Moll Flanders (Collins Classics) (26 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Presi posto sulla diligenza non per tutta la corsa ma fino a una località chiamata Stone, nel Cheshire, mi pare, dove non soltanto non avevo nessun motivo di andare ma non avevo nemmeno una conoscenza nella città e nei dintorni. Ma sapevo che con del denaro in tasca si è a casa propria dappertutto; così rimasi colà un paio di giorni, finché, cogliendo l’occasione, trovai posto su un’altra diligenza e ripresi il viaggio verso Londra, mandando al mio signore una lettera in cui lo avvertivo che mi sarei trovata in un certo giorno a Stony-Stratford, dove il postiglione m’aveva detto che si faceva tappa.

Era una diligenza straordinaria quella che avevo preso; infatti, noleggiata allo scopo di condurre a West Chester alcuni signori che partivano per l’Irlanda, era ora in viaggio di ritorno, e non faceva le stesse strade né le stesse tappe delle diligenze ordinarie; sicché il mio amico, che di domenica non s’era potuto muovere, ebbe il tempo di prepararsi a partire, tempo che altrimenti non avrebbe avuto.

Il mio avvertimento era stato comunque così improvviso che lui non poté raggiungere in tempo Stony-Stratford per passare con me la notte, ma mi venne incontro in una località di nome Brickhill la mattina dopo, quando stavamo quasi per entrare in città.

Confesso che fui molto lieta di vederlo, perché ero rimasta piuttosto delusa la sera prima, accorgendomi che avevo fatto tanta strada senza riuscire a far vedere che arrivavo. Lui mi fece doppiamente contenta per il modo in cui si presentò, perché venne con una carrozza molto bella, da signori, a quattro cavalli, e accompagnato da un cameriere personale.

Subito mi fece scendere dalla diligenza, che si fermò ad una locanda di Brickhill; e entrando nella stessa locanda lui fece fermare la sua carrozza e ordinò il pranzo. Io gli domandai che intendeva fare, perché io dovevo proseguire il viaggio. Lui disse che no, che aveva bisogno di un po’ di riposo lungo la strada, che quella era una buona locanda, anche se la cittadina era piccola; perciò, quella notte, non avremmo proseguito, assolutamente.

Io non insistetti troppo, perché, visto che lui era venuto incontro a me e aveva affrontato tante spese, era abbastanza ragionevole che gli usassi anch’io qualche cortesia; perciò su quel punto fui arrendevole.

Dopo pranzo passeggiammo per vedere la cittadina, la chiesa, i campi e il paesaggio, come di solito fanno i forestieri; il padrone della locanda ci fece da guida nella visita alla chiesa. Mi accorsi che il mio signore s’informava molto del parroco, ed ebbi subito l’idea che certamente voleva proporre che ci sposassimo; e benché il pensiero fosse improvviso, subito ne seguì un altro, e cioè che non l’avrei respinto; infatti, per parlar chiaro, nella mia situazione io non ero in grado di dir di no; non avevo nessun motivo per correre altri rischi.

Ma mentre tali pensieri mi giravano per il capo, cosa che durò pochi istanti, osservai che il padrone della locanda lo prendeva da parte e gli bisbigliava qualcosa, nemmeno troppo a bassa voce, tanto che sentii: “Signore, se avete bisogno…” e non sentii il resto, ma pare che fosse del seguente tenore: “Signore, se avete bisogno di un prete, io ho un amico poco lontano di qui che può esservi utile e avere tutta la discrezione che volete.” Il mio signore rispose a voce alta, tanto che io sentii: “Benissimo, ne ho bisogno.”

Ero appena rientrata alla locanda che lui mi assalì con foga irresistibile, dicendo che, poiché aveva avuto la buona sorte di incontrarmi, e tutto concorreva, un modo di affrettare la sua felicità sarebbe stato da parte mia quello di concludere lì ogni cosa. “Che intendi dire?” dico io, arrossendo un poco. “Come? In una locanda? Lungo la strada? Dio ci protegga,” dissi come se fossi rimasta sorpresa, “come puoi parlare così?”

“Oh, posso certamente parlar così,” dice lui. “Sono venuto apposta per parlarne, e te lo dimostrerò.” E con ciò tira fuori un gran rotolo di carte.

“Mi spaventi,” dico io, “che cosa sono queste carte?”

“Non spaventarti, mia cara,” disse lui, e mi dette un bacio. Era la prima volta che mi aveva chiamato così confidenzialmente “mia cara”; e lo ripeté: “Non spaventarti: guarda di che si tratta.” Allora le sparpagliò tutte. C’erano in primo luogo l’atto o sentenza di divorzio dalla moglie, e la prova che lei faceva la puttana; c’erano poi i certificati, rilasciati dal prete e dai sagrestani della parrocchia dove lei viveva, che attestavano che era stata sepolta e in che modo era morta; la copia di una ordinanza del magistrato che nominava una giuria per esaminarla, e il verdetto della giuria che era Non compos mentis. Tutto ciò doveva servire allo scopo di convincere me, benché io (avesse saputo lui come stavano davvero le cose) non fossi affatto tanto scrupolosa da aver bisogno di tutta quella roba per sposarlo. Io comunque guardai ogni cosa meglio che potei, e gli dissi che tutto era veramente molto chiaro, ma che lui non doveva prendersi il fastidio di portar con sé tutta quella roba, il tempo c’era.

Bene, disse lui, magari il tempo c’era per me, ma quanto a lui non voleva dar tempo al tempo, per lui il tempo era già venuto.

C’era un altro rotolo di carte, e io gli chiesi che cosa erano. “Ecco,” dice lui, “questa è una domanda che volevo che tu mi facessi.” Così le srotola, tira fuori un astuccio di zigrino e mi dà un anello con un brillante bellissimo. Io non potei rifiutarlo, posto che volessi, perché lui me lo infilò al dito; così io gli feci una riverenza e accettai. Allora lui prende un altro anello. “E questo,” dice, “è per un’altra occasione,” e se lo mette in tasca. “Sì, ma fammelo vedere,” dico io sorridendo; “so che cos’è; penso che tu sia impazzito.”

“Sarei impazzito se non l’avessi fatto,” dice lui, sempre senza lasciarmelo vedere, mentre io ci tenevo a vederlo, sicché dico: “Su, fammelo vedere.”

“Aspetta,” dice lui, “prima guarda qui,” e prende di nuovo il foglio arrotolato e lo legge e, guarda che roba!, era una licenza di matrimonio per noi due.

“Ma,” dico io, “sei impazzito? I casi sono due: o eri sicuro che appena me ne avresti parlato avrei detto di sì, oppure avevi deciso di non permettere che ti dicessi di no.”

“La seconda ipotesi è quella giusta,” disse lui.

“Ma potresti sbagliarti,” dissi io.

“No, no,” dice lui, “come puoi dire una cosa simile? Non mi devi dir di no, non mi puoi dir di no”; e con ciò si buttò a baciarmi con tanta violenza che non riuscii a levarmelo di dosso.

C’era un letto nella stanza, e noi andavamo avanti e indietro, accalorandoci nella conversazione; alla fine lui mi prende di sorpresa fra le braccia, mi getta sul letto, e mi viene addosso, e tenendomi abbracciata forte, ma senza tirar fuori nulla d’indecente, mi corteggiò perché dicessi di sì, con tante suppliche e tante ragioni, dichiarando il suo amore e giurando che non si sarebbe arreso finché io non gli avessi fatto quella promessa, che alla fine io dissi: “Ma allora hai già deciso, mi pare, che non ti si dica di no.”

“No, no,” dice lui, “non mi devi dir di no, non voglio che tu mi dica di no, non puoi dirmi di no.”

“Va bene, va bene,” dico io, e dandogli un bacetto, “allora non ti dirò di no,” dissi, “ma fammi alzare.”

Lui fu così commosso dal mio sì e dal modo affettuoso in cui glielo avevo detto, che io fui sul punto di credere che volesse prenderlo per un matrimonio bell’e concluso, senza preoccuparsi più delle formalità; ma gli facevo torto, perché lui smise di baciarmi e poi, dopo avermi dato ancora un paio di baci, mi ringraziò per il mio affettuoso consenso; ed era così sopraffatto dalla gioia e dalla felicità, che gli scorsi le lacrime negli occhi.

Io voltai la faccia, perché anche i miei occhi s’erano riempiti di lacrime, e gli domandai di ritirarmi per un po’ in camera mia. Se mai ebbi un’oncia di autentico pentimento per i ventiquattro anni trascorsi di vita corrotta e deplorevole, quello fu il momento. Oh, che gran fortuna è per l’umanità, dissi tra me, che non si possa leggere nel cuore altrui! Che felicità sarebbe stata per me essere fin dal principio la moglie di un uomo così onesto e così affettuoso!

Poi mi venne fatto di pensare: “Che essere abominevole sono! e quale torto sto per fare a questo ingenuo signore! Quanto poco lui sospetta che, appena divorziato da una puttana, sta per gettarsi nelle braccia di un’altra! che sta per sposare una che s’è coricata con due fratelli e ha avuto tre figli dal proprio fratello! una che è nata nel carcere di Newgate, e sua madre era una puttana ed è adesso una ladra deportata! una che è stata a letto con tredici uomini e che ha avuto un bambino dopo che lui l’ha conosciuta! Povero signore!” dissi, “a che cosa va incontro?”

Quand’ebbi finito di rimproverarmi, così proseguii: “Bene, se devo essere sua moglie, e se Dio me ne fa la grazia, sarò una moglie fedele, lo amerò in modo adeguato alla strana esagerazione del suo amore per me; cercherò di riparare se mi sarà possibile, in quello che lui saprà, agli imbrogli e alle cattiverie che gli ho fatto e che lui non sa.”

Lui attendeva con impazienza che io uscissi dalla mia camera, ma, quando s’accorse che ritardavo, scese giù a parlare del prete con il padrone della locanda.

Il padrone, uomo zelante e perspicace, aveva già mandato a chiamare il prete che abitava non lontano; e, quando il mio signore gli si rivolse dicendogli di mandarlo a chiamare, “Signore,” rispose lui, “il mio amico si trova qui,” e senza altre parole li fece incontrare.

Il mio signore, quando fu davanti al prete, gli domandò se si sentiva di sposare una coppia di forestieri che lo desideravano entrambi.

Il prete disse che il signor… gliene aveva già accennato; sperava che non si trattasse di una faccenda clandestina; lui gli pareva un gentiluomo serio, e s’immaginava che madama non fosse una ragazzina, da aver bisogno del consenso dei parenti.

“Per togliervi questo dubbio,” dice il mio signore, “leggete questa carta,” e tira fuori la licenza.

“Per me è sufficiente,” dice il prete; “dov’è la signora?”

“La vedrete subito,” dice il mio signore.

Ciò detto sale di sopra, e in quel momento io stavo uscendo dalla mia camera; così mi dice che di sotto c’è il prete, il quale, poiché lui gliene aveva già parlato e gli aveva mostrato la licenza, è prontissimo a sposarci; “ma vuole vederti”; e perciò mi chiese di farlo salire.

“Ma è giorno avanzato,” io dico, “non è vero?”

“Ecco, mia cara,” dice lui, “pareva farsi scrupolo che non si trattasse di una fanciulla rapita ai genitori, e perciò gli ho assicurato che siamo tutti e due in età da disporre del nostro consenso; così lui mi ha chiesto di vederti.”

“Bene,” dico io, “come vuoi tu,” e così fanno salire di sopra il prete, un tipo simpatico e cordiale. Gli avevano detto, a quanto pare, che noi ci eravamo incontrati lì per caso, che io ero arrivata da Chester in diligenza e il mio signore mi era venuto incontro in carrozza; avremmo dovuto trovarci la sera prima a Stony-Stratford, ma lui non aveva fatto in tempo.

“Bene, signore,” dice il prete, “non tutto il male vien per nuocere. Vostra, signore, è stata la contrarietà,” dice rivolto al mio signore, “e mia è stata la buona sorte, perché se vi foste incontrati a Stony-Stratford io non avrei adesso l’onore di sposarvi. Padrone, avete un Libro delle Devozioni?”

Io saltai su come spaventata. “Dio mio, signore,” dico, “che volete dire? Sposarci in una locanda, e di sera?”

“Signora,” dice il prete, “se volete, potete sposarvi in chiesa; ma io vi assicuro che, celebrato qui, il vostro matrimonio sarà valido quanto se fosse celebrato in chiesa; i canoni non ci fanno obbligo di celebrare matrimoni esclusivamente in chiesa; se il matrimonio lo vorrete in chiesa, sarà una cosa pubblica quanto una festa di paese; e quanto all’ora, non conta affatto; i nostri principi si sposano nelle loro stanze, alle otto e alle dieci di sera.”

Io ci misi parecchio tempo per farmi convincere, e finsi di non volermi sposare altro che in chiesa. Ma era tutta una commedia; alla fine finsi di lasciarmi convincere, e vennero chiamati di sopra il padrone della locanda e sua moglie. Il padrone fece da padrino e da scrivano, e così ci sposammo in grande allegria; anche se devo confessare che i rimproveri che mi rivolgevo li avevo tuttora in mente, tanto che di quando in quando mi facevano emettere un sospiro profondo, del che il mio sposo si accorse, e fece di tutto per farmi coraggio, credendo, poveretto, che io esitassi di fronte al passo cui m’ero decisa tanto in fretta.

Ci godemmo pienamente quella serata, e tuttavia la cosa restò tanto privata nella locanda che nemmeno uno dei servi ne seppe nulla, dato che si occuparono di me il padrone e la figlia e non fecero venir di sopra nessuna delle cameriere, tranne quando fu servita la cena. Nominai mia ancella la figlia del padrone; e il giorno dopo, mandato a chiamare un bottegaio, regalai alla giovane una serie completa di lavori d’ago, il meglio che offriva il posto, e, poiché scopersi che era un paese di fabbricanti di merletti, regalai alla madre uno scialle di merletto da portare in capo.

Una delle ragioni per cui il padrone della locanda ci stette tanto addosso era che non voleva far sapere nulla al prete della parrocchia; ma, chissà come, qualcuno venne a saperlo, e così la mattina dopo molto presto sentimmo suonar le campane, e sotto le nostre finestre venne la musica, una musica all’altezza di quel posto; ma il padrone raccontò una fandonia, disse che noi ci eravamo sposati prima di arrivar lì, avevamo soltanto fatto nella sua locanda la cena di nozze.

Non avemmo troppa voglia di agitarci il giorno dopo; insomma, a dirla in breve, svegliati dalle campane al mattino, e senza probabilmente aver dormito troppo durante la notte, ci venne subito dopo un tal sonno che restammo in letto fin quasi a mezzogiorno.

Io chiesi alla padrona di non far suonare altra musica in paese e di non far suonare le campane, e lei s’adoperò in modo da lasciarci tranquilli; ma uno strano avvenimento mi tolse per qualche tempo ogni gioia. La camera grande della casa affacciava sulla strada e, mentre il mio sposo era al piano di sotto, io m’ero portata in fondo alla stanza: siccome era una giornata calda e piacevole, avevo aperto la finestra, e me ne stavo lì in piedi a prendere una boccata d’aria quando vidi arrivare tre signori a cavallo, che scesero a una locanda proprio di fronte alla nostra.

Non si poteva negare, né io potevo avere il minimo dubbio, che il secondo dei tre era il mio marito del Lancashire. Io ne fui spaventata mortalmente; non caddi mai in una tale costernazione in vita mia; mi sembrò di sprofondare sottoterra; mi si gelò il sangue nelle vene, e mi misi a tremare come se avessi la febbre. Ripeto che non v’era il minimo dubbio che fosse così; riconoscevo i suoi vestiti, il suo cavallo, la sua faccia.

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