Authors: Dante
Lunga la barba e di pel bianco mista
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portava, a’ suoi capelli simigliante,
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de’ quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante
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fregiavan sì la sua faccia di lume,
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ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.
“Chi siete voi che contro al cieco fiume
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fuggita avete la pregione etterna?”
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diss’ el, movendo quelle oneste piume.
“Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
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che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d’abisso così rotte?
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o è mutato in ciel novo consiglio,
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che, dannati, venite a le mie grotte?”
Lo duca mio allor mi diè di piglio,
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e con parole e con mani e con cenni
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reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
Poscia rispuose lui: “Da me non venni:
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donna scese del ciel, per li cui prieghi
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de la mia compagnia costui sovvenni.
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com’ ell’ è vera,
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esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai l’ultima sera;
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ma per la sua follia le fu sì presso,
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che molto poco tempo a volger era.
Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
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che questa per la quale i’ mi son messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
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conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
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come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive e Minòs me non lega;
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di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
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per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
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se d’esser mentovato là giù degni.”
“Marzïa piacque tanto a li occhi miei
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mentre ch’i’ fu’ di là,” diss’ elli allora,
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“che quante grazie volse da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
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che fatta fu quando me n’usci’ fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
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bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
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d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
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sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
ché non si converria, l’occhio sorpriso
d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
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ministro, ch’è di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
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là giù colà dove la batte l’onda,
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porta di giunchi sovra ’l molle limo:
null’ altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
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però ch’a le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
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prendere il monte a più lieve salita.”
Così sparì; e io sù mi levai
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sanza parlare, e tutto mi ritrassi
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al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El cominciò: “Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
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questa pianura a’ suoi termini bassi.”
L’alba vinceva l’ora mattutina
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che fuggia innanzi, sì che di lontano
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conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
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com’ om che torna a la perduta strada,
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che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
Quando noi fummo là ’ve la rugiada
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pugna col sole, per essere in parte
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dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l’erbetta sparte
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soavemente ’l mio maestro pose:
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ond’ io, che fui accorto di sua arte,
porsi ver’ lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
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quel color che l’inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
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che mai non vide navicar sue acque
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omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque:
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oh maraviglia! ché qual elli scelse
l’umile pianta, cotal si rinacque
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subitamente là onde l’avelse.
Già era ’l sole a l’orizzonte giunto
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lo cui meridïan cerchio coverchia
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Ierusalèm col suo più alto punto;
e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
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che le caggion di man quando soverchia;
sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov’ i’ era, de la bella Aurora
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per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso mare ancora,
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come gente che pensa a suo cammino,
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che va col cuore e col corpo dimora.
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
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per li grossi vapor Marte rosseggia
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giù nel ponente sovra ’l suol marino,
cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
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che ’l muover suo nessun volar pareggia.
Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto
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l’occhio per domandar lo duca mio,
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rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d’ogne lato ad esso m’appario
un non sapeva che bianco, e di sotto
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a poco a poco un altro a lui uscìo.
Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
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allor che ben conobbe il galeotto,
gridò: “Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
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omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi che sdegna li argomenti umani,
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sì che remo non vuol, né altro velo
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che l’ali sue, tra liti sì lontani.
Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo,
trattando l’aere con l’etterne penne,
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che non si mutan come mortal pelo.”
Poi, come più e più verso noi venne
l’uccel divino, più chiaro appariva;
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ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
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