Conosce molti segreti shishi e conosce il piano di Katsumata per intercettare lo shògun.”
“Disgustoso che si sia lasciato prendere vivo. E' ovvio che tra noi ci sono degli infiltrati.” Ori restituì il manifesto a Hiraga. “Due koku rappresentano una tentazione per chiunque, anche per la più devota mama-san.”
“Ho pensato anche a questo.”
“Fatti crescere la barba o i baffi, Hiraga, potrebbero servire.”
“Sì, potrebbero servire.” Hiraga era felice che Ori fosse tornato in sé perchè i suoi consigli erano sempre preziosi.
“E una strana sensazione sapere che c'è questo manifesto in giro.” Ori ruppe il silenzio. “Tra un giorno o due, poiché mi sento meglio ogni giorno che passa, andrò a Kyòto per cercare Katsumata e avvisarlo di quello che è successo a Joun. Bisogna metterlo in guardia.”
“Sì, è una buona idea, anzi ottima.”
“E tu?”
“Io tra i gai-jin sono al sicuro, anzi sono più al sicuro lì che altrove se nessuno mi tradisce. Akimoto è a Hodogaya, l'ho mandato a chiamare. Poi decideremo.”
“Bene. Sarai più al sicuro se partirai immediatamente per Kyòto prima che questi manifesti vengano spediti lungo tutta la Tokaidò.”
“No. Taira è un'occasione troppo preziosa per lasciarla perdere. Nasconderò lì delle spade in caso di necessità.”
“Procurati una pistola, è più pratica” Ori infilò la mano destra dentro la yokata e grattò le bende che coprivano la ferita.
Hiraga vide con grande stupore la piccola croce d'oro appesa alla catena intorno al suo collo. “Perché porti quella cosa?” Ori si strinse nelle spalle. “Mi piace.”, “Liberatene, Ori... quell'oggetto ti collega all'assassinio della Tokaidò, a Shorin e alla donna. Quella croce rappresenta un inutile pericolo.”
“Molti samurai sono cristiani.”
“Sì, ma lei potrebbe riconoscerla. E' folle correre un simile rischio.
Se vuoi proprio portare una croce procuratene un'altra.” Dopo una pausa Ori disse: “Mi piace questa”.
Hiraga sentendo il tono inflessibile lo maledisse tra sé ma decise che suo principale dovere era difendere il movimento shishi e sonno-joi e che doveva insistere. “Toglitela subito!” A Ori salì il sangue alla testa. Il mezzo sorriso non cambiò sul suo volto ma capì di aver ricevuto un ordine. La scelta era semplice: rifiutare e morire oppure obbedire.
Una zanzara ronzò a pochi centimetri dal suo naso. La ignorò perchè non voleva fare movimenti bruschi.
Lentamente strappò con la mano destra la catena e fece sparire nella tasca della manica la croce e la catena. Poi appoggiò entrambe le mani sul tatami e si inchinò. “Hai ragione, Hiraga-san, è stato un inutile pericolo. Ti prego di accettare le mie scuse.”
Senza dire niente Hiraga ricambiò l'inchino. Soltanto allora si rilassò e Ori si alzò.
Entrambi sapevano che il loro rapporto era cambiato per sempre. Non erano diventati nemici ma non erano più amici, sempre alleati ma mai più amici. Mai più. Mentre Ori sollevava la sua tazza di sakè in un brindisi fu lieto di scoprire che la sua rabbia era così controllata da non fargli tremare le dita. “Grazie.” Hiraga bevve con lui poi si protese verso il contenitore del sakè e riempì le tazze.
“Adesso parlami di Sumomo. Raccontami di lei, per favore.”
“Non ricordo quasi niente.” Ori aprì il ventaglio e scacciò la zanzara.
“La mama-san Noriko mi ha raccontato che Sumomo arrivò come uno spirito con me su una barella e non le disse quasi niente eccetto che un dottore gai-jin mi aveva tagliato e ricucito. Pagò metà dei debiti di Shorin e la convinse a nascondermi. Durante l'attesa Sumomo non parlò quasi mai e si limitò a chiedere di Shorin, di ciò che gli era successo.
Quando il messaggero tornò da Edo con il tuo messaggio parti immediatamente per Shimonoseki. Le uniche notizie erano che Satsuma si sta mobilitando per la guerra e che le vostre batterie choshu hanno fatto fuoco un'altra volta sulle navi gai-jin nello stretto, facendole scappare.”
“Bene. Le hai raccontato tutto di Shorin?”
“Sì. Me l'ha chiesto con grande serietà e poi dopo aver sentito il mio racconto ha detto che sarebbe stato vendicato.”
“Non ha lasciato alla mama-san qualche messaggio o una lettera per me?” Ori si strinse nelle spalle. “Niente.” Forse Noriko ha qualcosa, pensò Hiraga. Non importa, potrà aspettare.
“Stava bene?”
“Sì. Le devo la vita.”
“Sì. Un giorno vorrà farsi pagare il debito.”
“Ripagando lei pagherò te e onorerò sonno-joi.” Restarono seduti in silenzio cercando di immaginare cosa stesse pensando l'altro, cosa stesse pensando davvero.
All'improvviso Hiraga sorrise. “Questa sera all'Insediamento c'era una grande festa con musica volgare e molto alcol, è la loro tradizione quando un uomo stipula un contratto di matrimonio.” Svuotò la tazza d'un fiato. “Non è male questo sakè. Uno dei mercanti, il gai-jin che hai ferito sulla Tokaidò, sposerà quella donna.” Ori non credeva alle sue orecchie. “La donna della croce? E' qui?”
“L'ho vista poche ore fa.”
“Ah!” mormorò Ori tra sé poi finì il sakè e ne versò dell'altro per entrambi. Qualche goccia di liquore finì sul vassoio ma Hiraga non se ne accorse. “Si deve sposare? Quando?” Hiraga si strinse nelle spalle. “Non lo so. Li ho visti insieme questa sera, lui cammina con due bastoni come uno storpio, la tua spada l'ha ferito gravemente, Ori.”
“Bene. E la... la donna com'era?” Hiraga rise. “Esotica, Ori, vestita come un pagliaccio.
“ Descrisse la sua crinolina e l'acconciatura. Poi si alzò e ne imitò l'andatura.
Scoppiarono entrambi a ridere rotolandosi quasi sui tatami. ”... E i seni nudi fin qua, depravata! Prima di venire qui ho spiato da una finestra. Gli uomini l'abbracciavano sotto gli occhi di tutti; ne abbracciava uno dopo l'altro vorticando in una specie di danza, davanti a tutti, al suono di quegli orrendi strumenti, non avresti mai detto che fosse musica! E scalciava le sue gonne facendo vedere fino a metà gamba e i mutandoni bianchi di pizzo alle caviglie. Non ci avrei mai creduto se non l'avessi visto con i miei occhi ma passava da un uomo all'altro come una puttana da un sen e tutti la ammiravano. E lo scemo che la sposerà se ne stava seduto in una sedia a sorridere, figurati!” Cercò di versare dell'altro sakè ma la bottiglia era ormai vuota. “Sakè!” la porta si aprì immediatamente e una cameriera comparve con due bottiglie, riempì le loro tazze e si allontanò.
Hiraga-san ruttò, il sakè stava facendo il suo effetto.
“Si comportavano come bestie. Senza i loro cannoni e le loro navi sono esseri disprezzabili.” Ori guardò fuori della finestra verso il mare.
“Che cosa c'è?” Hiraga era già in guardia. “Qualche pericolo?”
“No, no, niente.” Hiraga si irrigidì ricordando la facoltà di Ori di percepire l'approssimarsi di un pericolo. “Hai delle spade qua?”
“Sì. Me le custodisce Raiko.”
“Detesto non averle con me.”
“Anch'io.” Per qualche tempo restarono a bere in silenzio e poi arrivò il cibo.
Piattini con pesce stufato, riso, sushi e sashimi e un piatto portoghese chiamato tempura, pesce e verdure in una pastella di riso fritta. Quando i portoghesi arrivarono nel 1550 d.C., i primi europei a mettere piede sulle loro terre, i giapponesi non conoscevano la tecnica della frittura.
Quando furono sazi mandarono a chiamare Raiko per farle i complimenti, rifiutarono i servizi di una geisha e lasciarono che si ritirasse dopo un inchino. “Puoi andare anche tu, Fujiko. Domani arriverà dopo il tramonto.”
“Sì, Hiraga-san” Fujiko fece un profondo inchino felice di essere congedata senza altre richieste poiché Raiko le aveva detto che era stata già pagata generosamente. “Grazie per l'onore che mi fate.”
“Ovviamente niente di quello che hai visto o sentito verrà mai riferito a Taira, ad altri gai-jin o a chiunque.” Alzò la testa di scatto. “Ovviamente no, Hiraga-sama.”
Quando incontrò il suo sguardo ebbe un tuffo al cuore.
“Ovviamente no” ripeté con un filo di voce, si prostrò fino ad appoggiare la fronte al tatami e spaventata uscì.
“Ori, corriamo dei rischi a lasciare che quella donna ascolti i nostri discorsi.”
“Qualsiasi donna. Ma né lei né le altre oserebbero mai tradirci.” Ori usò il ventaglio contro gli insetti notturni. “Prima di andarcene potremmo pagare Raiko per mandare Fujiko in una casa di infimo rango dove sia troppo occupata per fare dei danni e dove non sia raggiungibile da nessun gai-jin né dalla Bakufu.”
“Bene, Buon consiglio. Potrebbe costare caro. Secondo Raiko la ragazza per qualche ragione che non capisco è molto popolare presso i gai-jin.”
“Fujiko?”
“Sì. Strano, he? Secondo Raiko i gusti dei gai-jin sono molto diversi dai nostri.” Hiraga vide lo strano sorriso di Ori. “Che cosa c'è?”
“Niente. Ne riparleremo domani.” Hiraga annuì, trangugiò l'ultima tazza di sakè, poi si alzò e, toltosi la rigida yukata fornita come consuetudine dalla casa si rivestì con un kimono ordinario, con un rozzo turbante e un cappello di paglia da coolie e poi si sistemò sulle spalle il cesto vuoto.
“Sei al sicuro così?”
“Sì, fino a quando non mi devo togliere il turbante e comunque ho questi.” Hiraga gli mostrò i due lasciapassare, uno in giapponese e uno in inglese, che Tyrer gli aveva rilasciato. “I soldati al cancello e sul ponte stanno all'erta e altri pattugliano l'Insediamento durante la notte.
Non c'è coprifuoco ma Taira mi ha detto di stare attento.”
Ori restituì i lasciapassare con aria pensierosa.
Hiraga li mise al sicuro in una manica. “Buonanotte, Ori.”
“Sì, buonanotte anche a te, Hiraga-san.” Ori lo guardò in modo strano. “Mi piacerebbe sapere dove vive quella donna.” Hiraga socchiuse gli occhi. “Ah, sì?”
“Sì, vorrei sapere dove vive esattamente.”
“Credo di poterlo scoprire. E poi?” Il silenzio si fece più denso. Ori stava pensando, stanotte non sono sicuro, vorrei esserlo ma ogni volta che mi concedo di ricordare quella notte il mio desiderio è senza fine. Se l'avessi uccisa non esisterebbe più, ma saperla viva mi fa sentire stregato.
Mi ha stregato. E' stupido, stupido, eppure mi ha stregato.
E' una donna malvagia, disgustosa, lo so, ma ne sono ugualmente stregato e sono certo che lo sarò finché vivrà.
“E poi?” ripeté Hiraga.
Ori non aveva lasciato trasparire sul volto nemmeno uno dei suoi pensieri.
Ricambiò lo sguardo del suo compagno e si strinse nelle spalle.
Samurai 1890
Capitolo 20
†
Mercoledì, 15 ottobre
André Poncin sgranò gli occhi: “Siete incinta?”.
“Sì” rispose lei piano. “Sapete, io...”
“E' magnifico, rende tutto perfetto” esclamò André.
La sua sorpresa cedette il posto a un grande sorriso: dopo aver compromesso una signorina illibata, Struan avrebbe dovuto legarsi immediatamente a lei col matrimonio se voleva continuare a chiamarsi gentiluomo.
“Signora, vogliate accettare le mie...”
“Zitto, André, niente congratulazioni e non parlate così forte. I muri hanno orecchie, specialmente alla Legazione” sussurrò stupita di riuscire a mantenere un tono di voce pacato e con tanta disinvoltura.
“Vedete, sfortunatamente il padre non è il signor Struan.”
André rimase interdetto per un istante poi tornò a sorridere.
“State scherzando, ma perchè uno scherzo del genere?”
“Ascoltatemi, per favore.”
Angélique avvicinò la sedia. “A Kanagawa... sono stata stuprata.” Sotto lo sguardo attonito di Poncin, Angélique raccontò quel che era successo, la sua decisione in merito e il suo sforzo di nascondere a tutti l'orrore dell'accaduto.
“Mio Dio, povera Angélique, poverina, che tremenda esperienza” riuscì a mormorare André profondamente colpito. Un altro pezzo del mosaico trova il suo posto, pensò. Sir William, Seratard e Struan avevano deciso di comunicare la notizia dell'intervento chirurgico del dottor Hoag al minor numero di persone possibile. E Angélique non doveva esserne informata perchè secondo i due dottori la notizia avrebbe avuto un'influenza negativa sulla sua salute.
“Perché metterla inutilmente in ansia? L'incidente della Tokaidò l'ha già sconvolta abbastanza.”
Non è ancora il momento di dirglielo, pensò André, a disagio, celando il suo stupore per l'ironia della situazione.
Le prese una mano, gliela accarezzò e accantonò le sue riflessioni per concentrarsi su di lei. Vederla nel suo ufficio, così serena e dimessa, con quegli occhi limpidi e quell'espressione innocente, conferiva al racconto un alone di totale irrealtà. Soltanto qualche ora prima era stata la protagonista del più grandioso ballo mai dato a Yokohama. “E' accaduto davvero? Davvero?”
Angélique sollevò una mano: “Lo giuro su Dio”.
Poi incrociò le mani sul grembo.
Indossava un ampio vestito da giorno giallino e portava un cappellino arancione e l'ombrello.
André scosse il capo perplesso. “Sembra impossibile.” Eppure gli era accaduto spesso di trovarsi coinvolto in tragedie analoghe: alcune volte perchè costretto dai superiori o dal caso e non di rado perchè le aveva provocate personalmente.
Ed era quasi sempre riuscito a usarle a vantaggio della sua causa: la Francia, la rivoluzione, libertà fraternità uguaglianza, oppure l'imperatore Luigi Napoleone o chiunque altro fosse in auge in quel momento, e innanzitutto per se stesso.