Purgatorio (74 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Non scese mai con sì veloce moto   

   

               
foco di spessa nube, quando piove

111
         
da quel confine che più va remoto,

               
com’ io vidi calar l’uccel di Giove

               
per l’alber giù, rompendo de la scorza,

114
         
non che d’i fiori e de le foglie nove;

               
e ferì ’l carro di tutta sua forza;

               
ond’ el piegò come nave in fortuna,   

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vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.

               
Poscia vidi avventarsi ne la cuna   

               
del trïunfal veiculo una volpe

120
         
che d’ogne pasto buon parea digiuna;

               
ma, riprendendo lei di laide colpe,

               
la donna mia la volse in tanta futa

123
         
quanto sofferser l’ossa sanza polpe.

               
Poscia per indi ond’ era pria venuta,   

               
l’aguglia vidi scender giù ne l’arca

126
         
del carro e lasciar lei di sé pennuta;

               
e qual esce di cuor che si rammarca,

               
tal voce uscì del cielo e cotal disse:

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“O navicella mia, com’ mal se’ carca!”

               
Poi parve a me che la terra s’aprisse   

               
tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago

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che per lo carro sù la coda fisse;

               
e come vespa che ritragge l’ago,

               
a sé traendo la coda maligna,

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trasse del fondo, e gissen vago vago.

               
Quel che rimase, come da gramigna   

               
vivace terra, da la piuma, offerta

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forse con intenzion sana e benigna,

               
si ricoperse, e funne ricoperta

               
e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto

141
         
che più tiene un sospir la bocca aperta.

               
Trasformato così ’l dificio santo   

               
mise fuor teste per le parti sue,

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tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.

               
Le prime eran cornute come bue,

               
ma le quattro un sol corno avean per fronte:

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simile mostro visto ancor non fue.

               
Sicura, quasi rocca in alto monte,   

               
seder sovresso una puttana sciolta

150
         
m’apparve con le ciglia intorno pronte;

               
e come perché non li fosse tolta,

               
vidi di costa a lei dritto un gigante;

153
         
e basciavansi insieme alcuna volta.

               
Ma perché l’occhio cupido e vagante

               
a me rivolse, quel feroce drudo

156
         
la flagellò dal capo infin le piante;

               
poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,

               
disciolse il mostro, e trassel per la selva,

               
tanto che sol di lei mi fece scudo

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a la puttana e a la nova belva.

PURGATORIO XXXIII

               
“Deus, venerunt gentes,”
alternando   

               
or tre or quattro dolce salmodia,

3
             
le donne incominciaro, e lagrimando;

               
e Bëatrice, sospirosa e pia,

               
quelle ascoltava sì fatta, che poco

6
             
più a la croce si cambiò Maria.

               
Ma poi che l’altre vergini dier loco   

               
a lei di dir, levata dritta in pè,

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rispuose, colorata come foco:

               
“Modicum, et non videbitis me;

               
et iterum
, sorelle mie dilette,

12
           
modicum, et vos videbitis me.”

               
Poi le si mise innanzi tutte e sette,   

               
e dopo sé, solo accennando, mosse

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me e la donna e ’l savio che ristette.

               
Così sen giva; e non credo che fosse   

               
lo decimo suo passo in terra posto,

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quando con li occhi li occhi mi percosse;

               
e con tranquillo aspetto “Vien più tosto,”

               
mi disse, “tanto che, s’io parlo teco,

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ad ascoltarmi tu sie ben disposto.”

               
Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco,

               
dissemi: “Frate, perché non t’attenti   

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a domandarmi omai venendo meco?”

               
Come a color che troppo reverenti   

               
dinanzi a suo maggior parlando sono,

27
           
che non traggon la voce viva ai denti,

               
avvenne a me, che sanza intero suono

               
incominciai: “Madonna, mia bisogna

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voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono.”

               
Ed ella a me: “Da tema e da vergogna   

               
voglio che tu omai ti disviluppe,

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sì che non parli più com’ om che sogna.

               
Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,   

               
fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda

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che vendetta di Dio non teme suppe.

               
Non sarà tutto tempo sanza reda   

               
l’aguglia che lasciò le penne al carro,

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per che divenne mostro e poscia preda;

               
ch’io veggio certamente, e però il narro,

               
a darne tempo già stelle propinque,

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secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,

               
nel quale un cinquecento diece e cinque,   

               
messo di Dio, anciderà la fuia

45
           
con quel gigante che con lei delinque.

               
E forse che la mia narrazion buia,   

               
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,

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perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia;

               
ma tosto fier li fatti le Naiade,

               
che solveranno questo enigma forte

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sanza danno di pecore o di biade.

               
Tu nota; e sì come da me son porte,   

               
così queste parole segna a’ vivi

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del viver ch’è un correre a la morte.   

               
E aggi a mente, quando tu le scrivi,   

               
di non celar qual hai vista la pianta

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ch’è or due volte dirubata quivi.

               
Qualunque ruba quella o quella schianta,   

               
con bestemmia di fatto offende a Dio,

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che solo a l’uso suo la creò santa.

               
Per morder quella, in pena e in disio

               
cinquemilia anni e più l’anima prima

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bramò colui che ’l morso in sé punio.

               
Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima

               
per singular cagione essere eccelsa

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lei tanto e sì travolta ne la cima.   

               
E se stati non fossero acqua d’Elsa   

   

               
li pensier vani intorno a la tua mente,

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e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,   

               
per tante circostanze solamente

               
la giustizia di Dio, ne l’interdetto,

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conosceresti a l’arbor moralmente.   

               
Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto

               
fatto di pietra e, impetrato, tinto,

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sì che t’abbaglia il lume del mio detto,

               
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,

               
che ’l te ne porti dentro a te per quello   

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che si reca il bordon di palma cinto.”

               
E io: “Sì come cera da suggello,   

               
che la figura impressa non trasmuta,

81
           
segnato è or da voi lo mio cervello.

               
Ma perché tanto sovra mia veduta

               
vostra parola disïata vola,

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che più la perde quanto più s’aiuta?”

               
“Perché conoschi,” disse, “quella scuola   

               
c’hai seguitata, e veggi sua dottrina

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come può seguitar la mia parola;

               
e veggi vostra via da la divina

               
distar cotanto, quanto si discorda

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da terra il ciel che più alto festina.”

               
Ond’ io rispuosi lei: “Non mi ricorda

               
ch’i’ stranïasse me già mai da voi,

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né honne coscïenza che rimorda.”

               
“E se tu ricordar non te ne puoi,”   

               
sorridendo rispuose, “or ti rammenta

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come bevesti di Letè ancoi;

               
e se dal fummo foco s’argomenta,   

               
cotesta oblivïon chiaro conchiude

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colpa ne la tua voglia altrove attenta.

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