Gai-Jin (9 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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I due uomini sono riusciti a fuggire prima d'essere catturati e puniti.” Tornò a guardare i due samurai.

“In quanto a voi, tornate al primo turno di sentinella per la sentenza.” Katsumata disse: “Sire, posso suggerirvi d'aggiungere nella lettera che sono stati scacciati, dichiarati ronin e privati della paga? E che una taglia è offerta per le loro teste?”.

“Due koku. Quando torneremo a Satsuma farete affiggere l'offerta della taglia nei loro villaggi.”

Lanciata un'ultima occhiata a Shorin e Ori, Sanjiro li congedò con un cenno della mano.

I due s'inchinarono profondamente e uscirono.

Sanjiro notò con piacere che i loro kimono erano intrisi di sudore benché il pomeriggio fosse fresco.

“Katsumata, quanto a Yokohama” disse a bassa voce quando fu di nuovo solo col suo consigliere, “manda qualcuna delle tue spie migliori a vedere cosa sta succedendo laggiù. Ordinagli di tornare prima di notte e ordina a tutti i samurai di prepararsi per la battaglia.”

“Si, sire.”

Katsumata tenne per sé un sorriso di soddisfazione.

Lasciato Sanjiro e superate le guardie del corpo, Katsumata raggiunse i due giovani.

“Seguitemi.” Li condusse attraverso il labirinto dei giardini fino a una porta secondaria incustodita.

“Andate immediatamente a Kanagawa, alla Locanda dei Fiori di Mezzanotte. E' una casa sicura dove troverete altri compagni. Svelti!”

“Ma, sensei” obiettò Ori.

“Prima dobbiamo procurarci altre spade e corazze e denaro e ...”

“Silenzio!” Irato, Katsumata estrasse da una manica del kimono una piccola borsa con alcune monete che diede a Ori.

“Prendete questa e restituitemi il contenuto raddoppiato per la vostra insolenza. Al tramonto ordinerò agli uomini di darvi la caccia con la consegna di uccidervi se vi trovano nel raggio di un ri da qui.”

Un ri equivaleva a circa una lega, più o meno tre miglia.

“Si, sensei, mi scuso d'essere stato così sgarbato.”

“Le tue scuse non sono accettate. Siete due stupidi.

Avreste dovuto uccidere tutti e quattro i barbari. Non soltanto uno, e soprattutto uccidere la ragazza perchè questo avrebbe fatto diventar matti di rabbia i gai-jin! Quante volte ve l'ho detto? Non sono civilizzati come noi, e vedono il mondo, la religione e le donne in modo diverso! Siete due inetti!

Due stupidi! Avete dato inizio a un buon attacco per poi mancare di portarlo a fondo implacabilmente senza riguardo per le vostre vite. Avete esitato! Perciò avete perso! Stupidi” ripeté.

“Avete dimenticato tutto quello che vi ho insegnato.”

Colpì Shorin con un violento manrovescio.

Immediatamente Shorin s'inchinò, mormorò un'umile scusa per aver causato al sensei la perdita di wa, l'armonia interiore, e tenne la testa bassa cercando disperatamente di contenere il dolore.

Ori aspettava irrigidito il secondo colpo che gli avrebbe lasciato un livido bruciante.

Anch'egli chiese scusa umilmente e tenne chino il capo dolorante, preoccupato di quello che sarebbe seguito.

Un giorno un loro compagno, il miglior allievo di spada della scuola, aveva risposto sgarbatamente a Katsumata durante una dimostrazione. Senza una parola Katsumata aveva riposto la sua spada e l'aveva aggredito a mani nude disarmandolo, umiliandolo e spezzandogli entrambe le braccia.

Poi l'aveva espulso e rispedito al suo villaggio senza appello.

“Vi prego di scusarmi, sensei” ripeté Shorin con fervore.

“Andate alla Locanda dei Fiori di Mezzanotte. Quando riceverete un mio messaggio obbedirete immediatamente a qualsiasi richiesta perchè non avrete un'altra possibilità! Immediatamente, capito?”

“Sì, sì, sensei, vi prego di scusarmi” mormorarono all'unisono i due, e afferrate le estremità del kimono corsero via, grati di potersi mettere al riparo dalle sue mani feroci.

Ai loro occhi il vecchio maestro d'armi era assai più temibile di Sanjiro. Katsumata era stato il loro maestro per anni sia nell'arte della guerra sia, in segreto, nell'arte della strategia, nello studio e nell'analisi della storia: passato, presente e futuro, degli errori della Bakufu e dei Toranaga, del cambiamento che doveva verificarsi nel paese e delle tecniche che l'avrebbero accelerato.

Katsumata era uno dei pochi shishi clandestini a essere anche un hatomoto, un onorato ufficiale ascoltato dal suo signore, un samurai con una paga personale di mille koku all'anno.

 

“Eh, essere così ricchi” aveva sussurrato Shorin a Ori il giorno in cui l'avevano scoperto.

“I soldi non sono niente, niente. Il sensei dice che quando hai il potere non hai bisogno di soldi.”

“Sono d'accordo, ma pensa alla tua famiglia, a tuo padre, al mio, e al nonno, potrebbero comprare un pò di terra e non dovrebbero più lavorare i campi degli altri, né sfiancarsi dall'alba al tramonto per guadagnare qualcosa in più.”

“Hai ragione.” Poi Shorin aveva riso.

“Non c'è bisogno di preoccuparsi, noi non arriveremo mai a guadagnare nemmeno cento koku, e se ci capitasse andremmo a spenderceli in ragazze e sakè e diventeremmo soltanto daimyo del Mondo Fluttuante. Mille koku sono tutti i soldi del mondo!”

“No, non è così. Non ti dimenticare quello che ci ha detto il sensei.”

Un giorno, durante una delle sessioni segrete del gruppo di accoliti, Katsumata aveva spiegato:

“L'appannaggio di Satsuma ammonta a settecentocinquantamila koku e appartiene al nostro signore, il daimyo, e viene spartito secondo il suo giudizio.

Questa è un'altra delle tradizioni che verranno modificate dalla nuova amministrazione.

Quando il grande cambiamento sarà avvenuto l'appannaggio di un feudo sarà stabilito da un Consiglio di stato composto da samurai saggi di qualsiasi rango, alto o basso, di qualsiasi età purché dotati della necessaria saggezza e purché si siano dimostrati uomini d'onore.

Lo stesso varrà per tutti i feudi, e il paese sarà governato da un Consiglio supremo di stato a Edo o a Kyòto, anch'esso composto da samurai d'onore, sotto la guida del Figlio del Cielo”.

“Sensei, avete detto qualsiasi samurai? Posso chiedere se ciò significa anche i Toranaga?” chiese Ori.

“Qualsiasi samurai, senza eccezione, purché l'uomo sia un prode.”

“Sensei, per favore, a proposito dei Toranaga. Si conosce a quanto ammonta la loro reale ricchezza, quanta terra controllino veramente?”

“Dopo la battaglia di Sekigahara Toranaga s'impossessò delle terre dei suoi nemici morti acquisendo una rendita annuale di circa cinque milioni di koku, più o meno un terzo di tutta la ricchezza del Giappone, per sé e per la sua famiglia. Per l'eternità.”

Nello sbalordito silenzio che segui Ori parlò esprimendo il pensiero di tutti:

“Con una simile ricchezza, noi, noi potremmo avere la più grande marina del mondo, con tutti gli uomini e i cannoni e i fucili necessari, potremmo avere le legioni migliori equipaggiate con le armi migliori, potremmo scacciare tutti i gai-jin!”.

“Potremmo persino far loro la guerra e estendere i nostri confini” aggiunse a bassa voce Katsumata, “e lavare l'onta subita.”

Tutti avevano capito che stava parlando del tairò, il generale Nakamura, il predecessore di Toranaga e grande feudatario, il grande contadino generale che aveva avuto il dominio delle Porte.

In segno di gratitudine per i suoi servigi l'imperatore l'aveva insignito del massimo titolo a cui un uomo di umili origini potesse aspirare, quello di tairò, dittatore.

Ma Nakamura invece aspirava ossessivamente a occupare la carica di
shògun, carica che non avrebbe mai potuto ottenere.

Dopo aver sottomesso il paese, soprattutto per aver persuaso il nemico Toranaga a giurare eterna alleanza a lui e a suo figlio, aveva riunito un'enorme armata e dato inizio a una vasta campagna contro il Chosen, o Corea, come a volte era chiamato.

Voleva portare in quel paese la luce del Giappone e usarlo come trampolino di lancio verso il Trono del Drago cinese.

Ma i suoi eserciti avevano avuto la peggio e ben presto si erano dovuti ritirare con ignominia.

Secoli prima i giapponesi avevano fallito altri due tentativi di invadere il Regno di Mezzo subendo sempre pesanti disfatte.

“Tali macchie devono essere lavate, come l'onta subita dai Figli del Cielo a opera dei Toranaga usurpatori.

Alla morte di Nakamura infatti i Toranaga ne avevano usurpato il potere; si erano resi responsabili dell'uccisione di sua moglie e di suo figlio, della distruzione del castello di Osaka, e da allora saccheggiavano l'eredità del Figlio del Cielo impunemente! Sonno-joi!”

“Sonno-joi” gli fecero eco con fervore i suoi seguaci.

 

Al crepuscolo i due giovani erano stanchi, sfiancati dalla lunga corsa.

Ma poiché nessuno dei due voleva ammettere per primo la stanchezza, proseguirono fino al limitare della foresta.

Davanti a loro adesso si stendevano le risaie ai lati di quel tratto della Tokaidò che entro breve li avrebbe condotti verso la periferia di Kanagawa e la Barriera.

La spiaggia si trovava alla loro destra.

“Ferm... fermiamoci un momento” disse Ori.

Il braccio ferito lo faceva soffrire, la testa era dolorante, e il petto gli doleva per la corsa anche se cercava di non darlo in alcun modo a vedere.

“Va bene.” Benché non meno ansante ed esausto di Ori, Shorin volle deridere l'amico.

“Sei debole come una vecchietta.”

Scelse una zolla di terreno asciutto e vi si sedette con gratitudine. Cominciò a guardarsi intorno con grande attenzione cercando di ritrovare un ritmo di respirazione normale.

La Tokaidò era quasi deserta perchè la Bakufu vietava i viaggi notturni e chi veniva sorpreso per strada senza autorizzazione era sottoposto a severi interrogatori e pesanti punizioni.

Alcuni portatori e gli ultimi viaggiatori si affrettavano verso la Barriera di Kanagawa, mentre tutti gli altri già si godevano un bagno ristoratore o le baldorie nelle locande dove avevano scelto di trascorrere la notte. Le locande abbondavano in tutta la zona; le Barriere chiudevano al calar della sera e venivano riaperte all'alba, ed erano sempre presidiate da samurai.

Oltre la baia Shorin vedeva le luci delle lampade a olio lungo la passeggiata e in alcune case dell'Insediamento e sulle navi all'ancora.

Una bella mezza luna ancora vicina all'orizzonte stava salendo in cielo.

“Come va il braccio, Ori?”

“Bene, Shorin. Siamo a più di un ri da Hodagaya.”

“Sì, ma fino a quando non saremo alla locanda non mi sentirò al sicuro.” Shorin si massaggiò il collo per alleviare il dolore ai muscoli e il mal di testa. Il manrovescio di Katsumata l'aveva intontito.

“Quando eravamo davanti al nobile Sanjiro ho pensato che fosse arrivata la fine. Ho pensato che ci avrebbe condannato.”

“Anch'io.” Ori si sentiva male; il braccio era dolorante, ansimava e aveva le guance in fiamme.

Con la mano sana scacciò distrattamente uno stormo di insetti notturni. “Se... ero pronto a impugnare la mia spada e a farlo a pezzi, prima di essere ucciso.”

“Anch'io, ma il sensei ci teneva d'occhio e avrebbe fatto fuori tutti e due prima che potessimo muovere un dito.”

“Si, hai ragione anche in questo.”

Il più giovane rabbrividì. “

Il suo colpo mi ha quasi staccato la testa. Che forza incredibile! Sono contento che stia dalla nostra parte. E' stato lui a salvarci, ha imposto al nobile Sanjiro la sua volontà.”

Ori era diventato improvvisamente serio.

“Shorin, mentre stavo aspettando... io... per darmi coraggio ho composto la mia poesia di morte.”

Anche Shorin divenne serio.

“Posso sentirla?”

“Sì. Sonno-joi al tramonto, Niente è perduto. Nel nulla Io balzo.”

Shorin rifletté sulla poesia, assaporandone l'equilibrio e il significato più profondo.

Poi con solennità disse: “E' saggio per un samurai aver composto una poesia di morte. Io non ci sono ancora riuscito ma dovrei farlo perchè, dopo, la vita che viene è regalata”.

Mosse la testa da sinistra a destra facendo scrocchiare i legamenti e si sentì meglio.

“Sai, Ori, il sensei aveva ragione, abbiamo esitato, è per questo che abbiamo perduto.”

“Io ho esitato, in questo ha ragione, perchè avrei potuto uccidere la ragazza senza problemi ma sono rimasto paralizzato per un momento.

Non avevo mai... quei vestiti esotici, il volto come uno strano fiore con quel naso enorme come un'orchidea mostruosa con due grandi macchie azzurre e incoronata dagli stami gialli... quegli occhi incredibili. Occhi da gatto siamese, e sotto quel ridicolo cappello... era così ripugnante e insieme così... così attraente.”

Ori rise con nervosismo.

“Ero stregato. E' sicuramente una kami venuta dalle regioni oscure.”

“Strappale i vestiti e vedrai che anche lei è fatta di carne e ossa... in quanto al fatto che sia anche attraente io... io non saprei.”

“Io ho pensato anche a quello, mi sono chiesto come sarebbe stato farlo con lei.”

Ori osservò per un istante la luna.

“Se dormissi con lei penso che... che diventerei come il ragno con la sua femmina.”

“Vuoi dire che dopo lei ti ucciderebbe?”

“Si, se dormissi con lei, che la prendessi con la forza o no, quella donna mi ucciderebbe.”

Ori mosse l'aria per scacciare gli insetti che erano diventati fastidiosi. “Non ho mai visto una donna simile... nemmeno tu. L'hai notata, vero?”

“No, tutto è successo così in fretta e io stavo cercando di ammazzare quello brutto e grosso con la pistola quando lei è scappata.”

Ori fissò le fioche luci di Yokohama.

“Mi chiedo come si chiami, cosa abbia fatto quando è tornata laggiù.

Non ho mai visto niente di... era così brutta e insieme così...

“ Shorin si preoccupò di quella fissazione dell'amico.

Generalmente Ori non prestava alcuna attenzione alle donne, si limitava a usarle quando ne aveva necessità, a farsi intrattenere, a farsi servire. Eccezion fatta per l'adorata sorella non si era mai soffermato a parlare di una donna.

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