Purgatorio (45 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Poi fece il segno lor di santa croce;   

               
ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:

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ed el sen gì, come venne, veloce.

               
La turba che rimase lì, selvaggia   

               
parea del loco, rimirando intorno

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come colui che nove cose assaggia.

               
Da tutte parti saettava il giorno   

               
lo sol, ch’avea con le saette conte

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di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,

               
quando la nova gente alzò la fronte

               
ver’ noi, dicendo a noi: “Se voi sapete,

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mostratene la via di gire al monte.”   

               
E Virgilio rispuose: “Voi credete

               
forse che siamo esperti d’esto loco;

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ma noi siam peregrin come voi siete.   

               
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,

               
per altra via, che fu sì aspra e forte,   

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che lo salire omai ne parrà gioco.”   

               
L’anime, che si fuor di me accorte,

               
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,

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maravigliando diventaro smorte.   

               
E come a messagger che porta ulivo   

               
tragge la gente per udir novelle,

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e di calcar nessun si mostra schivo,

               
così al viso mio s’affisar quelle

               
anime fortunate tutte quante,

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quasi oblïando d’ire a farsi belle.

               
Io vidi una di lor trarresi avante   

               
per abbracciarmi, con sì grande affetto,

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che mosse me a far lo somigliante.

               
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!   

               
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

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e tante mi tornai con esse al petto.

               
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

               
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,   

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e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

               
Soavemente disse ch’io posasse;   

               
allor conobbi chi era, e pregai

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che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.

               
Rispuosemi: “Così com’ io t’amai

               
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:

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però m’arresto; ma tu perché vai?”

               
“Casella mio, per tornar altra volta   

               
là dov’ io son, fo io questo vïaggio,”

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diss’ io; “ma a te com’ è tanta ora tolta?”   

               
Ed elli a me: “Nessun m’è fatto oltraggio,   

               
se quei che leva quando e cui li piace,

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più volte m’ha negato esto passaggio;

               
ché di giusto voler lo suo si face:

               
veramente da tre mesi elli ha tolto

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chi ha voluto intrar, con tutta pace.

               
Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto

               
dove l’acqua di Tevero s’insala,

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benignamente fu’ da lui ricolto.

               
A quella foce ha elli or dritta l’ala,

               
però che sempre quivi si ricoglie

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qual verso Acheronte non si cala.”

               
E io: “Se nuova legge non ti toglie   

               
memoria o uso a l’amoroso canto

108
         
che mi solea quetar tutte mie doglie,

               
di ciò ti piaccia consolare alquanto

               
l’anima mia, che, con la sua persona

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venendo qui, è affannata tanto!”   

               
“Amor che ne la mente mi ragiona”
   

               
cominciò elli allor sì dolcemente,   

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che la dolcezza ancor dentro mi suona.

               
Lo mio maestro e io e quella gente

               
ch’eran con lui parevan sì contenti,

117
         
come a nessun toccasse altro la mente.

               
Noi eravam tutti fissi e attenti   

               
a le sue note; ed ecco il veglio onesto

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gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?

               
qual negligenza, quale stare è questo?

               
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

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ch’esser non lascia a voi Dio manifesto.”   

               
Come quando, cogliendo biado o loglio,   

               
li colombi adunati a la pastura,

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queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

               
se cosa appare ond’ elli abbian paura,

               
subitamente lasciano star l’esca,

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perch’ assaliti son da maggior cura;

               
così vid’ io quella masnada fresca

               
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,

               
com’ om che va, né sa dove rïesca;

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né la nostra partita fu men tosta.   

PURGATORIO III

               
Avvegna che la subitana fuga   

               
dispergesse color per la campagna,

3
             
rivolti al monte ove ragion ne fruga,

               
I’ mi ristrinsi a la fida compagna:

               
e come sare’ io sanza lui corso?

6
             
chi m’avria tratto su per la montagna?

               
El mi parea da sé stesso rimorso:   

               
o dignitosa coscïenza e netta,

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come t’è picciol fallo amaro morso!

               
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,   

               
che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,

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la mente mia, che prima era ristretta,   

               
lo ’ntento rallargò, sì come vaga,

               
e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio

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che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.   

               
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,   

               
rotto m’era dinanzi a la figura,

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ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.

               
Io mi volsi dallato con paura   

               
d’essere abbandonato, quand’ io vidi

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solo dinanzi a me la terra oscura;

               
e ’l mio conforto: “Perché pur diffidi?”   

               
a dir mi cominciò tutto rivolto;

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“non credi tu me teco e ch’io ti guidi?

               
Vespero è già colà dov’ è sepolto   

               
lo corpo dentro al quale io facea ombra;

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Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.   

               
Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,   

               
non ti maravigliar più che d’i cieli

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che l’uno a l’altro raggio non ingombra.

               
A sofferir tormenti, caldi e geli   

               
simili corpi la Virtù dispone

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che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.

               
Matto è chi spera che nostra ragione   

               
possa trascorrer la infinita via

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che tiene una sustanza in tre persone.

               
State contenti, umana gente, al
quia
;   

               
ché, se potuto aveste veder tutto,   

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mestier non era parturir Maria;

               
e disïar vedeste sanza frutto   

               
tai che sarebbe lor disio quetato,

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ch’etternalmente è dato lor per lutto:

               
io dico d’Aristotile e di Plato

               
e di molt’ altri”; e qui chinò la fronte,

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e più non disse, e rimase turbato.

               
Noi divenimmo intanto a piè del monte;   

               
quivi trovammo la roccia sì erta,

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che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.

               
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,   

               
la più rotta ruina è una scala,

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verso di quella, agevole e aperta.

               
“Or chi sa da qual man la costa cala,”   

               
disse ’l maestro mio fermando ’l passo,

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“sì che possa salir chi va sanz’ ala?”

               
E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso

               
essaminava del cammin la mente,

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e io mirava suso intorno al sasso,

               
da man sinistra m’apparì una gente   

               
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,

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e non pareva, sì venïan lente.

               
“Leva,” diss’ io, “maestro, li occhi tuoi:   

               
ecco di qua chi ne darà consiglio,

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se tu da te medesmo aver nol puoi.”

               
Guardò allora, e con libero piglio

               
rispuose: “Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;

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e tu ferma la spene, dolce figlio.”

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