Authors: Dante
Non scese mai con sì veloce moto
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foco di spessa nube, quando piove
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da quel confine che più va remoto,
com’ io vidi calar l’uccel di Giove
per l’alber giù, rompendo de la scorza,
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non che d’i fiori e de le foglie nove;
e ferì ’l carro di tutta sua forza;
ond’ el piegò come nave in fortuna,
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vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
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del trïunfal veiculo una volpe
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che d’ogne pasto buon parea digiuna;
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
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quanto sofferser l’ossa sanza polpe.
Poscia per indi ond’ era pria venuta,
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l’aguglia vidi scender giù ne l’arca
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del carro e lasciar lei di sé pennuta;
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
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“O navicella mia, com’ mal se’ carca!”
Poi parve a me che la terra s’aprisse
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tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
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che per lo carro sù la coda fisse;
e come vespa che ritragge l’ago,
a sé traendo la coda maligna,
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trasse del fondo, e gissen vago vago.
Quel che rimase, come da gramigna
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vivace terra, da la piuma, offerta
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forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse, e funne ricoperta
e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto
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che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato così ’l dificio santo
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mise fuor teste per le parti sue,
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tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
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simile mostro visto ancor non fue.
Sicura, quasi rocca in alto monte,
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seder sovresso una puttana sciolta
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m’apparve con le ciglia intorno pronte;
e come perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
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e basciavansi insieme alcuna volta.
Ma perché l’occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
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la flagellò dal capo infin le piante;
poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo
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a la puttana e a la nova belva.
“Deus, venerunt gentes,”
alternando
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or tre or quattro dolce salmodia,
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le donne incominciaro, e lagrimando;
Ma poi che l’altre vergini dier loco
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a lei di dir, levata dritta in pè,
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rispuose, colorata come foco:
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
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e dopo sé, solo accennando, mosse
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me e la donna e ’l savio che ristette.
Così sen giva; e non credo che fosse
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lo decimo suo passo in terra posto,
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quando con li occhi li occhi mi percosse;
e con tranquillo aspetto “Vien più tosto,”
mi disse, “tanto che, s’io parlo teco,
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ad ascoltarmi tu sie ben disposto.”
Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco,
dissemi: “Frate, perché non t’attenti
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a domandarmi omai venendo meco?”
Come a color che troppo reverenti
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dinanzi a suo maggior parlando sono,
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che non traggon la voce viva ai denti,
avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: “Madonna, mia bisogna
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voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono.”
Ed ella a me: “Da tema e da vergogna
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voglio che tu omai ti disviluppe,
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sì che non parli più com’ om che sogna.
Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,
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fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
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che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sarà tutto tempo sanza reda
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l’aguglia che lasciò le penne al carro,
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per che divenne mostro e poscia preda;
ch’io veggio certamente, e però il narro,
a darne tempo già stelle propinque,
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secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,
nel quale un cinquecento diece e cinque,
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messo di Dio, anciderà la fuia
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con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buia,
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qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
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perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia;
ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte
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sanza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e sì come da me son porte,
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così queste parole segna a’ vivi
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
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di non celar qual hai vista la pianta
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ch’è or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta,
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con bestemmia di fatto offende a Dio,
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che solo a l’uso suo la creò santa.
Per morder quella, in pena e in disio
cinquemilia anni e più l’anima prima
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bramò colui che ’l morso in sé punio.
Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima
per singular cagione essere eccelsa
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l’interdetto,
Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto
fatto di pietra e, impetrato, tinto,
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sì che t’abbaglia il lume del mio detto,
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
che ’l te ne porti dentro a te per quello
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che si reca il bordon di palma cinto.”
E io: “Sì come cera da suggello,
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che la figura impressa non trasmuta,
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segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perché tanto sovra mia veduta
vostra parola disïata vola,
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che più la perde quanto più s’aiuta?”
“Perché conoschi,” disse, “quella scuola
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c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
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come può seguitar la mia parola;
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
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da terra il ciel che più alto festina.”
Ond’ io rispuosi lei: “Non mi ricorda
ch’i’ stranïasse me già mai da voi,
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né honne coscïenza che rimorda.”