“Io dimenticate.”
“Le ho dimenticate...”
“Ah, grazie, le ho dimenticate. Buone novità, Taira-san.” Con molti particolari Hiraga gli aveva raccontato di essersi recato allo Yoshiwara per organizzargli un appuntamento con Fujiko per quella sera stessa.
“Lei è vostra, per tutta la notte, bene, vero?” Per un attimo Tyrer era rimasto senza parole. D'impulso aveva afferrato la mano di Hiraga. “Grazie. Amico mio, grazie.” Poi era tornato a sedersi, aveva preso la pipa e offerto il tabacco a Hiraga che aveva rifiutato trattenendo una risata. “E' fantastico.” La mente di Tyrer era corsa all'appuntamento, il cuore gli batteva, fremente di desiderio.
“Mio Dio, è fantastico.” A fatica aveva accantonato i prepotenti pensieri erotici per concentrarsi sui programmi della giornata. “Hai trovato dove sistemarti al villaggio?”
“Sì, per favore adesso andiamo?” Durante la loro passeggiata verso il quartiere giapponese, bene attenti a mantenere basso il tono di voce e a non parlare in inglese, Tyrer aveva continuato a interrogare Hiraga, scoprendo informazioni preziosissime, come i nomi dello shògun e dell'imperatore.
All'abitazione dello shoya aveva ispezionato il negozio e la dimessa stanzetta in cui Hiraga si sarebbe installato. Poi aveva fatto rientro con lui alla Legazione, pienamente soddisfatto e rassicurato. “Hai visto come lungo la strada sei passato inosservato, anche agli occhi dei soldati, ora che non hai più l'aspetto di un samurai?”
“Sì, Taira-san. Mi volete aiutare, prego?”
“Certo, in che cosa?”
“Vorrei provare indossare tuoi abiti, diventare come gai-jin, sì?”
“Magnifica idea!” Di ritorno alla Legazione, Tyrer si precipitò elettrizzato da sir William per comunicargli i nomi dello shògun e dell'imperatore. “Ho pensato ne voleste essere informato immediatamente, signore. Un'altra cosa: se ho capito bene, Hiraga sostiene che tutti i giapponesi, anche i daimyo, devono avere un permesso per poter visitare Kyòto, residenza dell'imperatore.”
“Chi sono i daimyo?”
“Chiamano così i loro re, signore. E tutti, anche loro, devono farsi dare un permesso per visitare Kyòto. Dice che la Bakufu, che è un altro nome per lo shògunato, una sorta di amministrazione civile, ha paura di concedere il libero accesso alla città.” Aveva cercato di mantenersi calmo, ma le parole sgorgavano a fiotti.
“Se questo è vero, e se in questo momento lo shògun si trova là, dove l'imperatore risiede e dove è concentrato ogni sorta di potere, recarvici, signore, non significherebbe scavalcare la Bakufu?”
“Un'intuizione ispirata” rispose gentilmente sir William con un sorrisetto.
Era arrivato a quella conclusione molto prima che Tyrer finisse di parlare. “Phillip, credo che dovrò modificare il messaggio. Torna tra un'ora, hai prestato un ottimo servizio.”
“Grazie, signore.” Gli aveva poi raccontato del “nuovo” Nakama e del suo nuovo taglio di capelli. “Sono convinto che se riuscissimo a convincerlo a indossare abiti europei diventerebbe sempre più malleabile e naturalmente continuerà a insegnarmi il giapponese mentre io gli insegnerò l'inglese.”
“Ottima idea, Phillip.”
“Grazie, signore, me ne occuperò subito. Posso inviare il conto al nostro tesoriere?” Il buonumore di sir William si incrinò. “Non disponiamo di un esubero di fondi, Phillip, e il Ministero delle Finanze... Va bene. Ma un abito solo. Bada di contenere la spesa.”
Tyrer si era immediatamente congedato e ora, finito il suo lavoro sulla missiva, avrebbe accompagnato Hiraga dal sarto cinese in fondo alla strada.
A quell'ora del giorno High Street era deserta, salvo che per alcuni ubriachi ammassati a ridosso dei moli per proteggersi dal vento. A metà pomeriggio gli uomini erano tutti nei loro uffici, a fare la siesta, o al circolo.
Più tardi, sulla piazza d'armi, era prevista una partita di calcio, marina contro esercito, e Tyrer era ansioso di assistervi, più di quanto non lo fosse di incontrare Jamie McFay, che lo attendeva dopo il sarto.
“E' il capo della Struan qui, Nakama-san, deve essere venuto a sapere di te, e anche del fatto che parli un pò di inglese. Ci si può fidare di lui.”
“So ka? Struan? L'uomo che deve sposarsi?”
“Oh, i servitori ti hanno parlato della festa di fidanzamento?
No, McFay è solo il loro mercante in capo. E' il signor Struan, il tai-pan, quello che sta per sposarsi. In quell'edificio ci sono i suoi magazzini, gli uffici e la sua residenza.”
“So ka?” Hiraga studiò attentamente la costruzione. Difficile da attaccare o penetrare, pensò. Le finestre più basse sono protette da sbarre.
“Questo Struan, con la sua donna, stanno qui?”
Tyrer, pensando a Fujiko, rispose distratto: “Struan abita qui, lei non so. A Londra, questo edificio non sarebbe che una casa qualunque.
Ce ne sono a migliaia così. Londra è la città più ricca del mondo”.
“Più ricca di Edo?” Tyrer rise. “Più ricca di venti, cinquanta Edo, come si dice in giapponese?” Hiraga glielo spiegò, mentre i suoi occhi acuti scrutavano ogni particolare.
Non credeva a quella storia di Londra, era convinto che quasi tutto ciò che Tyrer gli raccontava fosse una bugia inventata per confonderlo.
Ora percorrevano la via che fiancheggiava le case a un piano che ospitavano le Legazioni, facendosi largo tra la spazzatura abbandonata dovunque.
“Perché bandiere diverse, prego?” Tyrer voleva fare pratica di giapponese, ma ogni volta che ci provava Hiraga gli rispondeva in inglese, subito pronto a incalzare con una nuova domanda. Ciononostante gli fornì la spiegazione, indicando col dito: “Sono le Legazioni: li ci sono quella russa e quella americana, laggiù quella francese e più avanti quella prussiana. La Prussia è una nazione molto importante del Continente. Potrei dire...”
“Ah, per favore, hai mappa del tuo mondo?”
“Oh, sì, sarò felice di mostrartela.” Un plotone di soldati si avvicinò e proseguì marciando senza prestare loro alcuna attenzione. “Quelli uomini di Prussia” disse Hiraga facendo attenzione a pronunciare la parola correttamente, “fanno guerra anche contro Francia?”
“A volte. A loro piace combattere, sono sempre in guerra con qualcuno.
Hanno da poco un nuovo re, il cui principale sostenitore è un principe potente di nome Bismarck, che cerca di riunire tutti i popoli che parlano tedesco in un'unica grande nazione e...”
“Per favore, Taira-san, scusa, non così veloce, sì?”
“Ah gomen nasai.”
Tyrer ripeté la spiegazione più lentamente, rispondendo a nuove domande, ogni volta più stupito dalla curiosità, dall'attenzione e dalla prontezza mentale del suo protetto.
Rise. “Dobbiamo fare un patto, un'ora sul mio mondo in inglese, un'ora sul tuo in inglese e un'ora di conversazione in giapponese. Hai?”
“Hai. Domo.”
Quattro uomini a cavallo diretti all'ippodromo li raggiunsero, salutarono Tyrer e fissarono Hiraga con curiosità. Tyrer ricambiò il saluto. Al termine di High Street, all'altezza della barriera, centinaia di coolie carichi degli arrivi pomeridiani di mercanzie e cibo aspettavano davanti all'edificio della Dogana sotto gli occhi attenti dei samurai di guardia.
“Meglio affrettarci, se non vogliamo mescolarci a quella folla di gente” disse. Attraversò la strada evitando gli escrementi dei cavalli, poi all'improvviso si fermò e agitò la mano.
Avevano appena superato la Legazione francese. Angélique, scostate le tende, si era affacciata alla finestra della sua stanza, al pianterreno. Sorrise e rispose con la mano al saluto.
Hiraka finse di non notare il suo sguardo indagatore.
“E la signora che il signor Struan sta per sposare” Tyrer spiegò riprendendo il cammino. “Bella, vero?”
“Hai. Quella è casa sua, sì?”
“Sì.”
“Buonanotte, signor McFay. Ho chiuso tutto.”
“Grazie. Buonanotte, Vargas.” McFay trattenne uno sbadiglio e riprese a scrivere il suo diario, l'ultima incombenza di una giornata di lavoro. A parte i giornali delle due ultime settimane ancora da leggere, la sua scrivania era in ordine, il ripiano della posta in arrivo vuoto, quello della posta in partenza invece, traboccante di lettere di sollecita risposta, ordinativi, distinte di carico già aggiornate e firmate, era pronto per essere svuotato all'alba, alla ripresa delle attività.
Vargas si grattò distrattamente una puntura di pulce, una consuetudine in Asia, e posò la chiave della camera blindata sul tavolo. “Devo portarvi un'altra lampada?”
“No, grazie, ho quasi finito. A domani.”
“Domani verranno i choshu, per le armi.”
“Sì, non l'ho dimenticato, buonanotte.” McFay fu molto contento di restare un pò solo, tranquillo con se stesso nel suo ufficio a pianterreno. Eccetto Vargas, tutti gli impiegati, i contabili e gli altri membri della compagnia avevano i loro quartieri in fondo al magazzino, nell'altra ala del palazzo e la porta di comunicazione tra le due sezioni di notte veniva chiusa.
Sul lato che dava sulla strada, in cui c'erano gli uffici e la camera blindata dove si custodivano le armi, i registri e le casseforti con i dollari messicani d'argento, i tael d'oro, le monete giapponesi, vivevano, oltre a McFay, Struan e Vargas solo Ah Tok e i loro inservienti personali, al piano superiore.
Quando arrivava la posta c'era sempre molto lavoro da sbrigare, spesso fino a notte inoltrata, ma quella era stata una serata davvero intensa perchè, non appena aveva ricevuto da Nettlesmith l'ultimo capitolo di Grandi Speranze, McFay era corso a condividere il suo entusiasmo e a leggerlo pagina dopo pagina con Malcolm Struan, poi era ridisceso, felice che Pip e la sua ragazza se la fossero cavata e soddisfatto della prospettiva di un nuovo romanzo di Dickens annunciato per il numero seguente.
L'orologio del nonno ticchettava piacevolmente.
Con la sua grafia nitida e scorrevole scrisse:
MS si è infuriato per la lettera di sua madre giunta con la posta di oggi (piroscafo Swilt Wind, un giorno di ritardo, un uomo perso in mare causa tempesta al largo di Shanghai, attaccato dalle batterle di terra nello Stretto di Shimonoseki con una ventina di cannonate, nessun danno, grazie a Dio!). La mia risposta alla cannonata della signora S è stata melliflua (ancora non le è giunta notizia della festa, che provocherà un'esplosione da Hong Kong fino a Giava) ma dubito che riuscirà a calmare le acque.
Le ho scritto che A si è trasferita alla Legazione francese ma questo per la signora S non significherà molto, mentre MS per tutto il giorno ha lamentato che A non gli abbia fatto visita, torturando di nuovo Ah Tok e mettendola di pessimo umore, che lei ha trasmesso a tutti gli altri servi, ahi!
Devo riconoscere, che nonostante tutto il suo dolore, MS è molto più saggio di quanto immaginassi, ha un fiuto eccellente per gli affari e in particolare per il commercio internazionale e ora condivide il mio punto di vista sul grande potenziale di questo posto.
Abbiamo discusso del problema dei Brock e ci troviamo d'accordo sul fatto che da qui non sia possibile agire ma che non appena tornerà a HK li affronterà. Si è rifiutato ancora una volta di far ritorno con il postale, Hoag temporeggia e non mi sostiene, dice che più a lungo Malcolm riposa qui meglio sarà, che per lui affrontare un viaggio così difficile potrebbe essere pericoloso.
Ho avuto un primo incontro con il giapponese Nakama (non dev'essere il suo vero nome) che è certamente molto più importante di quanto finge di essere. Un samurai, un fuorilegge ronin, che parla un pò di inglese, che si sarebbe tagliato i capelli perchè ha deciso di abbandonare la sua condizione di samurai e che vuole indossare i nostri abiti, dev'essere fuori dalla norma, e va seguito con attenzione. Se la metà di quello che dice corrisponde al vero, abbiamo fatto i grazie a Tyrer, sia benedetto, un grande passo avanti. Peccato che Nakama non sappia niente di affari, l'unica informazione utile che ci ha fornito è che il maggiore centro commerciale del Giappone è Osaka, e non Edo, quindi dovremmo ottenere quanto prima l'accesso a quella città. Nakama va sicuramente curato e...
Sentì bussare contro una delle imposte.
Diede un'occhiata all'orologio: erano quasi le dieci.
Un'ora di ritardo.
Non importa, il tempo in Asia non corre come da noi.
Senza fretta si alzò, fece scivolare la rivoltella nella tasca laterale della finanziera, andò verso la sua porta privata e l'aprì. Fuori attendevano due donne avvolte in mantelli con il cappuccio e accompagnate da un servitore.
Si inchinarono.
Invitò le donne a entrare, allungò qualche moneta all'uomo che lo ringraziò e si inchinò di nuovo sparendo nella viuzza secondaria che portava allo Yoshiwara.
McFay richiuse la porta. “Salve, Nemi, voi tutte belle, eh?” Sorrise e abbracciò una delle donne.
Sotto il cappuccio la ragazza sorrise, sembrava scintillare. Era la sua musume da un anno e da sei mesi lui la manteneva. “Salve, Jami-san, stai bene, sì? Questa musume mia sorella, Shizuka. Carina, vero?” L'altra ragazza aveva scostato nervosamente il cappuccio accennando un sorriso. Lui ritrovò il respiro, Shizuka era giovane come Nemi e non meno fresca e attraente. “Hai!” disse.
Le due ragazze sospirarono di sollievo: il primo esame era stato superato. Era la prima volta che McFay si trovava a scegliere una ragazza per qualcun altro.
Imbarazzato, aveva chiesto a Nemi di insistere con la mama-san che la ragazza era per il tai-pan e doveva essere speciale. Le ragazze avevano poco più di vent'anni e gli arrivavano a malapena alle spalle. Ora si sentivano un pò più a loro agio, pur sapendo entrambe che il vero ostacolo era ancora da superare.
“Shizuka, sono contento di conoscerti. Tai-pan uomo importante” disse con gentilezza, poi si rivolse a Nemi toccandosi il fianco all'altezza della ferita di Struan. “Sa della ferita, vero?”
Nemi annuì con un sorriso smagliante. “Hai, io spiegato, Jami-san!
Dozo, mantello qui o sopra?”
“Di sopra.” Le precedette verso la grande scala bene illuminata dalle lampade a olio, mentre Nemi parlottava alla nuova ragazza che aveva gli occhi sgranati dallo stupore.
Era sua abitudine, di tanto in tanto, mandare a chiamare Nemi affinché passasse la notte da lui; il servo tornava poco prima dell'alba per riaccompagnarla alla piccola dimora che le aveva comprato all'interno del recinto della sua casa, la Locanda della Gioia Straripante.