Gai-Jin

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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James Clavell

 

 

 

Gai-Jin

 

Titolo originale

Gai-Jin

1995

 

Traduzione di

Katia Bagnoli

 

Prologo


 

Yokohama , 14 settembre 1862

 

In preda al panico, la ragazza galoppava verso la costa, a mezzo miglio di distanza, lungo tortuosi sentieri che attraversavano acquitrini e risaie.

Il sole stava tramontando.

Cavalcava all'amazzone, ma benché esperta riusciva a stento a reggersi in sella.

Nella corsa aveva perduto il cappello e il suo abito verde era coperto di sangue e lacerato dai rovi.

I capelli fulvi e chiari ondeggiavano al vento.

Frustò il pony per farlo galoppare più in fretta.

Ormai riusciva a vedere le casupole del villaggio di pescatori di Yokohama che si affollavano vicino all'alta recinzione e ai canali che delimitavano l'Insediamento Straniero.

Quando vide i campanili delle due chiese capì che nella baia, oltre la recinzione, c'erano i mercanti inglesi, francesi, americani e russi nonché una dozzina di navi da guerra.

Più in fretta.

Lungo stretti ponti di legno, su dighe e canali d'irrigazione che intersecavano acquitrini e risaie.

Il suo pony era coperto di sudore e stanco per la profonda ferita che gli avevano inferto in una spalla.

Scartò.

Fu un momento terribile, ma la ragazza si riprese e lo lanciò di nuovo lungo il sentiero che portava fino al ponte sul canale che circondava l'abitato, e al cancello principale e oltre il corpo di guardia dei samurai e la Dogana giapponese.

I samurai di sentinella tentarono di fermarla, ma la ragazza li caricò e riuscì a imboccare l'ampio lungomare dell'Insediamento.

La ragazza tirò le redini, ansimando.

“Au secoun... à l'aide, aiuto!” gridò senza sosta, e i pochi uomini sulla strada, soprattutto commercianti inglesi e soldati in libera uscita, marinai e qualche raro servo cinese, alzarono gli occhi guardandola stupefatti.

“Dio onnipotente, guarda li! E' la ragazza francese...”

“Cosa succede? Cristo, guarda i suoi vestiti...”

“Accidenti, è lei, quella bella, Angel nonsocosa, arrivata un paio di settimane fa...”

“E' vero, Angélique... Angélique Bisciò o Risciò, un nome francese del genere... Mio Dio, guarda quanto sangue!”

Cominciarono tutti a convergere verso di lei a eccezione dei cinesi che, resi saggi da millenni di guai nati dal nulla, erano scomparsi.

Alcuni volti apparvero alle finestre.

“Charlie, vai a chiamare sir William. Di corsa!”

“Cristo onnipotente, guarda il pony, quel povero diavolo morirà dissanguato, rintraccia il veterinario” gridò un mercante corpulento.

“E tu, soldato, trova subito il generale e il francese, la ragazza è di sua competenza... Oh, per l'amor di Dio, voglio dire il ministro francese, svelto!”

Indicò con un gesto impaziente una casa a un solo piano sulla quale sventolava la bandiera francese.

“Svelto!”

Il soldato corse via mentre il mercante arrancava verso la ragazza con tutta la velocità che le gambe gli permettevano.

Come tutti i mercanti indossava il cappello a cilindro, la finanziera, pantaloni aderenti e stivali, e sotto il sole sudava copiosamente.

“Ma cos'è mai accaduto, signorina Angélique?” chiese prendendo le briglie dalle mani della ragazza.

La sporcizia e il sangue che le ricoprivano il volto, i suoi abiti e i capelli in disordine lo lasciarono atterrito.

“Siete ferita?”

“Moi, non... No, credo di no, ma siamo stati attaccati... i giapponesi ci hanno attaccato.”

Ancora in preda al terrore, Angélique si scostò i capelli dal viso.

Con un gesto veloce indicò l'entroterra verso occidente dove all'orizzonte s'intravedeva vagamente il monte Fuji.

“Laggiù, svelto, hanno bisogno... hanno bisogno di aiuto!”

Gli astanti sbalorditi cominciarono a rumoreggiare riferendo ai vicini le poche notizie di cui venivano a conoscenza e domandando: Chi?

Chi è stato attaccato? Sono francesi o inglesi? Un attacco? Ma dove?

Un'altra volta i bastardi con le due spade! Ma dov'è successo...

Le domande si sovrapponevano le une alle altre senza lasciare alla ragazza il tempo di rispondere.

Ma probabilmente non sarebbe stata in grado di spiegarsi in modo coerente, perchè aveva il respiro corto e tutti quegli uomini che le si stringevano intorno la soffocavano.

Altri arrivarono infilandosi in fretta giacche e cappelli, molti già armati di pistole e moschetti, alcuni con l'ultimo modello di fucile americano a retrocarica.

Uno scozzese barbuto dalle larghe spalle scese di corsa i gradini di un imponente edificio a due piani sul cui portone spiccava un'insegna con la scritta “Struan and Company” e si aprì un varco nella calca fino alla ragazza.

“Calmi, per l'amor di Dio!” gridò, e nell'improvviso silenzio che seguì si rivolse a lei: “Svelta, raccontateci quello che è successo. Dov'è il giovane Struan?”.

“Oh Jamie, ie... io... io ...”

La ragazza fece uno sforzo disperato per restare in sé, disorientata.

“Oh, Mon Dieu!”

L'uomo la incoraggiò con un colpetto su una spalla come se fosse stata una bambina, per tranquillizzarla, vezzeggiandola come facevano tutti.

“Non abbiate paura, adesso siete al sicuro. Con calma. Lasciatela respirare, per l'amor di Dio!”

A trentanove anni Jamie McFay era il direttore generale della filiale giapponese della Struan.

“Raccontateci per bene quello che è accaduto.”

Angélique si asciugò le lacrime.

“Noi... noi siamo stati attaccati dai samurai” disse con un filo di voce, “Eravamo... eravamo sulla grande strada ...”

Indicò un'altra volta l'entroterra, “laggiù.”

“La Tokaidò?”

“Si, credo che si chiami così, Tokaidò ...”

Quella grande strada costiera a pedaggio, a poco più di un miglio a ovest dell'Insediamento, collegava Edo, la capitale proibita dello shògun venti miglia a nord, al resto del Giappone vietato agli stranieri.

“Noi... noi stavamo cavalcando...”

Si arrestò, ma poi le parole sgorgarono tutte insieme:

“Il signor Canterbury e Phillip Tyrer e Malcolm... Il signor Struan... e io, stavamo cavalcando lungo la strada e poi ci siamo fermati per lasciarli passare quando noi... poi due di loro ci hanno assaliti, hanno ferito monsieur, il signor Canterbury, hanno caricato Malcolm... Il signor... che aveva già impugnato la pistola e anche Phillip che mi ha gridato di scappare, di venire a cercare aiuto”.

Gli uomini stavano già montando sulle loro cavalcature e afferrando i fucili.

Si sentivano grida aspre: “Qualcuno chiami l'esercito ...”

“I samurai hanno beccato John Canterbury, Struan e quel giovanotto, Tyrer, li hanno massacrati sulla Tokaidò.”

“Cristo, la francese dice che i samurai hanno ammazzato i nostri ragazzi!”

“Dov'è accaduto?” gridò Jamie McFay sovrastando il frastuono generale e cercando di controllare la sua disperata impazienza.

“Potete descrivermi il luogo dove è accaduto, dove eravate esattamente?”

“Lungo la strada, prima di Kana... Kana qualcosa.”

“Kanagawa?”

Si riferiva a una piccola stazione di cambio e al villaggio di pescatori sulla Tokaidò, un miglio al di là della baia e a circa tre miglia dalla strada costiera.

“Oui... si. Kanagawa! Svelti!”

Dalle scuderie degli Struan vennero portati fuori i cavalli già sellati e pronti a partire. Jamie si mise un fucile a tracolla.

“Non abbiate paura, li troveremo presto. Ma il signor Struan? Avete visto se si è messo in salvo... se è stato ferito?”

“Non ... Non ho visto niente, solo all'inizio, il povero signor Canterbury, lui ... cavalcavo accanto a lui quando lo hanno ...”

Sgorgarono le lacrime.

“Non mi sono girata a guardare, ho obbedito senza... e sono venuta a cercare aiuto.”

Si chiamava Angélique Richaud.

Aveva diciott'anni appena.

E quella era la prima volta che varcava la recinzione dell'Insediamento.

McFay balzò sul suo pony e scomparve.

Dio onnipotente, pensò con angoscia, non abbiamo avuto nessun guaio per più di un anno, in caso contrario non li avremmo mai lasciati andare.

E' colpa mia, Malcolm è l'erede e la colpa è mia!

In nome di Dio, che cosa diavolo è successo?

 

Samurai 1850

Capitolo 1


 

McFay e la sua scorta, una dozzina di mercanti e un ufficiale dei dragoni con tre lancieri non dovettero faticare per trovare John Canterbury sul ciglio della Tokaidò.

Riconoscerlo invece fu tutt'altro che facile.

Era stato decapitato, e brandelli delle sue membra erano sparsi ovunque. Feroci tagli tracciavano disegni complicati su tutto il suo corpo; una sola di quelle ferite sarebbe bastata a ucciderlo.

Di Tyrer e Struan e della colonna di samurai nessuna traccia.

“Jamie, gli altri due saranno stati rapiti?” domandò dubbioso l'americano.

“Non lo so, Dmitri.” McFay cercò di raccogliere le idee.

“Qualcuno dovrebbe tornare indietro a raccontare tutto a sir William e a... procurarsi un sudario o una bara.”

Pallido in volto scrutò i viandanti lungo la strada che a loro volta, pur osservando con estrema attenzione, evitavano con cura di guardare nella sua direzione.

La strada sterrata, ben tenuta, era percorsa da file disciplinate di viaggiatori che andavano e venivano da Edo, la città che un giorno si sarebbe chiamata Tokyo.

Uomini, donne e bambini di tutte le età, ricchi e poveri, quasi tutti giapponesi con l'eccezione di qualche raro cinese dal vestito lungo. Gli uomini costituivano la maggioranza, e tutti indossavano kimono di varie fogge e qualità, e cappelli di stoffa o di paglia d'ogni tipo.

Mercanti, portatori seminudi, monaci buddisti vestiti d'arancione, contadini diretti o di ritorno dal mercato, indovini itineranti, scrivani, insegnanti e poeti.

Portantine e palanchini d'ogni tipo che trasportavano passeggeri o merci erano sostenuti da due, quattro, sei o persino otto portatori.

I pochi samurai impettiti fissavano il passaggio degli stranieri con aria minacciosa.

“Loro sanno chi è stato, lo sanno tutti, dal primo all'ultimo” disse McFay.

“Certo. Matyryevits!”

Dmitri Syborodin, l'americano, un uomo robusto di trentotto anni con i capelli castani, vestito rozzamente e amico di Canterbury, fremeva.

“Sarebbe maledettamente facile costringere uno di loro a parlare.” Avevano notato che una dozzina di samurai fermi in un gruppo poco lontano li stava osservando.

Molti di loro erano armati di archi e frecce.

Tutti gli occidentali conoscevano l'abilità d'arcieri dei samurai.

“Non è così facile, Dmitri” rispose McFay.

Pallidar, il giovane ufficiale dei dragoni, disse con animazione: “Aver a che fare con loro è molto facile, signor McFay, ma agire senza autorizzazione è sbagliato... a meno che non ci attacchino, è ovvio.

Comunque adesso siete piuttosto ai sicuro”.

Settry Pallidar ordinò a uno dei suoi dragoni di arrivare a un distaccamento del campo con una bara.

L'americano sembrò irritato dal suo tono imperioso. “Sarebbe meglio se facesse cercar e qui intorno.

Quando i miei uomini arriveranno collaboreranno con i suoi.

La cosa più probabile è che gli altri due siano feriti e nascosti da qualche parte.”

McFay rabbrividì e mosse un passo verso il cadavere.

“O ridotti così?”

“E' possibile, ma continuiamo a sperare in bene. Voi tre andate da quella parte, tutti voi sparpagliatevi di là, e...”

“Ehi, Jamie” lo interruppe Dmitri che odiava gli ufficiali, le uniformi e i soldati, soprattutto se britannici.

“E se tu e io ce ne andassimo a Kanagawa... magari alla nostra legazione sanno qualcosa.”

Pallidar colse l'ostilità dell'americano ma la ignorò, consapevole del suo eccellente stato di servizio.

Dmitri era di origine cosacca, un ex ufficiale di cavalleria dell'esercito degli Stati Uniti d'America il cui nonno aveva perso la vita combattendo contro gli inglesi nella Guerra Civile del 1812.

“Kanagawa è una buona idea, signor McFay” disse.

“Devono sicuramente sapere quale grande processione di samurai è passata di qua e prima troviamo il colpevole tanto meglio sarà. L'attacco dev'essere stato ordinato da uno dei loro re o principi. Questa volta possiamo inchiodare il bastardo e che Dio l'aiuti.”

“Dio maledica tutti i bastardi” ribatté Dmitri senza mezze misure.

Ancora una volta il capitano, nella sua splendente uniforme, ignorò la provocazione.

Tuttavia decise di non lasciar cadere l'argomento.

“Avete ragione, signor Syborodin” rispose con disinvoltura, “e chiunque volesse chiamare bastardo me farebbe meglio a procurarsi in fretta un secondo, una pistola o una spada, un sudario e un becchino. Signor McFay, avrete tempo in abbondanza prima del tramonto. Io resterò qui in attesa dell'arrivo dei miei uomini, poi ci uniremo alla ricerca. Se a Kanagawa scoprite qualcosa mandateci un messaggio.”

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