Sumomo cadde umilmente in ginocchio. “Noi, noi siamo molto addolorate di non venire con voi, sire, tutto qui, la signora Koiko era tanto triste.
Posso servirvi il tè, sire?” Il silenzio divenne ancora più pesante. Pugni sui fianchi, a gambe divaricate, Yoshi gridò: “Koiko! Dimmi subito cosa c'è!”.
Koiko aprì le labbra ma non ne uscì alcun suono. Il cuore di Sumomo si fermò, poi cominciò a martellarle nelle orecchie, mentre Koiko si rialzava in piedi e piangendo balbettava: “Lei... vedete... lei non è quello che...
Con un balzo si rialzò anche Sumomo e come un fulmine la sua mano destra si infilò nella manica del kimono per prendere uno shuriken.
Yoshi strinse i denti. Sumomo portò il braccio dietro la spalla per prepararsi al lancio. Yoshi era disarmato, un bersaglio facile, e le sue spade erano rimaste nell'altra stanza. Ma si lanciò a sinistra sperando che la finta la confondesse, preparandosi ad avventarlesi contro, gli occhi fissi sulla sua mano.
Imperturbabile, lei lanciò lo shuriken mirando al suo petto.
Il cerchietto puntuto di acciaio percorse la stanza. Convulsamente Yoshi inarcò il corpo in posizione obliqua.
Una delle punte dello shuriken penetrò nella stoffa del kimono lacerandola ma senza sfiorare il corpo e scomparve attraverso la parete di carta andando a conficcarsi in una delle colonne di legno della stanza interna mentre lui, perduto l'equilibrio a causa dello sforzo, batteva contro una parete e restava immobile sul pavimento.
Per un istante tutto sembrò come un sogno al rallentatore...
Sumomo che allungava un'altra volta la mano nella manica del kimono in cerca di un altro shuriken, concentrata soltanto sul grande nemico che giaceva sul pavimento mentre la sua stupida puttana, colpevole di tutto quello che stava accadendo, la fissava a bocca aperta, un ammasso di paura.
Sumomo invece non aveva paura, tutt'altro: si sentiva esaltata, certa che quello fosse l'apogeo della sua esistenza, il momento per cui era nata e per cui era stata addestrata e che ora, invincibile campionessa degli shishi, morendo avrebbe conquistato il suo posto nella leggenda per l'eternità...
Paralizzata, Koiko guardava la scena; era sconvolta all'idea d'essere stata ingannata dal maestro che adorava come un dio e che in cambio le aveva mentito, e anche la ragazza era un inganno e adesso si trovava coinvolta in quella mostruosa cospirazione: il suo signore sarebbe morto e anche se non fosse morto, lei sarebbe caduta in disgrazia e sarebbe stata uccisa dalle sue stesse mani o da quelle dei suoi soldati, e tutto in questa vita era ormai sprecato, non avrebbe sposato il suo samurai, non avrebbe mai avuto i figli che desiderava, non in questa vita, allora meglio farla finita subito anziché aspettare di essere crudelmente giustiziata.
Ma come, come? E poi ricordò il coltello di Sumomo...
Yoshi allungava il collo esitante, rendendosi conto che ci sarebbe stato un altro lancio.
Cercò di rannicchiare i piedi sotto il corpo per prepararsi al balzo che doveva fare se non voleva morire; tutto era così lento, la mente esplodeva al pensiero che si era allevato quella serpe in seno, poi i suoi occhi videro la mano di Sumomo con il secondo shuriken quanti ne avrà?, e i denti scoperti in una smorfia...
Quell'interminabile istante ebbe fine.
Mentre Sumomo esitava esultando per la vittoria, Koiko emerse dalla sua semincoscienza brandendo il coltello. Istintivamente Sumomo cambiò obiettivo, si concentrò, oscillò, guardò Yoshi e cominciò a lanciare.
In quell'istante Koiko si precipitò in avanti, inciampò nell'orlo del kimono e cadde scompostamente quasi addosso a lei.
Lo shuriken si infilò nel suo petto.
Lei urlò e ciò diede a Yoshi il tempo di balzare su Sumomo. La prese per una caviglia e la trascinò a terra, le strinse la gola ma come un'anguilla lei, esperta di arti marziali, riuscì a sfuggirgli e cercò di afferrare l'ultimo shuriken.
Prima che riuscisse a prenderlo, Yoshi le artigliò con dita implacabili parte del kimono e, strappandone una manica, le impedì di muoversi liberamente. Ancora una volta lei sfuggì alla sua presa e in un secondo fu in piedi; ma questa volta anche lui si era alzato.
All'improvviso lei emise un lacerante grido di battaglia, inarcò il braccio e lanciò. Lui restò immobile, come morto.
Ma la mano della ragazza era vuota, il lancio era stato solo una finta poiché l'ultimo shuriken era ancora impigliato nella manica strappata.
Mentre si affannava a cercare di liberarlo dalla stoffa una guardia spalancò la porta alle sue spalle.
“Svelto” gridò Sumomo per distrarlo indicando Koiko che si contorceva gemendo sul pavimento.
Mentre lui si precipitava verso Koiko lei gli sfilò la spada dal fodero, l'alzò e lo colpì ferendolo, e sullo slancio dello stesso movimento si girò per colpire Yoshi. Ma Yoshi, con un balzo all'indietro, aveva scavalcato Koiko precipitandosi verso la stanza interna a prendere le spade. Sumomo si precipitò dietro di lui.
La spada di Yoshi venne estratta dal fodero con un sibilo. Parò il primo colpo violento e piroettò nel poco spazio. Senza paura, Sumomo tornò all'attacco ma il suo colpo venne parato un'altra volta. I due cominciarono a misurare la loro forza.
Un altro colpo, Sumomo maneggiava la spada con maestria, ma Yoshi non era da meno.
Adesso era lui ad attaccare e a essere fermato, poi l'aggirò, lei arretrò attraverso la parete scorrevole di carta cercando maggior spazio, lui la incalzò e insieme volteggiarono nella stanza cercando un momento in cui l'avversario fosse scoperto. Dall'esterno giunsero delle grida. Le sentinelle si bloccarono davanti al soldato ferito caduto sulla soglia.
Sapendo che il tempo stringeva, Sumomo caricò, poi roteò su se stessa per proteggersi, e si mise di schiena contro la porta. I due duellanti si incalzavano colpo su colpo.
Yoshi si voltò e balzò di lato costringendola a scoprirsi ma poi sprecò l'occasione.
Vide Abeh che le si stava avvicinando alle spalle con la spada sguainata.
“No!” ringhiò. “Lasciala a me” e si fece quasi decapitare ritirandosi in modo disordinato.
Obbediente, Abeh aspettò in disparte. Seguì un altro attacco selvaggio.
Yoshi riguadagnò l'equilibrio appena in tempo. Era molto superiore a lei fisicamente, ma non altrettanto allenato.
Le else delle spade rimasero incastrate. Lei si liberò in fretta sapendo che in quel corpo a corpo ravvicinato lui avrebbe avuto la meglio, arretrò e poi con una finta si lanciò in un affondo poco ortodosso ferendolo di taglio a una spalla.
Il colpo avrebbe disarmato un avversario meno abile, ma Yoshi riuscì ad anticiparlo subendone soltanto una ferita lieve.
Tuttavia gridò e abbassò la guardia fingendo un dolore molto forte.
Lei si avventò per finirlo ma lui non era dove avrebbe dovuto essere. La sua spada compì un arco dal basso cogliendola alla sprovvista e le amputò la mano che brandiva la spada all'altezza del polso.
Sumomo fissò sbigottita il moncherino da cui usciva un violento fiotto di sangue. Non sentiva dolore.
Afferrò il polso con l'altra mano per fermare il sangue. I soldati si avvicinarono per catturarla ma ancora una volta Yoshi li fermò; ansimava forte e la scrutava con attenzione.
“Chi sei?”
“Sumomo Fujahito... shishi” rispose col respiro affannato mentre coraggio e forza cominciavano ad abbandonarla. Poi gemette “Sonno-joi” e lasciando il moncherino annaspò in cerca dell'ultimo shuriken, lo trovò, spinse una delle punte avvelenate contro l'altro braccio e barcollò in avanti nell'ultimo disperato tentativo di colpire Yoshi.
Ma Yoshi era in guardia.
Il fendente penetrò tra il collo e le spalle di Sumomo, le attraversò il corpo e uscì sotto l'ascella dalla parte opposta. I soldati presenti trattennero il respiro certi d'aver assistito a un evento che sarebbe stato raccontato nei secoli e che dimostrava come quell'uomo fosse il valoroso discendente di un grande shògun e ne onorasse il nome. Al tempo stesso la vista di tanto sangue aveva impressionato tutti.
Abeh fu il primo a ritrovare la voce. “Che cosa è accaduto, principe?”
“Ho vinto” rispose Yoshi cupo mentre esaminava la ferita sulla spalla coperta dal kimono inzuppato di sangue. Provava un forte dolore al fianco e nel cuore.
“Trova un dottore... poi partiamo.” Gli uomini si precipitarono a eseguire gli ordini.
Abeh distolse gli occhi da ciò che restava di Sumomo. Sul tatami Koiko gemeva e si contorceva in preda a un'atroce sofferenza, affondando le unghie nel tatami, lacerandolo. Abeh le si avvicinò ma venne fermato da Yoshi. “Attento, folle! Faceva parte della cospirazione!” Abeh spostò cautamente il coltello di Sumomo con un calcio. “Voltala!” Abeh obbedì usando il piede anche per la donna.
Non c'era quasi traccia di sangue. Lo shuriken aveva fissato la stoffa del kimono alla pelle e, affondando nella carne, aveva arrestato l'emorragia. Sul suo volto bellissimo come sempre si leggeva una spaventosa agonia.
Yoshi era travolto dall'odio.
Non si era mai trovato tanto prossimo alla morte: l'attacco al mercato non era stato niente, paragonato a questo. Non riusciva neppure a capire come fosse riuscito a cavarsela.
Per almeno mezza dozzina di volte era stato consapevole d'essere sul punto di soccombere, e il terrore della fine gli era sembrato molto diverso da come l'aveva immaginato. Si trattava di un terrore capace di togliere il coraggio a chiunque. In quel momento provava il desiderio di fare Koiko in mille pezzi per punirla del suo tradimento o di abbandonarla alla sua crudele agonia.
Le mani di Koiko ora annaspavano sul petto, intorno alla fonte di quel grande dolore, nel tentativo di rimuoverne la causa. Ma non vi riusciva. Un brivido la scosse. Aprì gli occhi e vide Yoshi, e automaticamente si portò le mani al volto per scostarne i capelli scomposti.
“Aiutami, Tora-chan” singhiozzò, “Ti prego aiutamiii... fa male ...”
“Chi è il tuo mandante? E il suo? Chi?“
“Oh, ti prego aiutaaa... ho male, male... ho cercato di salvare... salvarti...” Le sue parole morirono nell'aria mentre si rivedeva con il coltello in una mano, lui a terra indifeso e lei che con eroismo correva in suo aiuto, a porgergli quel coltello che non sapeva usare, impedendo alla traditrice Sumomo di colpirlo con quel pezzo di ferro volante, prendendo il suo posto, salvandogli la vita così che lui la premiasse e perdonasse, benché non avesse davvero colpe, eccetto quella di averlo servito, compiaciuto, adorato...
“Che cosa ne facciamo di lei?” domandò Abeh, in preda alla nausea.
Lo shuriken era certamente avvelenato e prima o poi, il tempo dipendeva soltanto dal veleno, lei sarebbe morta.
Scaraventatela sopra un mucchio di letame, fu il primo pensiero di Yoshi, lo stomaco gonfio di bile dolciastra, e abbandonatela alle sue sofferenze e ai cani. Si incupì, tormentato; lei era ancora bella, ancora desiderabile, e c'era soltanto quel debole gemito a sottolineare l'orrenda e amara consapevolezza che un'era era finita.
Adesso sarebbe stato solo per sempre. Lei aveva ucciso per sempre la sua fiducia. Se la donna a cui aveva dato tanto affetto aveva potuto tradirlo, chiunque avrebbe potuto farlo. Mai più avrebbe diviso tante cose con una donna, mai più se ne sarebbe fidato.
Mai più.
Lei aveva distrutto quella parte di lui per sempre. Il suo volto si chiuse in una maschera.
“Gettatela...” E poi gli tornarono alla mente le sue sciocche poesie allegre, tutte le risate e il piacere che gli aveva dato, i buoni consigli, l'appagamento.
All'improvviso, davanti alla crudeltà della vita, lo colse un'immensa tristezza. Tra le mani brandiva ancora la spada. Il collo di Koiko era così fragile. Bastò un colpo delicato.
“Sonno-joi, eh?” mormorò accecato dal dolore di averla perduta.
Dannati shishi, era morta per colpa loro. Ma chi era il mandante di Sumomo? Katsumata! Non può essere che lui, stessa tecnica di combattimento, stesse astuzie.
I suoi assassini sono stati sul punto di uccidermi per ben due volte. Non ce ne sarà una terza.
Li distruggerò fino all'ultimo uomo. Finché avrò vita, Katsumata sarà il mio nemico, tutti gli shishi sono miei nemici.
Dannati shishi.
E dannati gai-jin!
In verità la colpa è loro, dei gai-jin. I gai-jin sono una calamità per il nostro paese.
Se non fosse per loro niente di tutto questo sarebbe accaduto, non esisterebbe nessuno schifoso trattato, niente shishi, niente sonno-joi e a Yokohama nessun bubbone in procinto di scoppiare.
Dannati gai-jin.
Adesso pagheranno davvero.
Armatura Samurai 1850
Capitolo 40
†
Yokohama
Nel pomeriggio dello stesso giorno Jamie McFay uscì schiumante di rabbia dall'ufficio del “Yokohama Guardian”.
Si infilò l'ultima edizione del giornale sotto il braccio e imboccò High Street di gran carriera.
Soffiava una fredda brezza salmastra, al largo le onde conferivano al mare un aspetto grigio e minaccioso.
McFay camminava con un passo perfettamente intonato all'umore. Vorrei che Malcolm me ne avesse parlato.
E' fuori di senno, è impazzito del tutto. Questa storia ci creerà soltanto altri problemi.
“Cosa c'è?” gli chiese Lunkchurch vedendo il giornale spiegazzato e l'insolita fretta di McFay.