Lui esprimeva nobilmente il suo turbamento per la sciagura, ma chiariva di non avervi avuto parte, aveva soltanto preteso giustizia in una vicenda per la quale notoriamente aveva subito torti e offese. Diceva comunque di esserne molto addolorato, e di non scorgere al mondo altra via di sollievo per lui se non la speranza che io andassi a consolarlo con la mia compagnia; e con calore insisteva perché io gli lasciassi sperare che sarei venuta in città e sarei andata a trovarlo, e allora lui avrebbe potuto approfondire con me il discorso.
Fui straordinariamente stupita da quella notizia, e incominciai allora a riflettere seriamente sulla mia situazione, e sulla sfortuna indicibile che era trovarmi con un bambino sulle braccia, e non sapevo come regolarmi. Alla fine misi in modo vago al corrente del mio caso la mia governante. Mi mostrai per alcuni giorni malinconica e turbata, e lei mi chiedeva in continuazione che preoccupazioni avevo. Io sarei morta piuttosto che dirle che avevo una proposta di matrimonio, dopo averle tante volte detto che avevo un marito, sicché davvero non sapevo che raccontarle. Ammisi che c’era qualcosa che mi preoccupava grandemente, ma al tempo stesso le dissi che non potevo farne parola ad anima viva.
Lei continuò a insistere per diversi giorni, ma per me era impossibile, le dissi, confidare a qualcuno quel segreto. Quella risposta, invece di contentarla, accrebbe la sua insistenza; lei tenne a dirmi che le erano sempre stati confidati segreti di quel genere, che era mestiere suo tener tutto celato, e che per lei svelare cose di quel genere significava la rovina. Mi domandò anche se io l’avevo colta mai a chiacchierare di affari altrui; come potevo dunque sospettare di lei? Mi disse che aprirmi con lei era lo stesso che non raccontarlo a nessuno; lei era silenziosa come una tomba; doveva trattarsi di un caso ben strano perché lei non potesse aiutarmi; ma tenerglielo celato significava privarmi di ogni possibile aiuto, e privare lei della possibilità di essermi utile. In poche parole, mi stregò tanto con la sua parlantina e con la sua capacità di persuasione che non fu più possibile nasconderle nulla.
Decisi perciò di sbottonarmi con lei. Le raccontai la storia del mio matrimonio nel Lancashire, e della delusione che tutti e due avevamo avuto; come ci eravamo messi insieme e come ci eravamo separati; come lui m’aveva sciolta da ogni impegno, per quel che dipendeva da lui, e m’aveva dato libertà di rimaritarmi, dichiarando che mai mi avrebbe reclamata, né arrecato disturbo né smascherata; che io mi ritenevo, sì, libera, ma avevo una terribile paura di rischiare, perché temevo le conseguenze che potevano esserci in caso di disgrazia.
Poi le raccontai che ottima proposta avevo; le mostrai le ultime due lettere del mio amico, che m’invitavano ad andare a Londra, e le feci vedere con quanto affetto e quanta serietà erano scritte, ma le nascosi il nome, e anche la storia della disgrazia della moglie, dissi solo che era morta.
Lei scoppiò a ridere davanti ai miei scrupoli di maritarmi, e mi disse che l’altro non era un matrimonio, ma una burla reciproca; poiché ci eravamo separati di comune accordo, la sostanza del contratto non c’era più, e il nostro impegno era reciprocamente rimesso. Gli argomenti le venivano uno dopo l’altro sulle labbra; e, a farla breve, tante cose mi mise in testa, che la testa io la perdetti; non senza il contributo della mia naturale inclinazione.
Ma si arrivò allora alla difficoltà principale, e cioè il bambino; quello, mi disse lei in tutte le maniere, bisognava mandarlo altrove, in modo che nessuno lo scoprisse. Io capivo che non potevo sposarmi senza nascondere nel modo più assoluto che avevo un figlio, perché altrimenti lui avrebbe potuto dall’età del bambino rendersi conto che era nato, anzi era stato concepito, dopo che avevo conosciuto lui, e ciò avrebbe scombinato tutto.
Ma mi opprimeva così terribilmente il cuore l’idea di separarmi per sempre dal bambino e di lasciarlo, per quel che ne sapevo, ammazzare, o morir di fame e di maltrattamenti (che era poi lo stesso), che non riuscivo a pensarci senza inorridire. Vorrei che tutte le donne che accettano di disfarsi dei loro figli mettendoli, come si dice, in mezzo a una strada, per salvare le convenienze, si rendessero conto che si tratta soltanto di un sistema camuffato di assassinio; vale a dire, un modo di uccidere i bambini senza correre rischi.
È manifesto a chiunque sappia qualcosa di bambini che tutti veniamo al mondo sprovveduti, incapaci di badare ai nostri bisogni e persino di comunicarli, e che privi di aiuto siamo destinati a perire; non soltanto quest’aiuto richiede una persona che se ne occupi, sia la madre o sia un’altra persona, ma è necessario che quella persona possieda anche due cose, e cioè abilità e attenzione; senza le quali, metà dei bambini che nascono morirebbero, anche se non si negasse loro il cibo; e un’altra metà degli altri resterebbero storpi o deficienti, perderebbero l’uso degli arti e magari del cervello. Io non ho dubbi che in parte per questo motivo la natura abbia posto nel cuore delle madri l’affetto per i loro figli; senza il quale non riuscirebbero mai a dedicarsi, com’è necessario che facciano, a tutte le cure e a tutte le penose veglie che l’allevamento dei figli richiede.
Poiché tale assistenza è indispensabile alla vita dei bambini, trascurarli significa assassinarli; anche affidarli a persone cui la natura non abbia posto in cuore il necessario affetto significa trascurarli nel modo peggiore; infatti, in certi casi si va più in là, e li si trascura al punto da smarrirli; sicché questo è nell’intenzione un vero assassinio, sia che il bambino sopravviva, sia che muoia.
Tutto ciò era presente ai miei occhi, nel quadro più nero e più spaventevole; e poiché ero in grande confidenza con la mia governante, che ora chiamavo mamma, le raccontavo tutti i neri pensieri che mi venivano a quel riguardo, e le dicevo in che angustia mi trovavo. Lei prendeva questa parte più sul serio dell’altra; ma come in cose del genere era indurita senza nessuna possibilità di lasciarsi commuovere dal punto di vista religioso né dagli scrupoli circa l’assassinio, così era egualmente impenetrabile per quel che concerneva l’affetto. Mi domandò se non era stata piena d’attenzioni e di tenerezza per me, quando io m’ero messa a letto, come se fossi stata figlia sua. Io ammisi che così era stato. “Bene, mia cara,” dice allora, “e quando te ne sarai andata che cosa sarai per me? Che significherebbe per me che tu fossi impiccata? Credi che non ci siano donne le quali, poiché è mestiere loro e ci guadagnano il pane, ce la san mettere tutta a occuparsi dei bambini come fossero loro le madri, e anzi son più brave? Sì, piccola,” dice, “non aver paura; come siamo state cresciute noi? Tu sei sicura d’essere stata cresciuta da tua madre? Eppure sei bella e florida, bambina mia,” dice la vecchia strega; e intanto mi fece una carezza sul viso. “Non preoccuparti, bambina,” dice continuando alla sua scherzosa maniera, “io non ne tengo di assassini; prendo le balie più oneste che vi sono, e i bambini che in mano loro fanno una brutta fine sono pochissimi, gli stessi che l’avrebbero fatta se fossero stati cresciuti dalle loro madri; no, non ci mancano né abilità né attenzione.”
Mi toccò profondamente quando mi domandò se ero certa d’essere stata cresciuta da mia madre; io ero invece certa del contrario, fui presa dal tremito, e sbiancai in volto. “Di certo,” dissi tra me, “costei non può essere una strega, né aver parlato con uno spirito che l’abbia informata di quel che accadde a me prima ancora che io fossi in grado di saperlo.” E la guardai con terrore. Ma, riflettendo che non era possibile che lei sapesse nulla di me, mi calmai e incominciai a sentirmi meglio, anche se non subito.
Lei si accorse della mia agitazione, ma non ne comprese il motivo; così continuò a dire un monte di cose circa l’inconsistenza della mia idea che i ragazzi finissero ammazzati solo perché non li cresceva la madre, cercando di convincermi che i bambini dei quali si occupava lei eran trattati bene proprio come se fossero le madri a crescerli.
“Sarà vero, mamma,” dico io, “e dovrei saperne qualcosa; pure i miei dubbi sono ancora profondamente radicati.”
“Su, allora,” dice lei, “sentiamone qualcuno.”
“Ecco, per prima cosa,” dico io, “tu dai a queste persone quattro soldi perché tolgano il peso del bambino alla madre e se ne prendano cura finché vive. Ora noi sappiamo bene, mamma,” dico, “che sono persone povere, e il loro guadagno consiste nel disfarsi prima possibile dell’incarico avuto; come posso fare a meno di dubitare, visto che la cosa migliore per loro è che il bambino muoia, che si preoccupino veramente di farlo vivere?”
“Queste son favole e fantasie,” dice la vecchia; “ti dico io che il loro credito è fondato sul fatto che il bambino sopravviva, e che han tutte le cure che potrebbe avere la madre.”
“Oh, mamma,” dico io, “se fossi soltanto sicura che del mio piccolo qualcuno si prende cura, e me ne rendessi ragione, sarei contentissima; ma di questo non posso esser convinta se non lo vedo, e vederlo sarebbe, nel caso mio, rovina e perdizione; perciò non so che fare.”
“Bella storia!” dice la governante. “Vorresti vedere il bambino e non vorresti vederlo. Vorresti al tempo stesso nasconderti e rivelarti. Sono cose impossibili, cara mia; perciò tu devi fare al massimo quello che hanno fatto prima di te altre brave mamme, e accontentarti delle cose come sono, anche se non sono come vorresti. tu.”
Capii che cosa intendeva per brave mamme. Avrebbe voluto dire brave puttane, ma non voleva farmi una scortesia, perché in realtà in quel caso io non ero una puttana, ero legalmente maritata, lasciando da parte la questione della validità del mio matrimonio precedente.
Comunque, fossi pure quel che ero, non ero ancora giunta a quella durezza che è propria del mestiere, vale a dire a comportarmi contro natura e a non darmi pensiero della salvezza del piccolo; e per tanto tempo conservai quell’onesto affetto, che fui quasi sul punto di lasciar perdere il mio amico della banca, il quale tanto insisteva perché io lo sposassi che quasi non restava più modo di dirgli di no.
Alla fine la mia vecchia governante venne da me, con la sua solita aria sicura. “Senti, cara,” dice, “ho trovato il modo per cui tu potrai avere la certezza che tuo figlio è trattato bene, senza che la gente che se ne prende cura ti conosca né sappia chi è la madre del bambino.”
“Oh, mamma,” dico io, “se ci riesci, io te lo dovrò per sempre.”
“Bene,” lei dice, “sei disposta ad affrontare una piccola spesa annua oltre quello che abitualmente diamo alle persone con le quali combiniamo la cosa?”
“Certo,” dico io, “di tutto cuore, purché io resti nascosta.”
“Quanto a quello,” dice la governante, “puoi star tranquilla, perché la balia non si permetterà mai di prendere informazioni su di te, e tu andrai un paio di volte l’anno a vedere il bambino, a sentire come lo trattano, e ad assicurarti che sia in buone mani, senza che nessuno sappia chi sei.”
“Ma,” dissi io, “tu pensi, mamma, che quando andrò a vedere il mio bambino, sarò capace di non far capire che sono sua madre? Lo credi possibile?”
“Bene, bene,” dice la mia governante, “se anche lo farai capire, la balia non ne saprà di più; infatti le sarà proibito di farti qualsiasi domanda, e di prender notizie su di te. Se ci prova, perde il denaro che tu sei tenuta a darle, e le si può portar via il bambino.”
A me questo fece molto piacere. Così, la settimana dopo, fu condotta lì una contadina di Hertford, o di quelle parti, che doveva portarsi via il bambino per dieci sterline in contanti. Ma se io le davo altre cinque sterline, lei si obbligava a condurre il bambino a casa della mia governante quante volte volevamo, oppure saremmo andate noi a visitarlo e a vedere com’era trattato.
La donna aveva un aspetto sano e piacevole, era la moglie di un agricoltore, ma aveva vestiti e biancheria molto belli, e tutta un’aria molto in ordine; e, col cuore grosso e qualche lacrima, le lasciai prendere il bambino. Ero andata a Hertford e avevo visto lei e l’ambiente, che mi piaceva abbastanza; le promisi grandi cose se sarebbe stata affettuosa col bambino, sicché lei capì subito che ero la madre. Ma pareva così fuori mano, e priva di possibilità di aver mie notizie, che io rimasi abbastanza tranquilla. Così, a farla breve, le lasciai prendere il bambino e le detti dieci sterline; o meglio, le detti alla governante, che in mia presenza le consegnò alla povera donna, la quale s’impegnò a non rimandare più indietro il bambino né a chiedere altro per il mantenimento; io però le promisi che, se ne avesse avuto gran cura, le avrei dato qualcos’altro ogni volta che sarei andata a vederlo; sicché non ero impegnata a pagare le altre cinque sterline, ma alla governante promisi che l’avrei fatto. Così della mia preoccupazione maggiore m’ero liberata, in un modo che, se pur non mi andava del tutto, era tuttavia il più conveniente per me, visto come stavano le cose, quelle almeno di cui in quel momento si poteva aver nozione.
Incominciai allora a scrivere al mio amico della banca con un linguaggio più affettuoso, e in particolare all’inizio di luglio gli mandai una lettera dicendogli che mi proponevo di capitare in città durante il mese di agosto. Lui mi inviò una risposta del tono più appassionato possibile, e chiese che lo avvertissi in tempo, mi sarebbe venuto incontro a due giorni di viaggio. Ciò mi mise in un brutto imbarazzo, e non sapevo che risposta mandargli. Infine decisi di prendere la diligenza per West Chester, al solo scopo di prendermi il gusto di ritornare, in modo che lui potesse vedermi davvero su quella diligenza; avevo infatti il sospetto, pur senza il minimo indizio, che lui pensasse che io non mi trovavo realmente in provincia. E non era un sospetto del tutto senza fondamento, come presto sentirete.
Cercai di liberarmene ragionando, ma invano; l’idea mi si era ficcata tanto nella mente, che non riuscivo a scacciarla. Alla fine trovai un motivo di più per il mio progetto di tornare in provincia, e cioè che sarebbe stato uno schermo eccellente rispetto alla mia governante, e avrebbe protetto completamente gli altri affari miei, dato che lei non sapeva affatto se il mio nuovo innamorato viveva a Londra o nel Lancashire; e quando le comunicai la mia decisione, lei si convinse che stava nel Lancashire.
Quand’ebbi disposto ogni cosa per il viaggio glielo dissi, e mandai la cameriera, che fin dal principio mi serviva, a prendere un posto sulla carrozza. Lei avrebbe voluto che la cameriera mi servisse fino all’ultimo e venisse anche in carrozza con me, ma io la convinsi che non era il caso. Quando me ne andai, lei mi disse che non avrebbe fatto nulla per cercare di tenersi in corrispondenza con me perché si rendeva benissimo conto che il mio affetto per il bambino mi avrebbe indotto a scriverle ed anche a farle visita quando sarei venuta di nuovo in città. Io le assicurai che così sarebbe stato, e così presi congedo, ben contenta di uscire da quella casa, benché mi ci fossi trovata piuttosto bene, come ho già detto.