Gai-Jin (61 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Ormai era raro che ciò accadesse perchè da una settimana aveva smesso di prendere il sonnifero ed era diventato molto irrequieto e, benché non se ne lamentasse, dormiva poco.

Angélique tornò a sedere davanti allo specchio compiaciuta dell'immagine che vedeva.

La camicia di seta e pizzo, una copia fatta in Giappone di un modello che aveva portato da Parigi, le dava un'aria molto alla moda:

 

...e non immagineresti mai come lavorano, Colette, né la velocità dei sarti cinesi

 

aveva scritto nel pomeriggio in una lettera che sarebbe partita l'indomani col vapore.

 

Ora posso farmi copiare tutto.

Mandami per favore dei modelli o qualche ritaglio da “La Parisienne” o “L'Haute Couture” dell'ultimissima moda o di qualsiasi cosa ti sembri magnifica... Il mio Malcolm è tanto generoso e tanto ricco! Dice che posso ordinare qualsiasi cosa!

E il mio anello, è un diamante con quattordici brillanti. Gli ho chiesto come avesse fatto a procurarselo qui a Yokohama e lui si è limitato a sorridere. Devo stare davvero attenta a non fare domande sciocche. Oh, Colette, tutto è così fantastico solo che la sua salute mi preoccupa. Migliora troppo lentamente e cammina molto male. Ma cresce invece il suo ardore, poverino, e devo fare attenzione... Adesso mi devo vestire per la festa ma aggiungerò qualcosa prima di chiudere la lettera.

Per il momento il mio eterno affetto.

 

Quant'è fortunata Colette per la quale le gravidanze sono un dono di Dio.

Smettila! Basta, altrimenti torneranno le lacrime e la paura.

Accantona il problema. Hai deciso cosa fare sia nel caso fossi incinta sia nel caso non lo fossi. Lo sei, quindi ora deve scattare il piano prestabilito...

Che cos'altro potresti fare?

Una goccia di profumo dietro le orecchie e tra i seni, un'aggiustatina al pizzo. Un colpo bussato con gentilezza alla porta della camera comunicante. “Malcolm?”

“Entra... sono solo.” Anziché essere a letto Struan era seduto su una poltrona con indosso una vestaglia di seta rossa; aveva uno sguardo strano.

Immediatamente l'istinto la mise in guardia. Richiuse la porta e gli si avvicinò: “Non sei stanco, amore mio?“.

“Sì e no. Sei bella da mozzare il fiato.”

Tese le mani verso di lei e Angélique gli si avvicinò col cuore che batteva forte.

Le mani di lui erano scosse da un forte tremito.

La costrinse ad avvicinarsi e le baciò le mani, le braccia e il petto.

Per un attimo lei non oppose resistenza, lieta della sua adorazione; lo desiderava a sua volta e quindi lo baciò e si lasciò accarezzare. Poi quando l'ardore si fece troppo impetuoso lei si lasciò cadere in ginocchio accanto alla sedia, emozionata quanto lui e cercò di sciogliersi dall'abbraccio.

“Non dobbiamo” mormorò senza fiato.“

“Lo so, ma devo, ti desidero tanto...”

Le labbra di Malcolm ardenti e calde cercavano le sue che rispondevano. Ora la mano di lui le accarezzava una coscia accendendo ancora di più il suo fuoco, e poi con piacevole tormento sali sempre più in alto. E lei avrebbe voluto che non si fermasse ma per non lasciarsi sopraffare si sottrasse un'altra volta sussurrando: “No, chéri”.

Ma questa volta lui reagì con sorprendente forza e stringendola con l'altro braccio in una morsa amorosa, voce e labbra sempre più persuasive, sempre più vicine, la trattenne. All'improvviso, muovendosi bruscamente e senza riflettere, una fitta di dolore lo attraversò. “Oh Cristo!”

“Che cosa succede? Stai bene?” chiese lei spaventata.

“Sì, credo di sì. Dio onnipotente!” Gli ci vollero alcuni minuti per riprendersi perchè quella fitta lancinante, che aveva spento il suo ardore, aveva lasciato una sorda sofferenza forte quanto quella del desiderio.

Teneva ancora le mani su di lei, tremanti ma ormai prive di forza. “Cristo, mi dispiace...”

“Non scusarti, mio caro.” Grata per l'opportunità di riprendere il controllo della situazione, Angélique si alzò e andò a versare una tazza di tè freddo dalla teiera che Malcolm teneva sul comodino; i suoi lombi inquieti e doloranti e nervosi, il cuore agitato le dicevano che non si sarebbe sottratta spontaneamente agli abbracci di Malcolm pur sapendo che lo doveva fare, che sarebbe bastato qualche minuto e non ci sarebbe riuscita; doveva trovare un modo per non rovinare tutto, per non perdere lui, per non far sfumare il loro matrimonio.

Una voce dal passato le ripeté la ben nota litania: “un uomo non sposa mai la sua amante, non concedere niente prima del matrimonio, dopo invece tutto è permesso” insegnatale a forza appena aveva raggiunto l'età per comprenderla.

“Ecco” mormorò porgendogli la tazza di tè. Si inginocchiò e restò a guardarlo: era madido di sudore e teneva gli occhi chiusi.

In un istante il suo disagio e la sua inquietudine si dissolsero. Gli appoggiò una mano sul ginocchio e lui la prese tra le sue.

“Stare così, così vicini non va bene per noi, Malcolm” disse dolcemente. Lui le piaceva molto, le sembrava di amarlo anche se non era davvero sicura di cosa fosse l'amore. “E' difficile per entrambi... noi... chèri, anch'io ti voglio, anch'io ti amo.” Dopo una lunga pausa lui parlò a bassa voce e in tono grave. “Si, ma mi puoi aiutare.”

“Ma non possiamo, non prima del matrimonio, non ancora, non possiamo, non adesso.” Era stato costretto a restarsene seduto per tutta la sera a guardarla mentre danzava tra le braccia di altri uomini che la desideravano.

La frustrazione di essere un infermo che poteva camminare a stento era diventata insopportabile.

Inoltre fino a un mese prima era stato il miglior ballerino di tutta l'Asia e ciò rendeva le cose ancora più difficili.

Perché non subito? avrebbe voluto gridare, che differenza c'è tra un mese o due? Per l'amor del cielo... d'accordo, lo accetto, una ragazza per bene arriva al matrimonio vergine altrimenti è una donna perduta.

Accetto che un gentiluomo non approfitti di lei prima del matrimonio. Lo accetto, eppure esistono altri modi...

“Lo so che... che noi non possiamo” disse in tono gutturale, “ma...

Angélique, ti prego, fai lo stesso qualcosa per me.”

“Ma come?” Le parole gli restarono in gola e rischiarono di soffocarlo: Per l'amor del cielo, quello che fanno le ragazze nelle case, quando ti baciano e ti accarezzano e ti fanno godere, pensi che far l'amore significhi soltanto aprire le gambe e restarsene immobili come bambole, le cose semplici che quelle ragazze farebbero senza vergognarsene e mostrandosi poi anche contente per te alla fine.

“Ehi, va meglio adesso, heya?” Tuttavia Malcolm sapeva che non sarebbe mai riuscito a dirglielo.

Andava contro l'educazione che aveva ricevuto. Come si fa a spiegare una cosa simile alla donna che ami e che è così giovane e inesperta o così egoista o magari soltanto ignorante? All'improvviso la verità gli sembrò stantia. Qualcosa in lui mutò facendogli cambiare umore.

Con voce diversa disse: “Hai proprio ragione Angélique, è difficile per entrambi. Forse sarebbe meglio che tu ti trasferissi di nuovo alla Legazione fino a quando non partiremo per Hong Kong. Adesso che sto guarendo dobbiamo difendere la tua reputazione”.

Lei lo fissò, turbata dal cambiamento. “Ma Malcolm, io qui sto bene, e poi ti sono vicino nel caso tu abbia bisogno di me.”

“Oh sì, ho bisogno di te.” Mosse le labbra in un sorriso ironico.

“Chiederò a Jamie di organizzare le cose.” Angélique esitò incerta sul da farsi. “Se è quello che desideri, chéri.”

“Sì, è la cosa migliore. Come hai detto, stare così vicini è difficile per tutti e due. Buonanotte, amore mio. Sono molto felice che la festa ti sia piaciuta.” Un brivido che non era di freddo percorse Angélique. Lo baciò pronta a ricambiare la sua passione ma della passione non era rimasta nemmeno l'ombra.

Che cosa gli aveva fatto cambiare umore così? “Sogni d'oro, Malcolm.

Ti amo.” Ancora niente.

Non importa, pensò, gli uomini sono lunatici e capricciosi. Sorridendo come se niente fosse aprì la porta, gli lanciò da lontano un tenero bacio e scomparve nella sua stanza.

Lui restò a guardare la porta leggermente socchiusa, come sempre, mentre tutto il resto nel loro mondo era cambiato. La porta e la vicinanza di lei non lo tentavano più, si sentiva diverso, un altro in un certo senso. Non ne conosceva la ragione ma si sentiva molto triste e molto vecchio e uno strano istinto gli diceva che per quanto lui l'amasse e per quanto lei potesse dargli fisicamente, non sarebbe mai stata la donna adatta per soddisfarlo fino in fondo.

Riuscì ad alzarsi a fatica con l'aiuto del bastone e si avvicinò in silenzio allo scrittoio. Nel primo cassetto c'era la bottiglietta con la medicina che conservava gelosamente per le notti in cui l'insonnia diventava insopportabile.

Ne trangugiò l'ultimo sorso e sempre con grande sforzo si trascinò fino al letto. Stringendo i denti riuscì a sdraiarsi e sospirò di sollievo quando gran parte del dolore lo abbandonò.

Il fatto di aver bevuto le ultime gocce della pace notturna non lo preoccupava in alcun modo.

Chen, Ah-Tok o uno qualsiasi dei domestici non avrebbero avuto difficoltà a procurargliene in qualsiasi momento. Dopotutto non era forse la Struan a rifornire d'oppio gran parte della Cina?

Ancora appoggiata contro il battente della porta, in preda a grande turbamento Angélique si chiedeva se ritornare da Malcolm o lasciarlo solo. L'aveva sentito avvicinarsi allo scrittoio e aprire il cassetto ma non ne conosceva il motivo e aveva sentito anche le molle del letto scricchiolare e il lungo sospiro di sollievo.

E' soltanto perchè soffre e perchè non possiamo fare niente, almeno non adesso, pensò soffocando uno sbadiglio nervoso nel tentativo di rassicurarsi. Anche perchè è dovuto restare seduto durante tutta la festa essendo un grande ballerino, il migliore che io abbia mai conosciuto. Non è stato forse questa la prima cosa che mi ha attratto in lui a Hong Kong?

Non c'è niente di male se vuole fare l'amore, e non è colpa mia se è stato ferito. Povero Malcolm, è soltanto sfinito. Domani avrà dimenticato e tutto andrà bene e inoltre se mi trasferisco è meglio perchè c'è l'altro problema da considerare.

Tutto andrà per il verso giusto.

Si infilò sotto le coperte e scivolò senza difficoltà nel sonno ma i suoi sogni vennero popolati da strani mostri dalle faccine contorte e infantili e dalle risate orrende, che la tiravano scrivendo “mamma... mamma” sulle lenzuola con il sangue che le fuoriusciva dalla punta del dito con la quale tracciava e ritracciava quei caratteri, quelli del copriletto incisi per sempre nella sua mente e che non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere ad André o Tyrer di decifrare.

Qualcosa la svegliò all'improvviso. Gli incubi svanirono. Gettò un'occhiata alla porta quasi certa di vedere Malcolm sulla soglia. Ma lui non c'era, dall'altra stanza giungeva il suo respiro debole e regolare perciò Angélique si riadagiò sui cuscini dicendosi che doveva essere stato il vento o un'imposta.

Mon Dieu, sono stanca, ma quanto mi sono divertita alla festa.

E che splendido anello mi ha regalato.

 

Canticchiando la polka e invidiando il successo di John Marlowe, piuttosto certo che avrebbe potuto fare una figura almeno altrettanto buona, Phillip Tyrer arrivò sulla soglia della Casa delle Tre Carpe, nel vicoletto deserto, quasi a passo di danza e battè sulla porta a tempo di musica.

Qui lo Yoshiwara sonnecchiava, ma poco lontano c'erano le case e i bar di Main Street dove fervevano i divertimenti notturni, tra le risate e i canti sguaiati degli uomini, il suono occasionale dei samisen e le battute in pidgin.

Lo spioncino della porta si aprì e una voce maschile gli chiese cosa volesse.

“Parlate giapponese. Sono Taira-san e ho un appuntamento.”

“Ah, davvero?” disse il domestico. “Tairasan eh? Vado a informare la mama-san.” Lo spioncino si richiuse.

Aspettando, Tyrer tamburellava con le dita sul vecchio legno. Era stato costretto a trascorrere l'intera giornata e la sera prima con sir William fornendogli spiegazioni sul conto di Nakama e della Legazione, organizzando un modus vivendi per il suo nuovo insegnante e sentendosi colpevole di non aver rivelato la vitale informazione che l'uomo parlava un pò di inglese. Ma aveva giurato e la parola di un suddito inglese è parola d'onore.

Sir William, alla fine aveva acconsentito a che Nakama fosse apertamente riconosciuto come samurai.

Figli di famiglie samurai avevano soggiornato per brevi periodi nelle Legazioni francese e inglese in passato nello stesso modo in cui Babcott aveva degli assistenti giapponesi.

Tuttavia sir William aveva ordinato che Nakama non indossasse né custodisse armi da taglio entro i confini dell'Insediamento. Era questa una regola che valeva per tutti i samurai con l'eccezione delle guardie dell'Insediamento che, al comando di un ufficiale, svolgevano i loro giri di pattuglia.

Inoltre Nakama avrebbe dovuto evitare di vestirsi in modo appariscente e di avvicinarsi alla Dogana o alla baracca delle guardie e doveva tenersi il più in disparte possibile perchè qualora fosse stato scoperto dalla Bakufu, sir William sarebbe stato obbligato a consegnarglielo.

Tyrer aveva mandato a chiamare Nakama e gli aveva riferito le disposizioni di sir William.

Alla fine si era reso conto di essere troppo stanco per andare da Fujiko. “Ora, Nakama, ho bisogno di far arrivare un messaggio a qualcuno e voglio che sia tu a consegnarlo. Per favore scrivi: 'Ti prego di stabilire...'.

“ Stabilire? non capisco.”

“Organizzare, fissare. 'Ti prego di fissarmi un appuntamento domani sera con...' lascia il nome in bianco.” C'era voluto qualche tempo a Hiraga per capire che cosa si volesse da lui e perchè. Disperato, Tyrer aveva finito per dirgli il nome di Fujiko e quello della Casa delle Tre Carpe.

“Ah, le Tre Carpe?” aveva esclamato il samurai. “So-ka! Dare messaggio mama-san, niente errore, organizzare tu vedere musume domani, giusto?”

“Sì, per favore.” Nakama gli aveva mostrato come scrivere i caratteri e Tyrer li aveva copiati fiero di sé e aveva poi firmato con gran cura il messaggio con il carattere che Hiraga aveva inventato per lui. E adesso eccolo qui davanti alla porta.

“Svelto, non perdere tempo” mormorò ansioso.

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