Purgatorio (54 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Ma quando disse: “Lascia lui e varca;   

               
ché qui è buono con l’ali e coi remi,

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quantunque può, ciascun pinger sua barca”;

               
dritto sì come andar vuolsi rife’mi   

               
con la persona, avvegna che i pensieri

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mi rimanessero e chinati e scemi.

               
Io m’era mosso, e seguia volontieri

               
del mio maestro i passi, e amendue

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già mostravam com’ eravam leggeri;   

               
ed el mi disse: “Volgi li occhi in giùe:   

               
buon ti sarà, per tranquillar la via,

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veder lo letto de le piante tue.”

               
Come, perché di lor memoria sia,   

               
sovra i sepolti le tombe terragne

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portan segnato quel ch’elli eran pria,

               
onde lì molte volte si ripiagne

               
per la puntura de la rimembranza,

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che solo a’ pïi dà de le calcagne;

               
sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza   

               
secondo l’artificio, figurato

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quanto per via di fuor del monte avanza.

               
Vedea colui che fu nobil creato   

   

               
più ch’altra creatura, giù dal cielo

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folgoreggiando scender, da l’un lato.

               
Vedëa Brïareo fitto dal telo   

               
celestïal giacer, da l’altra parte,

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grave a la terra per lo mortal gelo.

               
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,   

               
armati ancora, intorno al padre loro,

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mirar le membra d’i Giganti sparte.

               
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro   

               
quasi smarrito, e riguardar le genti

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che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.

               
O Nïobè, con che occhi dolenti   

               
vedea io te segnata in su la strada,

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tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!

               
O Saùl, come in su la propria spada   

               
quivi parevi morto in Gelboè,

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che poi non sentì pioggia né rugiada!

               
O folle Aragne, sì vedea io te   

               
già mezza ragna, trista in su li stracci

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de l’opera che mal per te si fé.

               
O Roboàm, già non par che minacci   

               
quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento

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nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.

               
Mostrava ancor lo duro pavimento   

               
come Almeon a sua madre fé caro

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parer lo sventurato addornamento.

               
Mostrava come i figli si gittaro   

               
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,

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e come, morto lui, quivi il lasciaro.

               
Mostrava la ruina e ’l crudo scempio   

               
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:

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“Sangue sitisti, e io di sangue t’empio.”

               
Mostrava come in rotta si fuggiro   

               
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,

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e anche le reliquie del martiro.

               
Vedeva Troia in cenere e in caverne;   

               
o Ilïón, come te basso e vile

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mostrava il segno che lì si discerne!

               
Qual di pennel fu maestro o di stile   

               
che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi

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mirar farieno uno ingegno sottile?

               
Morti li morti e i vivi parean vivi:

               
non vide mei di me chi vide il vero,

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quant’ io calcai, fin che chinato givi.

               
Or superbite, e via col viso altero,   

               
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto

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sì che veggiate il vostro mal sentero!

               
Più era già per noi del monte vòlto

               
e del cammin del sole assai più speso

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che non stimava l’animo non sciolto,

               
quando colui che sempre innanzi atteso

               
andava, cominciò: “Drizza la testa;   

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non è più tempo di gir sì sospeso.   

               
Vedi colà un angel che s’appresta   

               
per venir verso noi; vedi che torna

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dal servigio del dì l’ancella sesta.   

               
Di reverenza il viso e li atti addorna,

               
sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;

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pensa che questo dì mai non raggiorna!”

               
Io era ben del suo ammonir uso

               
pur di non perder tempo, sì che ’n quella

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materia non potea parlarmi chiuso.

               
A noi venìa la creatura bella,

               
biancovestito e ne la faccia quale

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par tremolando mattutina stella.   

               
Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;

               
disse: “Venite: qui son presso i gradi,

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e agevolemente omai si sale.

               
A questo invito vegnon molto radi:   

               
o gente umana, per volar sù nata,

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perché a poco vento così cadi?”

               
Menocci ove la roccia era tagliata;

               
quivi mi batté l’ali per la fronte;   

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poi mi promise sicura l’andata.

               
Come a man destra, per salire al monte   

               
dove siede la chiesa che soggioga

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la ben guidata sopra Rubaconte,

               
si rompe del montar l’ardita foga

               
per le scalee che si fero ad etade

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ch’era sicuro il quaderno e la doga;

               
così s’allenta la ripa che cade

               
quivi ben ratta da l’altro girone;

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ma quinci e quindi l’alta pietra rade.

               
Noi volgendo ivi le nostre persone,

               
“Beati pauperes spiritu!”
voci   

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cantaron sì, che nol diria sermone.   

               
Ahi quanto son diverse quelle foci   

               
da l’infernali! ché quivi per canti

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s’entra, e là giù per lamenti feroci.

               
Già montavam su per li scaglion santi,

               
ed esser mi parea troppo più lieve

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che per lo pian non mi parea davanti.

               
Ond’ io: “Maestro, dì, qual cosa greve

               
levata s’è da me, che nulla quasi

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per me fatica, andando, si riceve?”

               
Rispuose: “Quando i P che son rimasi   

               
ancor nel volto tuo presso che stinti,

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saranno, com’ è l’un, del tutto rasi,

               
fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,

               
che non pur non fatica sentiranno,

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ma fia diletto loro esser sù pinti.”

               
Allor fec’ io come color che vanno   

               
con cosa in capo non da lor saputa,

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se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;

               
per che la mano ad accertar s’aiuta,

               
e cerca e truova e quello officio adempie

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che non si può fornir per la veduta;

               
e con le dita de la destra scempie

               
trovai pur sei le lettere che ’ncise

               
quel da le chiavi a me sovra le tempie:

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a che guardando, il mio duca sorrise.

PURGATORIO XIII

               
Noi eravamo al sommo de la scala,   

               
dove secondamente si risega

3
             
lo monte che salendo altrui dismala.

               
Ivi così una cornice lega

               
dintorno il poggio, come la primaia;

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se non che l’arco suo più tosto piega.

               
Ombra non lì è né segno che si paia:   

               
parsi la ripa e parsi la via schietta   

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col livido color de la petraia.

               
“Se qui per dimandar gente s’aspetta,”   

               
ragionava il poeta, “io temo forse

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che troppo avrà d’indugio nostra eletta.”

               
Poi fisamente al sole li occhi porse;   

               
fece del destro lato a muover centro,

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e la sinistra parte di sé torse.

               
“O dolce lume a cui fidanza i’ entro

               
per lo novo cammin, tu ne conduci,”

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dicea, “come condur si vuol quinc’ entro.

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