hiraga, l'assassino!

Sì alzò di scatto e ricadde contro la parete del cunicolo, rimase per un attimo a tossire accecato dal mal di testa, poi la bile e quel tremendo odore di fumo lo fecero vomitare.

Quando l'ultimo crampo allo stomaco fu passato sentì il bordo di una tazza appoggiata contro le labbra. Bevve con avidità l'acqua gelata e fu colto ancora da una sensazione di soffocamento. “Scusa” mormorò. Hiraga rimboccò la coperta intorno al suo kimono da notte semi bruciato. “Grazie” disse lui.

Riprese fiato e nella sua mente cominciò a formarsi un caleidoscopio di immagini che si componevano e si dissolvevano: pareti in fiamme, Hiraga che lo trascinava fuori dall'incendio, lui che correva, cadeva e veniva aiutato a rialzarsi, le case del tè che crollavano tutt'intorno, gli arbusti che esplodevano davanti ai loro occhi, non riesco a respirare, ho il vomito, non riesco a respirare, Hiraga che gridava: “Veloce, da questa parte... no, di qui, no, indietro, da questa parte la sensazione di aver perso qualcosa ma di rialzarsi ancora, la fuga in mille direzioni diverse, l'essere guidato attraverso un accerchiamento di pareti di fuoco, le grida delle donne, il fumo, la corsa verso il pozzo con il fuoco che li inseguiva e quasi li raggiungeva, “Scendi, presto”, la discesa precipitosa, il calore dell'incendio, la piccola luce giù in fondo come un pianeta nell'oscurità della notte, il volto di Saito, e poi come un fulmine...

Fujiko!

“Dov'è Fujiko?” aveva gridato.

Hiraga aveva preso fiato e soverchiando con la voce il crepitio delle fiamme gli aveva urlato: “Veloce, scendi, è morta nella stanza, Fujiko era morta quando ti ho trovato... veloce o muori anche tu!”.

Adesso ricordava con grande chiarezza. Era balzato fuori dal pozzo per tornare indietro, l'incendio era ancora più forte, sapeva di andare incontro alla morte, ma doveva trovarla, accertarsi che davvero non ci fosse nulla da fare, poi era stato sbattuto a terra, il dolore al collo lo accecava, aveva tentato di rialzarsi, il calore era spaventoso e aveva visto una mano durissima scendere sul suo collo.

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