Avemmo così abbondanza di abiti di ogni genere, sia per mio marito che per me, e io mi presi specialmente cura di comprargli tutte le cose che sapevo gli faceva piacere avere; come due parrucche lunghe, due spade con l’elsa d’argento, tre o quattro ottimi fucili da caccia, una bella sella con fondine e pistole molto buone, e la gualdrappa scarlatta; e in poche parole, tutto quel che seppi trovare per fargli piacere, e farlo apparire per quello che era realmente, un gran signore. Ordinai una grande quantità di cose per la casa, delle quali avevamo ancora bisogno, e biancheria di ogni genere per tutti e due. Per parte mia non avevo troppo bisogno né di abiti né di biancheria, perché ero già ben fornita prima. Il resto del mio carico consisteva di arnesi di ferro di ogni specie, finimenti per cavalli, utensili, vestiti per i servi, stoffe di lana, panni, pezzi di saia, calze, scarpe, cappelli, e così via come portano i servi; e anche pezze intere da far confezionare ai servi, e tutto ciò per consiglio del quacchero; tutto quel carico arrivò sano e salvo e in ottime condizioni con tre cameriere, ragazze robuste che la vecchia governante aveva scelto per me, abbastanza adatte al luogo e al lavoro che avevamo da far fare loro; e una di quelle capitò che valesse per due, perché s’era fatta mettere incinta da un marinaio sulla nave, come poi ammise, prima ancora di arrivare a Gravesend; e così ci dette un bel maschio, circa sette mesi dopo il suo arrivo.
Mio marito, come potete immaginare, fu un po’ meravigliato all’arrivo di tutto quel carico dall’Inghilterra; e parlando con me dopo aver visto ogni cosa per filo e per segno, “Mia cara,” dice, “che cosa significa tutto ciò? Ho paura che tu ci stia mettendo troppo nei debiti: quando saremo in grado di pagare tutto questo?” Io sorrisi e gli dissi che era già tutto pagato; e allora gli raccontai che, non sapendo che cosa poteva capitarci in viaggio, e considerando i rischi ai quali ci potevamo trovare esposti, non avevo preso con me tutto quello che possedevo, e avevo lasciato nelle mani della mia amica quella parte che, adesso che finalmente eravamo al sicuro e avevamo trovato una sistemazione per vivere, mi ero fatta mandare, come lui vedeva.
Lui rimase sbalordito, e per un po’ rimase a contare sulle dita, senza parlare. Alla fine incominciò: “Dunque, vediamo,” dice, sempre contando sulle dita, e incominciando dal pollice, “prima ci sono duecentoquarantasei sterline in contanti, e poi due orologi d’oro, anelli di diamanti, e argenteria,” dice, puntando sull’indice. Poi, sul medio: “Ci sono una piantagione sul fiume York, cento sterline all’anno, centocinquanta sterline in contanti, e una barca piena di cavalli, mucche, maiali, e provviste”; e di nuovo sul pollice. “E adesso,” dice, “un carico costato duecentocinquanta sterline in Inghilterra, e che qui vale il doppio.”
“Bene,” dico io, “e allora che conclusione tiri da tutto questo?”
“La conclusione?” dice lui; “eccola: chi dice che fui imbrogliato quando presi moglie nel Lancashire? Direi proprio che ho sposato una donna ricca, una donna ricchissima,” dice.
In poche parole, eravamo ora in una situazione prospera, che ogni anno migliorava; infatti la nostra piantagione ci cresceva fra le mani senza che ce ne accorgessimo, e in otto anni che ci abitammo, la portammo a un tale livello che il reddito era almeno di trecento sterline l’anno; voglio dire che tanto poteva valere in Inghilterra.
Dopo essere rimasta un anno a casa mia, traversai la baia per andare a trovare mio figlio e riscuotere un altro anno di reddito della piantagione; ebbi la sorpresa di apprendere, appena sbarcata, che il mio vecchio marito era morto e che era stato sepolto da appena due settimane. Questa, lo confesso, non fu una notizia spiacevole, perché adesso potevo comparire dovunque come maritata; dissi perciò a mio figlio prima di separarmi da lui, che pensavo di sposare un gentiluomo che possedeva una piantagione vicina alla mia; e anche se adesso ero legalmente libera di maritarmi, rispetto a qualunque impedimento che avessi avuto prima, tuttavia mi crucciavo al pensiero che il fattaccio potesse prima o poi venire a galla e dispiacere a un marito. Mio figlio, gentile, buono e rispettoso come sempre, mi ospitò quella volta in casa sua, mi versò le mie cento sterline e mi rimandò a casa carica di regali.
Qualche tempo dopo, feci sapere a mio figlio che mi ero maritata, e lo invitai a venirci a trovare, e anche mio marito gli scrisse una lettera molto cortese invitandolo; e così lui venne dopo qualche mese, e capitò proprio quando giunse il mio carico dall’Inghilterra, che io gli feci credere fosse tutta roba di mio marito, non mia.
Bisogna dire che, quando quel vecchio sciagurato del mio fratello-marito morì, io feci allora a mio marito un racconto completo di tutta la faccenda e del fatto che quel cugino, come l’avevo prima chiamato, era in realtà mio figlio in virtù di quell’infelice matrimonio sbagliato. Lui non si scompose al racconto, e mi disse che non si sarebbe scomposto nemmeno se il vecchio, così lo chiamò, fosse stato ancora vivo. “Infatti,” disse, “non fu colpa vostra, né tua né sua; era uno sbaglio che non si poteva prevedere.” Rimproverò soltanto a lui di averlo voluto tenere nascosto, e continuare a stare con me come marito, quando io sapevo che era mio fratello; questo, disse, era stato poco bello. A questo modo tutte le difficoltà si appianarono e vivemmo insieme con tutto l’affetto e tutto l’agio immaginabile. Adesso siamo diventati vecchi; io sono tornata in Inghilterra, ho settant’anni, e mio marito sessantotto, ed è trascorso molto più del tempo fissato per la mia deportazione; e adesso, nonostante tutte le fatiche e tutte le miserie che abbiamo attraversato, siamo tutti e due tranquilli e in buona salute. Mio marito è rimasto ancora qualche tempo laggiù dopo la mia partenza per sistemare i nostri affari, e dapprima io pensavo di tornare da lui, ma, su desiderio suo, ho cambiato decisione, e verrà anche lui in Inghilterra, dove intendiamo spendere il resto dei nostri anni in sincera penitenza per le vite dissolute che conducemmo.
Scritto nell’anno 1683
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IN QUESTO ARCHIVIO:
TITOLO: Moll Flanders
AUTORE: Daniel Defoe
TRADUZIONE E NOTE:
NOTE:
DIRITTI D’AUTORE: no
TRATTO DA: Moll Flanders,
traduzione di Giuseppe Trevisani,
Garzanti, 1965
collana Garzanti per tutti,
I grandi libri