Divertito, Yoshi guardò per un istante Koiko che aspettava la sua decisione. “Se per ipotesi, il signore della tua terra, Sanjiro, ti ordinasse di sposare un altro uomo e di non fare seppuku?”
“Sono samurai, ubbidirei senza esitare” rispose Sumomo con fierezza, “e ubbidirei anche al mio tutore e a Oda-sama. Ma durante la processione nuziale potrebbe verificarsi un disgraziato incidente.” Yoshi borbottò qualcosa di incomprensibile. “Hai sorelle?” chiese poi.
Sumomo fu stupita dalla domanda. “Sì, signore. Tre.”
“Sono stupide e ostinate come te?”
“Loro... no, signore.”
“Sai cavalcare?”
“Sì, signore.”
“Abbastanza per arrivare fino a Edo?”
“Sì, signore.”
“Koiko, sei sicura che questa ragazza possa soddisfarti se acconsento alla sua partenza?”
“Penso di sì, sire. Io temo piuttosto per me stessa, di non essere in grado di accontentarvi.”
“Questo non potrà mai accadere, Koiko-chan. Dunque, Sumomo, sei sicura di essere in grado di soddisfare le esigenze della signora Koiko?”
“Sì, signore, e la proteggerò con la mia vita.”
“Cercherai anche di migliorare le tue maniere, di diventare meno arrogante, più femminile e diversa da Domu-Gozen?” Domu-Gozen era una celebre donna samurai, amante di uno shògun, una perfida assassina che secoli prima aveva combattuto in battaglia al fianco del suo non meno violento amante.
Yoshi vide Sumomo spalancare gli occhi: sembrava ancora più giovane. “Oh, ma io non sono come lei, signore, niente affatto... darei qualsiasi cosa per assomigliare almeno un poco alla signora Koiko. Qualsiasi cosa.” Yoshi trattenne una risata vedendo Sumomo abboccare alla prima esca che le aveva lanciato. “Puoi andare. Deciderò più tardi.” Quando rimase solo con Koiko si concesse di ridacchiare della ragazza.
“Facciamo una scommessa, Koiko? Scommettiamo un kimono nuovo che Sumomo sarà domata prima di arrivare a Edo, se deciderò di portarvi con me?”
“Domata in quale senso, sire?”
“Nel senso che sarà felice di tornare dai genitori, di obbedire e sposarsi senza fare seppuku.” Koiko scosse il capo sorridendo. “Spiacente ma temo che perderete la scommessa, sire.” Il fatto che lei lo ritenesse capace di commettere un errore di valutazione gli fece perdere parte del buon umore. “Un kimono contro un favore” disse in tono involontariamente aspro.
“Accetto” rispose subito Koiko ridendo, “ma soltanto se con il dono del kimono accetterete da me il favore che avreste chiesto.”
Yoshi socchiuse gli occhi ammirato dal modo in cui lei aveva trasformato il suo errore in una facezia.
Scommettere è sempre un errore, indipendentemente dall'oggetto della scommessa.
Ed è un errore sentirsi troppo sicuri di conoscere le astuzie di cui sono capaci le donne... ma più ancora un errore è una via che porta sicuramente alla disfatta.
Capitolo 38
†
Villaggio di Sakonoshita, Sabato, 6 dicembre
Circondata dalle montagne, circa quaranta miglia a est di Kyòto lungo la Tokaidò, c'era la sesta stazione di cambio, il villaggio di Sakonoshita.
Con l'avanzare del crepuscolo, gli ultimi viaggiatori e gli ultimi portatori si affrettavano, arrancando ripiegati su se stessi per difendersi dalle violente raffiche di vento, a raggiungere la barriera prima della chiusura. Tutti erano esausti e non vedevano l'ora di trovarsi davanti a una ciotola di cibo e una fiaschetta di sakè in una stanza riscaldata.
Anche le sei guardie, i piedi calzati nei sandali con la suola di paglia, che controllavano casualmente i documenti di identità degli uomini che passavano, non vedevano l'ora di abbandonare il loro posto.
“Questa notte nevicherà” borbottò un soldato, “odio l'inverno, odio il freddo e odio questo posto.”
“Tu odi tutto.”
“Non tutto. Mi piace mangiare e fornicare. Nella prossima vita voglio rinascere figlio di un usuraio mercante di riso di Osaka. Così potrò mangiare, bere e fornicare a volontà, e restarmene al calduccio mentre mio padre mi compera il grado di hirazamurai, o almeno quello di goshi, invece di un fetente schifosissimo grado di ashigaru.”
“Illuso! Rinascerai come contadino senza terra, oppure come schiavo in un bordello di decima categoria. Chiudi la barriera.”
“Il sole non è ancora tramontato.”
“Lascia che i ritardatari aspettino domani o paghino la tassa.”
“Se ti sente il capitano ti spedisce nell'Isola Settentrionale dove dicono che mentre pisci ti si gela l'uccello.” La guardia scrutò la strada che veniva da Kyòto, vuota e oppressa da un cielo sempre più cupo e minaccioso.
Una raffica di vento sollevò i loro mantelli di paglia.
“Svelto, tonto” gridò con impazienza all'ultimo uomo, un facchino seminudo che trascinava lentamente il suo pesante fardello. La guardia abbassò la prima sbarra mentre il vento gli sferzava il viso, e poi la seconda, che serviva a rinforzare la barriera, e cominciò ad allontanarsi diretto verso un riparo e una zuppa calda.
“Ehi, guarda là!” Un gruppo di cavalieri si era materializzato all'improvviso da una curva della strada. “Alza, alza!”
“Falli aspettare. Sono in ritardo.” La guardia usò il dorso della mano per ripulire il moccio che gli colava con insistenza dal naso e socchiuse gli occhi contro il forte vento.
Restò a osservare insieme ai compagni i nuovi arrivati: trenta o quaranta uomini in tutto, valutò in modo approssimativo, era troppo stanco per contare. Niente stendardi né insegne, quindi non si trattava di viaggiatori importanti.
Inzaccherati dal fango della strada, montavano pony schiumanti per la stanchezza e cavalcavano in gruppo, stretti intorno a due donne coperte da indumenti pesanti e con i volti nascosti dai veli. La sentinella ridacchiò tra sé.
“Non troveranno neanche una stanza questa notte, tantomeno una cenetta calda perchè il villaggio è pieno. Si fottano.”
Mentre si avvicinavano alla barriera, il capitano Abeh gridò: “Ehi laggiù, aprite!”.
“Sì, arrivo, arrivo” bofonchiò la guardia senza affrettarsi.
Immediatamente se ne pentì: Abeh era già smontato da cavallo e l'aveva colpito stordendolo.
“Aprite questa barriera!” ripeté Abeh con voce stridula. Due cavalieri erano già accanto a lui: Yoshi, con il volto protetto da una sciarpa, e Wataki, che era stato premiato per aver salvato la vita del suo padrone.
Un ufficiale uscì di corsa dalla baracca e guardò sbigottito il suo soldato accasciato al suolo e privo di sensi.
“Cosa succede qui? Siete in arresto.”
“Aprite questa barriera!”
“Siete in arresto.” Abeh scavalcò le sbarre, consapevole del pericolo che correva.
“Aprì la barriera. Svelto.” Le guardie cominciarono a eseguire l'ordine ma l'ufficiale glielo impedì. “Mostratemi i vostri documenti di identità e...”
“Sta' a sentire, scimmione” disse il capitano Abeh avvicinando il volto minaccioso a quello spaventato dell'ufficiale, “ospiti speciali richiedono un trattamento speciale e nessuna perdita di tempo in una sera gelida come questa, quando per di più il sole non è ancora tramontato.”
Detto ciò colpì con violenza l'uomo alla tempia facendolo barcollare. Un secondo colpo lo fece cadere a terra, insieme al soldato. Rivolto alle sentinelle sbalordite Abeh gridò: “Dite a questo scemo di venire a rapporto da me domani all'alba se non vuole che venga a cercarlo io e lo passi a fil di spada insieme a tutti voi!”.
Fece cenno con una mano al gruppo di passare poi montò in sella e ripartì al galoppo.
Nel giro di pochi minuti riuscì a ottenere i migliori alloggi della migliore locanda del villaggio. I viaggiatori che dovevano occupare le stanze requisite da Abeh si inchinarono e scomparvero, grati del privilegio di cedere il passo a ospiti tanto importanti. Erano ricchi mercanti o samurai che non erano preparati ad affrontare l'inevitabile scontro all'ultimo sangue imposto da un eventuale rifiuto.
Quando le porte furono chiuse Yoshi si tolse il cappello e la sciarpa.
Il padrone della Locanda dei Buoni Sogni, un uomo grassottello, era in ginocchio accanto alla porta, il capo chino in attesa di ordini.
Tra sé e sé stava imprecando contro quegli stranieri che non lo avevano avvertito del loro arrivo, e che avevano tutta l'aria di voler distruggere la sua tranquillità.
Chissà chi erano! Non riconosceva nessuno del gruppo e trovava strano che non avessero insegne. Indossavano semplici uniformi della Bakufu, non si chiamavano per nome e nemmeno il samurai che in privato veniva trattato con tanto rispetto dal capitano e che alloggiava nella camera migliore veniva mai interpellato con un titolo onorifico.
E chi erano le due donne? La moglie e la cameriera di un daimyo? o soltanto due puttane di alto bordo? La notizia dell'arrivo di quegli stranieri si era già diffusa in tutta la locanda e il padrone aveva offerto una ricompensa a chiunque avesse fornito informazioni sulla loro identità.
“Come ti chiami, oste?” gli chiese Yoshi.
“Ichi-jo, sire.” Gli era sembrato che sire fosse un titolo adatto a tutte le occasioni.
“Prima un bagno, poi un massaggio e poi la cena.”
“Senz'altro, sire. Posso avere l'onore di indicarvi la strada personalmente?”
“Basta la cameriera. Cenerò qui. Grazie, puoi andare.” L'uomo si inchinò servilmente e poi, una volta eretto, si allontanò camminando come un'anatra.
Il capitano Abeh si occupò della sicurezza: intorno alla casetta di otto stanze sistemò le sentinelle, alcune guardie speciali stazionavano già davanti alle stanze di Koiko, le ultime sulla veranda. Tra queste stanze e quelle di Yoshi c'era una camera occupata da altre due guardie.
“Bene, capitano. Adesso a dormire.”
“Grazie ma non sono stanco, signore.” Yoshi aveva ordinato ai suoi uomini di trattarlo come un goshi qualsiasi eccetto che in privato, dove l'unico titolo consentito era “signore”.
“Invece devi dormire. Ho bisogno di averti in ottima forma domani. Ci aspettano molti giorni di cammino.” Negli occhi del giovane, iniettati di sangue a causa della fatica e del vento, vide accendersi un bagliore.
“Sì?” A disagio Abeh disse: “Vi prego di scusarmi, ma se dovete raggiungere Edo con urgenza sarebbe più sicuro se precedessimo la signora”.
“Va' a dormire” ripeté Yoshi. “Quando un uomo è stanco commette degli errori. Anche colpire l'ufficiale alla barriera è stato un errore.
La sentinella era sufficiente.”
Senza aggiungere altro lo congedò. Abeh si inchinò e uscì imprecando contro se stesso per essersi mostrato tanto sciocco da far rilevare al padrone una cosa ovvia a chiunque. Quel giorno erano stati costretti a fare delle tappe non necessarie per ben tre volte, e il giorno prima per due.
Controllò che tutte le sentinelle fossero al loro posto e andò a sdraiarsi. Nel giro di pochi minuti si addormentò profondamente.
Dopo il bagno, il massaggio e la cena, consumata lentamente malgrado il forte appetito, Yoshi si infilò nel corridoio. Non era stato difficile decidere di portare Koiko con sé: aveva pensato che sarebbe stata una perfetta copertura e aveva chiesto ad Akeda di far sapere a tutti che la stava mandando a Edo con una scorta mentre lui andava al Dente del Drago.
“Perfetto” era stata la risposta di Akeda.
Entrò nella sua stanza. Era vuota, la porta della camera da letto chiusa. “Koiko?” chiamò prima di sedersi sui due cuscini. La porta venne scostata mostrando Sumomo in ginocchio che la teneva aperta per lasciar passare Koiko. Gli occhi bassi, la ragazza aveva i capelli acconciati alla moda di Kyòto, le sopracciglia depilate e un velo di colore sulle labbra. Un piacevole miglioramento, osservò Yoshi.
Appena Kòiko lo vide si inginocchiò e le due donne si inchinarono insieme. Yoshi notò anche che l'inchino di Sumomo era perfetto, con qualcosa della grazia di Koiko, e anche questo gli fece piacere. La dura cavalcata non sembrava aver minimamente stancato la ragazza. Restituì il saluto.
I giacigli con i futon imbottiti di piume d'oca erano già pronti.
Mentre Koiko entrava sorridendo Sumomo richiuse la porta dietro di lei. “Allora, Tora-chan, come state?” gli chiese.
La sua voce era dolce, l'acconciatura perfetta come sempre ma, a differenza del solito, indossava lo stesso kimono della sera prima.
Con un leggero imbarazzo Yoshi notò una sfumatura di disagio in lei quando si sedette. “Il viaggio è troppo faticoso per te?”
“Oh no, i primi giorni sono sempre un pò difficili ma sarò presto dura come ...” I suoi occhi sorridevano. “Come Domu-Gozen.”
Anche Yoshi sorrise, ma si rendeva conto di aver commesso un errore di valutazione. Da due giorni coprivano la distanza di tre stazioni di cambio, ma non era quanto lui avrebbe voluto. Cavalcare la stancava terribilmente. Ho commesso un errore che non avrei dovuto commettere, pensò.
Lei non se ne lamenterà mai e resisterà fino a farsi del male.
E' indispensabile affrettarsi? Sì, lo è. Koiko sarebbe al sicuro in un palanchino con una scorta di dieci uomini? Sì. Sarebbe saggio ridurre le mie guardie del corpo così drasticamente? No. Potrei mandare a chiamare altri uomini a Edo questa notte stessa ma nell'attesa perderei cinque o sei giorni.
L'istinto mi dice di affrettarmi, i gai-jin sono imprevedibili, e Anjo non è da meno, per non parlare di Ogama... non mi ha forse minacciato: “Se non sarai tu a trattare con loro, allora tratterò io”?
“Koiko-chan. Andiamo a letto. Domani è un altro giorno.”
Sumomo giaceva nella stanza adiacente, sdraiata sui caldi futon, un braccio sotto la testa, assonnata senza essere stanca, in pace. Sentiva il respiro regolare di Yoshi e quello lieve di Koiko, appena percettibile.
Dall'esterno giungevano i rumori della notte: un cane che abbaiava in lontananza, il ronzio degli insetti, il vento che faceva stormire le foglie, qualche parola mormorata di tanto in tanto da una sentinella, il rumore delle stoviglie dalla cucina che si risvegliava per i preparativi della nuova giornata.
Durante la prima parte della notte aveva dormito profondamente.
Due giorni di esercizio fisico, di libertà e di vigorosi massaggi la facevano sentire in ottima forma.
Inoltre aveva gradito i complimenti di Koiko sull'acconciatura che era riuscita a eseguire seguendo gli insegnamenti di Teko.
Tutto andava molto meglio di quanto avesse immaginato. Il primo obiettivo era stato raggiunto: era stata accettata. Erano in viaggio verso Edo. E verso Hiraga. Apparteneva al seguito di Yoshi, era ben sistemata.