Gai-Jin (148 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Si, Taira-sama. La famiglia di suo padre.”

“Ma i samurai non possono occuparsi di affari.”

“Esatto, Taira-sama” aveva risposto Hiraga in fretta riuscendo a far sembrare credibile anche quella menzogna. “Ma le famiglie di molti samurai fanno accordi con usurai e costruttori di navi, neh? Quest'uomo viene da importante famiglia di costruttori.”

Aveva introdotto l'argomento di Akimoto, e tutta l'invenzione che lo riguardava, una settimana prima, durante uno di quegli interminabili incontri con sir William in cui a lui toccava restarsene in piedi e rispondere alle domande senza imparare molto in cambio.

“Si chiama Saito, sir William, la sua famiglia è ricca, è in visita qui e vuole vedere le grandi navi della Marina Britannica, ha sentito grandi storie sulla grande marina. Magari voi e lui potete fare insieme una grande fabbrica che costruisce navi.”

Non si trattava di una menzogna al cento per cento. Per generazioni gli antenati di Akimoto avevano vissuto in un villaggio di pescatori ed erano stati una delle tre famiglie di ashigaru che costituivano una sorta di corpo di polizia per conto del padre di Hiraga, capo della vicina famiglia di hirazamurai.

Inoltre Akimoto era personalmente interessato al mare e alle navi da guerra.

Il padre di Hiraga si era adoperato affinché Akimoto potesse frequentare la scuola samurai di Choshu e gli aveva ordinato di imparare tutto il possibile dall'insegnante olandese, uomo di mare, perchè di li a poco il daimyo Ogama avrebbe avuto bisogno di ufficiali che capitanassero le navi choshu e organizzassero la loro nuova marina.

“Eeeh, cugino” gli aveva detto due giorni prima Akimoto, “ancora non riesco a credere che tu sia riuscito a convincerli a mettermi a parte dei loro segreti di guerra.”

Hiraga sospirò. Si era reso conto da tempo che tutto quanto concerneva gli “affari” aveva il potere di ottenere l'immediata attenzione dei gai-jin. La poesia non aveva lo stesso effetto, tantomeno la calligrafia; l'arte di forgiare le spade suscitava invece qualche interesse, come la politica, ma solo nella misura in cui poteva influire sul commercio. Ma l'opportunità di produrre qualcosa che potesse essere venduto con profitto, qualsiasi cosa, navi, cannoni, tazze, coltelli o pezze di seta suscitava un interesse immediato.

Sono peggiori dei mercanti di riso giapponesi! Si nutrono soltanto di denaro.

La sera prima Akimoto aveva alzato il gomito, cosa abbastanza insolita per lui, e aveva cominciato a farneticare sul denaro e i gai-jin e la loro vicinanza.

“Hai ragione, Hiraga, è uno dei loro segreti: sono adoratori del denaro. Denaro! Come sei stato intelligente ad accorgertene così presto! Pensa a quel cane di uno shoya! Guarda come diventa tutto orecchi quando cominci a raccontargli quello che Taira o gli altri cani dicono bellamente in giro sui loro sporchi metodi di fare affari, e di come estorcono i soldi a chiunque ogniqualvolta ne hanno una possibilità, chiamandolo profitto, come se profitto fosse una parola pulita, nutrendosene come se fossero pidocchi.

Quando parli di soldi quella vecchia testa di pesce dello shoya non tira forse fuori il suo miglior sakè per incoraggiarti a dire di più? Certo che lo fa. Lui non è diverso dai gai-jin, adora i soldi, li prende a noi samurai, facendoci indebitare ogni anno di più mentre lui non produce niente, niente! Dovremmo ucciderlo e fare come diceva Ori, appiccare il fuoco a questa cloaca...

“Calmati! Che ti succede?”

“Non voglio calmarmi, voglio agire, voglio combattere, un attacco!

Sono stufo di restarmene seduto ad aspettare.” Akimoto era paonazzo e respirava a fatica, gli occhi iniettati di sangue, e non soltanto per via del liquore bevuto. Il suo pugno enorme si abbatté sul tatami. “Sono stufo di vederti studiare tutta la notte, la testa sempre sui libri, se non fai attenzione ti rovinerai gli occhi e il braccio per la spada e a quel punto sarai spacciato. Attaccare, per questo siamo qui... voglio sonno-joi e lo voglio subito, non domani!”

“Senza preparazione e senza pazienza... quante volte te lo devo dire? Sei diventato come Ori? o quello stupido di Shorin? Perché sei così ansioso di mettere il collo sotto la lama delle guardie?”

“Non sono ansioso... eeh, Hiraga, hai ragione, ti prego di scusarmi ma...” Le sue parole erano rimaste sospese nell'aria e Hiraga era rimasto a guardarlo mentre trangugiava altro sakè.

“Che cosa ti tormenta veramente, Akimoto? Fuori la verità.

Akimoto esitava. “Ho ricevuto notizie da mio padre.” Cominciò il racconto balbettando ma ben presto il discorso era diventato fluente.

“E' arrivata una lettera attraverso la mama-san di Kanagawa... nel villaggio c'è la carestia, in tutta la zona, anche la tua famiglia ne è colpita, molto spiacente di dirtelo.

Due miei cuginetti sono morti.

Tre zii hanno rinunciato al rango di samurai e alle spade, vendute per ripagare almeno in parte il debito con l'usuraio, spade che avevano combattuto a Sekigahara, per diventare pescatori, e si spezzano la schiena dall'alba al tramonto per una ciotola di riso! Tomiko, la figlia di una zia vedova che viveva con noi, è stata costretta a vendere la sua bambina. Il mercante le ha dato abbastanza soldi per nutrire il resto della famiglia per sei mesi, due figli maschi e il padre invalido.

Una settimana più tardi però Tomiko ha lasciato i soldi in una teiera perchè mia madre potesse trovarli e si è buttata dalla scogliera. Insieme ai soldi c'era un biglietto: diceva che il suo cuore era spezzato perchè era stata costretta a vendere la figlia, e che quei soldi potevano aiutare la famiglia a sopravvivere e che non andavano sprecati per sfamare un'inutile bocca...”

Akimoto piangeva lacrime silenziose ma nella sua voce c'era soltanto rabbia.

“Una ragazza così bella, una buona moglie per il mio amico Murai.

Ti ricordi di lui, uno dei ronin choshu morti nell'attacco del tairò? Ti dico una cosa, cugino, è tremendo essere samurai quando non hai né onore né stipendio, quando non hai un luogo dove andare. Ed essere ronin è persino peggio.

Comunque... hai ragione... credo che dovremo imitare i dannati gai-jin se vogliamo le navi da guerra, perchè persino io so che non crescono nelle risaie, e che bisogna trovare il modo di fare dei dannati soldi e diventare come i dannati usurai mercanti di riso. Dannati soldi, dannati gai-jin, dannati...”

“Smettila” gli aveva ordinato Hiraga seccamente porgendogli un'altra fiaschetta di sakè. “Sei vivo e stai lavorando per sonno-joi, domani salirai a bordo di una nave da guerra per imparare e devi accontentarti, cugino.” Intontito, Akimoto si era limitato a scuotere il capo asciugandosi le lacrime.

“Non c'erano altre notizie? Di mio padre, della mia famiglia?”

“Ecco... leggi tu stesso.”

Se Hiraga è con te, lesse, digli che la sua famiglia è in cattive condizioni, che la madre è ammalata, che non hanno più soldi né credito. Se ha qualche possibilità di mandarci del denaro o di procurarci credito, salverà le nostre vite. Ovviamente suo padre non glielo chiederà mai.

Digli anche che la sua futura moglie non è ancora arrivata e che il padre teme per la sua incolumità.

 

Non c'è niente che io possa fare per loro, pensò Hiraga avvicinandosi al nascondiglio nel villaggio e sentendosi sempre più infelice. Il vento si era alzato e faceva frusciare i tetti di paglia, più freddo di prima.

Non c'è niente che io possa fare, dannati soldi! Akimoto ha ragione. Dovremmo mettere in atto il piano di Ori. Una notte come questa sarebbe irreale.

Due o tre capanne in fiamme e il vento porterà l'incendio di casa in casa in men che non si dica. Perché non questa notte? Allora si che i maledetti gai-jin sarebbero costretti a salire a bordo delle loro navi e ad andarsene. Ma partirebbero davvero? Oppure io mi sto soltanto illudendo ed essere divorati da loro è il nostro karma?

Che fare?

Nel dubbio agisci! diceva sempre Katsumata.

E Sumomo? E diretta a Edo. Pensare a lei lo emozionava, ma non riusciva a consolarlo dal senso di rimorso che provava verso la famiglia.

Dovremmo sposarci adesso, sposarci qui, mentre abbiamo ancora tempo. Tornare a casa è impossibile, ci vorrebbero mesi per un viaggio così lungo e restare qui è di importanza vitale, mio padre capirà.

Capirà davvero?

E' di importanza vitale o mi sto soltanto illudendo anche su questo argomento? E perchè Katsumata ha messo Sumomo con Yoshi? Non avrebbe mai rischiato la sua vita senza motivo.

Niente! Io non sono niente.

Dal nulla al nulla, ancora carestie, niente denaro, niente credito e nessuna possibilità di dar loro una mano.

Senza sonno-joi non possiamo fare niente...

All'improvviso fu come se un velo cadesse dalla sua mente e ricordò una spiegazione data da Jamie McFay su alcuni aspetti degli affari e che l'aveva lasciato di stucco.

Senza quasi rendersene conto era di nuovo davanti alla porta dello shoya, bussò e si accomodò sul solito cuscino.

“Shoya, ho pensato di dirvelo perchè possiate prepararvi: credo di essere riuscito a convincere l'esperto di affari gai-jin a incontrarvi nella sua grande casa, dopodomani mattina, per rispondere alle vostre domande.

Io sarò l'interprete.”

Lo shoya lo ringraziò inchinandosi e cercando di nascondere la grande contentezza che provava.

Hiraga proseguì in tono cortese: “Jamie McFay dice che secondo la loro tradizione ci deve essere una contropartita in denaro per le informazioni già passate e per quelle che vi darà dopodomani pari all'equivalente di dieci koku”. Pronunciò l'enorme cifra come se si trattasse di un'inezia e vide lo shoya impallidire senza tuttavia dare in escandescenze come aveva temuto.

“Impossibile” disse il vecchio giapponese con voce soffocata.

“Io gliel'ho detto, ma lui dice che da uomo d'affari e banchiere quale siete, avreste capito il valore delle sue informazioni, e che potrebbe persino spingersi fino a...” Hiraga fece una pausa per controllarsi, ”... fino ad aiutare lo shoya a cominciare una nuova impresa, la prima del genere, nello stile gai-jin e trattando con altri paesi.” Anche in questo caso non si trattava di una vera e propria menzogna.

McFay gli aveva detto di essere interessato a incontrarsi e conversare con un banchiere giapponese, Hiraga aveva gonfiato l'importanza dello shoya e la posizione da lui occupata all'interno del Gyokoyama anche con un solo giorno di preavviso, e che riteneva esistessero diverse possibilità di cooperazione.

Osservò lo shoya, divertito dalla trasparenza dei suoi pensieri, ovviamente sedotto dall'idea di poter sfruttare il sapere di Mukfey per ottenerne dei vantaggi, e per di più con la prospettiva di essere il primo a tentare una simile impresa! “Essere i primi è molto importante” aveva spiegato Mukfey, “il tuo amico giapponese lo capirà se è davvero un uomo d'affari.

Per me è facile fornire le informazioni sulle nostre capacità tecniche e per il tuo amico giapponese sarà altrettanto facile passare a me le informazioni sui metodi e le tecniche giapponesi.” A Hiraga c'era voluto uno sforzo immane per capire quello che l'altro gli stava dicendo.

Per un pò lasciò che lo shoya sognasse e si preoccupasse. Infine disse: “Anche se non capisco le questioni d'affari, shoya, forse sono in grado di ridurre il prezzo chiesto”.

“Oh, se poteste farlo, Otami-sama, fareste contento un povero vecchio, un modesto servitore del Gyokoyama, perchè io dovrei chiedere la loro autorizzazione prima di pagare.”

“Forse potrei far scendere il prezzo fino a tre koku.”

“Mezzo koku forse sarebbe possibile.” Hiraga si maledisse. Aveva dimenticato la prima regola d'oro, come l'aveva definita Mukfey: “Contrattare con pazienza. Si può sempre scendere di prezzo ma mai risalire, e mai aver paura di ridere o piangere o gridare o fingere di andarsene”.

“Dubito che chiedendone dieci, Mukfey sia disposto a scendere fino a tre.”

“Mezzo koku è già un prezzo molto alto.” Se avesse avuto con sé la sua spada, a quel punto Hiraga l'avrebbe sguainata. “Tre koku o ti faccio saltare quella lurida testa” avrebbe detto.

Invece si limitò ad annuire tristemente. “Si, avete ragione.” Cominciò ad alzarsi.

“Forse i miei padroni potrebbero arrivare a un koku.” Hiraga era quasi sulla soglia.

“Molto spiacente, shoya, ma perderei la faccia se cercassi di contrattare un prezzo tanto più basso di quello richiesto e...”

“Tre.” Lo shoya era paonazzo.

Hiraga tornò a sedersi sul cuscino. Gli ci era voluto qualche tempo per adeguarsi alla nuova era, ma non molto. “Cercherò di arrivare a tre koku” disse. “Sono tempi duri. Ho appena saputo che nel mio villaggio e in tutto il feudo di Choshu c'è la carestia. Terribile, neh?” Vide lo shoya socchiudere gli occhi.

“Sì, Otamisama. Presto ci sarà carestia ovunque, persino qui da noi.” Hiraga annuì. “Sì” disse, e aspettò, lasciando che tra loro il silenzio diventasse pesante.

Mukfey gli aveva spiegato il valore del silenzio durante una trattativa, che una bocca cucita al momento giusto può ottenere l'effetto di innervosire l'oppositore poiché contrattare è una forma di combattimento i e ottenere concessioni che non ci si sarebbe mai sognati di chiedere.

Lo shoya si rese conto di essere in trappola ma non capì fino a che punto, né riuscì a prevedere quanto avrebbe dovuto pagare per uscirne.

Fino ad allora le informazioni ricevute valevano almeno dieci volte la cifra richiesta.

Tuttavia meglio essere cauti... quest'uomo è pericoloso, questo Hiraga-Otami-sama impara troppo in fretta, può darsi che dica il vero ma può anche darsi che menta.

In ogni caso è meglio avere un astuto samurai dalla tua parte anziché contro di te. “In tempi difficili gli amici dovrebbero aiutarsi tra loro. Può darsi che il Gyokoyama possa organizzare un piccolo credito per aiutare la vostra famiglia a Choshu.

Come ho già detto, Otami-sama, vostro padre e la sua famiglia sono clienti di tutto rispetto.” Hiraga trattenne le parole amare che in un'altra situazione avrebbe riversato su chiunque l'avesse trattato con tanta condiscendenza. “Sarebbe chiedere troppo” rispose invece, imboccando ormai con sicurezza la strada nel nuovo mondo di profitto e perdite. Il profitto di uno rappresenta la perdita di qualcun altro, aveva spiegato innumerevoli volte Mukfey. “Qualsiasi cosa venga dal grande Gyokoyama sarà apprezzata.

Ma il tempo è un fattore decisivo; posso contare sul fatto che ciò venga compreso? Sì?”

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