Purgatorio (48 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Poi disse un altro: “Deh, se quel disio

               
si compia che ti tragge a l’alto monte,

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con buona pïetate aiuta il mio!

               
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;   

               
Giovanna o altri non ha di me cura;   

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per ch’io vo tra costor con bassa fronte.”

               
E io a lui: “Qual forza o qual ventura   

               
ti travïò sì fuor di Campaldino,

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che non si seppe mai tua sepultura?”

               
“Oh!” rispuos’ elli, “a piè del Casentino   

               
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,

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che sovra l’Ermo nasce in Apennino.

               
Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,

               
arriva’ io forato ne la gola,

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fuggendo a piede e sanguinando il piano.

               
Quivi perdei la vista e la parola;

               
nel nome di Maria fini’, e quivi

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caddi, e rimase la mia carne sola.

               
Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:

               
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno   

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gridava: ‘O tu del ciel, perché mi privi?

               
Tu te ne porti di costui l’etterno

               
per una lagrimetta che ’l mi toglie;

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ma io farò de l’altro altro governo!’

               
Ben sai come ne l’aere si raccoglie   

               
quell’ umido vapor che in acqua riede,

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tosto che sale dove ’l freddo il coglie.

               
Giunse quel mal voler che pur mal chiede   

               
con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento

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per la virtù che sua natura diede.

               
Indi la valle, come ’l dì fu spento,

               
da Pratomagno al gran giogo coperse   

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di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,   

               
sì che ’l pregno aere in acqua si converse;

               
la pioggia cadde, e a’ fossati venne

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di lei ciò che la terra non sofferse;

               
e come ai rivi grandi si convenne,

               
ver’ lo fiume real tanto veloce   

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si ruinò, che nulla la ritenne.

               
Lo corpo mio gelato in su la foce

               
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse

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ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce   

               
ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;

               
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,   

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poi di sua preda mi coperse e cinse.”

               
“Deh, quando tu sarai tornato al mondo   

               
e riposato de la lunga via,”

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seguitò ’l terzo spirito al secondo,

               
“ricorditi di me, che son la Pia;   

               
Siena mi fé, disfecemi Maremma:   

               
salsi colui che ’nnanellata pria   

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disposando m’avea con la sua gemma.”

PURGATORIO VI

               
Quando si parte il gioco de la zara,   

               
colui che perde si riman dolente,

3
             
repetendo le volte, e tristo impara;

               
con l’altro se ne va tutta la gente;

               
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,

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e qual dallato li si reca a mente;

               
el non s’arresta, e questo e quello intende;

               
a cui porge la man, più non fa pressa;

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e così da la calca si difende.

               
Tal era io in quella turba spessa,

               
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,

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e promettendo mi sciogliea da essa.

               
Quiv’ era l’Aretin che da le braccia   

   

               
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,

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e l’altro ch’annegò correndo in caccia.   

               
Quivi pregava con le mani sporte   

               
Federigo Novello, e quel da Pisa

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che fé parer lo buon Marzucco forte.

               
Vidi conte Orso e l’anima divisa   

               
dal corpo suo per astio e per inveggia,

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com’ e’ dicea, non per colpa commisa;

               
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,

               
mentr’ è di qua, la donna di Brabante,

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sì che però non sia di peggior greggia.

               
Come libero fui da tutte quante

               
quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,

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sì che s’avacci lor divenir sante,

               
io cominciai: “El par che tu mi nieghi,   

               
o luce mia, espresso in alcun testo

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che decreto del cielo orazion pieghi;

               
e questa gente prega pur di questo:

               
sarebbe dunque loro speme vana,

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o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?”

               
Ed elli a me: “La mia scrittura è piana;   

               
e la speranza di costor non falla,

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se ben si guarda con la mente sana;

               
ché cima di giudicio non s’avvalla

               
perché foco d’amor compia in un punto

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ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;

               
e là dov’ io fermai cotesto punto,

               
non s’ammendava, per pregar, difetto,

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perché ’l priego da Dio era disgiunto.

               
Veramente a così alto sospetto   

               
non ti fermar, se quella nol ti dice

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che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.

               
Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice;

               
tu la vedrai di sopra, in su la vetta

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di questo monte, ridere e felice.”

               
E io: “Segnore, andiamo a maggior fretta,

               
ché già non m’affatico come dianzi,

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e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta.”

               
“Noi anderem con questo giorno innanzi,”

               
rispuose, “quanto più potremo omai;

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ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.

               
Prima che sie là sù, tornar vedrai

               
colui che già si cuopre de la costa,

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sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.

               
Ma vedi là un’anima che, posta

               
sola soletta, inverso noi riguarda:

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quella ne ’nsegnerà la via più tosta.”

               
Venimmo a lei: o anima lombarda,   

               
come ti stavi altera e disdegnosa

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e nel mover de li occhi onesta e tarda!

               
Ella non ci dicëa alcuna cosa,   

               
ma lasciavane gir, solo sguardando

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a guisa di leon quando si posa.   

               
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando

               
che ne mostrasse la miglior salita;

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e quella non rispuose al suo dimando,

               
ma di nostro paese e de la vita   

               
ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava

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“Mantüa…,” e l’ombra, tutta in sé romita,   

               
surse ver’ lui del loco ove pria stava,   

               
dicendo: “O Mantoano, io son Sordello

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de la tua terra!”; e l’un l’altro abbracciava.

               
Ahi serva Italia, di dolore ostello,   

               
nave sanza nocchiere in gran tempesta,

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non donna di province, ma bordello!   

               
Quell’ anima gentil fu così presta,

               
sol per lo dolce suon de la sua terra,

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di fare al cittadin suo quivi festa;

               
e ora in te non stanno sanza guerra

               
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode   

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di quei ch’un muro e una fossa serra.

               
Cerca, misera, intorno da le prode

               
le tue marine, e poi ti guarda in seno,

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s’alcuna parte in te di pace gode.

               
Che val perché ti racconciasse il freno   

               
Iustinïano, se la sella è vòta?

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Sanz’ esso fora la vergogna meno.

               
Ahi gente che dovresti esser devota,   

               
e lasciar seder Cesare in la sella,

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se bene intendi ciò che Dio ti nota,

               
guarda come esta fiera è fatta fella

               
per non esser corretta da li sproni,

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poi che ponesti mano a la predella.

               
O Alberto tedesco ch’abbandoni   

               
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,

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e dovresti inforcar li suoi arcioni,

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