Gai-Jin (13 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Sfiorò tremante la fronte di Malcolm, scostandogli i capelli madidi di sudore, ma l'odore che aleggiava intorno al letto la spinse a precipitarsi fuori.

Nella stanza accanto Tyrer dormiva placidamente.

Con grande sollievo, Angélique scoprì che non vi era cattivo odore.

Notò che diversamente dal volto di Malcolm quello di Tyrer sembrava disteso.

“Phillip mi ha salvato la vita, dottore” aveva raccontato Angélique a Babcott.

“Dopo che il signor... Il signor Canterbury... io ero... ero paralizzata e Phillip, lui si è messo col suo cavallo davanti all'assassino per darmi il tempo di fuggire. Io ero, non posso descrivervi l'orrore.

“Com'era l'uomo? Potreste riconoscerlo?”

“Non so, era un indigeno come gli altri, giovane, ma non saprei, è difficile capire la loro età e poi era... era il primo che vedevo. Aveva un kimono con una spada corta infilata nella cintura e quella grande sguainata e tutta insanguinata pronta a...”

Gli occhi le si erano riempiti di lacrime.

Babcott l'aveva calmata e dopo averla condotta nella sua stanza le aveva portato una tazza di tè al laudano promettendole che al risveglio di Struan l'avrebbe chiamata.

E adesso è sveglio, pensò lei sentendo i piedi pesanti come il piombo e una grande nausea, la testa dolorante e popolata di spaventose immagini.

Come vorrei non essere venuta qui, Henry Seratard me l'aveva detto di aspettare fino a domani, e anche il capitano Marlowe era contrario, tutti, perchè mai ho implorato l'ammiraglio con tanto ardore?

Non so, siamo soltanto amici noi due, non siamo innamorati né fidanzati né...

O forse comincio ad amarlo? o ciò che mi spinge è una bravata, una finzione perchè tutta questa orrenda giornata assomiglia a un melodramma di Dumas, e l'incubo lungo la strada non era reale, non è reale l'Insediamento in fiamme, non è reale il messaggio di Malcolm che arriva al tramonto:

“per favore vieni a farmi visita appena puoi” scritto dal dottore per lui, e io stessa non sono reale ma sto recitando la parte dell'eroina...

Babcott si fermò.

“Eccoci arrivati. Lo troverete piuttosto debole, mademoiselle. Entrerà con voi per accertarmi che tutto sia a posto e poi vi lascerò soli per un paio di minuti. Può darsi che perda i sensi a causa della droga ma non preoccupatevene, e se avete bisogno di me sarò qui accanto, nella sala operatoria. Non affaticate né lui né voi stessa e non pensate a niente, ricordate che anche voi avete avuto una giornata difficile.”

Angélique si fece forza, si stampò un bel sorriso sul volto e seguì il dottore.

“Ciao Malcolm, mon cher!”

“Ciao.”

Struan era molto pallido e sembrava invecchiato, ma i suoi occhi erano limpidi.

Il dottore chiacchierò piacevolmente senza perderlo di vista un solo istante, gli sentì il polso, gli posò una mano sulla fronte e dopo aver annuito tra sé dichiarò che il paziente si stava comportando bene e se ne andò.

“Come sei bella” disse Struan con la voce ormai ridotta a un filo.

Si sentiva molto strano, in parte sospeso nel vuoto e in parte inchiodato al giaciglio di paglia intriso di sudore.

Angélique si avvicinò.

L'odore persisteva anche se non più forte come qualche ora prima, e cercò di fingere di non sentirlo.

“Come stai? Mi dispiace tanto che tu sia stato ferito.”

“Joss” rispose lui utilizzando la parola cinese per destino, fortuna, il volere degli dei.

“Sei così bella.”

“Ah, chéri, come vorrei che tutto ciò non fosse mai accaduto, che tu non avessi mai chiesto di venire a fare una passeggiata, che mai mi fosse venuto in mente di venire a vedere il Giappone.”

“Joss. Oggi è... è il giorno dopo, vero?”

“Si, l'attacco è stato ieri pomeriggio.” Sembrava che per il cervello di Malcolm fosse difficile tradurre le parole della ragazza in una forma comprensibile, e comporre parole e pronunciarle gli era impossibile. Angélique si sentiva giunta al limite della resistenza.

“Ieri? Una vita. Hai visto Philip?”

“Sì, sì, l'ho visto prima ma dormiva. Lo rivedrò appena uscirò di qui, chéri. In effetti dovrei andare adesso, il dottore dice che non ti devo stancare.”

“No, non ancora, te ne prego. Ascolta, Angélique, non so quando potrò, quando potrò viaggiare, perciò...”

Chiuse gli occhi per un istante resistendo a una fitta di dolore che lo lasciò spossato.

Quando riuscì a metterla di nuovo a fuoco lesse sul suo volto la paura e la fraintese.

“Non preoccuparti, McFay provvederà a farti scor... scortare a Hong Kong, perciò ti prego di non preoccuparti.”

“Grazie, Malcolm, penso che dovrei tornare, si, tornerò domani o dopodomani.”

Notò il suo disappunto e subito aggiunse: “ovviamente anche tu starai meglio e potremo partire insieme e... ah si, Henri Seratard ti manda i suoi auguri...”.

Smise di parlare allibita quando una fitta di dolore più intenso assalì Malcolm deformandogli il viso in una smorfia mentre cercava invano di resistergli e le sue viscere lottavano per eliminare il veleno dell'etere che sembrava permeare ogni poro della sua pelle e ogni cellula del suo corpo.

Inutile: stomaco e ventre erano già stati ripetutamente svuotati, e a ogni spasmo la ferita sembrava lacerarsi e a ogni colpo di tosse lo strappo era più violento e l'unico risultato di tanta sofferenza era qualche goccia d'un liquido putrido.

In preda al panico, Angélique si precipitò verso la porta per andare a chiamare il dottore.

Si fermò ad armeggiare con la maniglia.

“Va tutto bene Ange... Angélique” disse la voce che ormai non riconosceva più.

“Resta un... momento ancora.” Malcolm vide l'orrore sul volto di Angélique e ancora una volta fraintese interpretandolo come inquietudine, profonda comprensione e amore.

Non ebbe più paura e si lasciò ricadere all'indietro sul giaciglio per riacquistare le forze.

“Mia cara, avevo sperato, avevo sperato tanto... ma tu sai che ti ho amato fin dal primo momento.”

Lo spasmo gli aveva risucchiato tutte le forze ma la sicurezza di avere visto in lei proprio quello per cui aveva pregato gli dava una grande pace. “A quanto... a quanto pare non sono in grado di ragionare bene, ma volevo... vederti per dirti... Angélique, l'operazione e la medicina mi hanno terrorizzato, ho avuto paura di morire, di non risvegliarmi e di non vederti mai più.

Non ho mai avuto tanta paura, mai.”

“Ne avrei avuta anch'io... oh, Malcolm, tutto questo è così atroce.” Aveva i sudori freddi, la testa le doleva e temeva di sentirsi male da un momento all'altro.

“Il dottore mi ha assicurato... ha detto a tutti che presto starai bene!”

“Adesso che so che mi ami non importa più, se morirò sarà destino e nella mia famiglia sappiamo che noi... noi non possiamo sfuggire al destino.

Ma tu sei la mia buona stella, l'ho saputo fin dal primo momento.

Ci sposeremo...”

Le parole gli morirono in gola. Gli ronzavano le orecchie e aveva gli occhi velati, le palpebre erano tremanti sotto l'effetto della droga e scivolava in quella sorta di inferno dove il dolore viene trasformato in assenza di dolore.

“Ci sposeremo in primavera...”

“Malcolm, ascolta” aggiunse lei in fretta, “Tu non morirai e io... alors, devo essere onestà con te.”

Poi le parole uscirono incontrollate.

“Non voglio ancora sposarmi, non sono sicura di amarti, non sono sicura, dovrai avere pazienza, e comunque, che ti ami o no, penso che non potrò mai vivere in questo orribile posto né a Hong Kong, anzi so che non posso, non voglio, non posso, so che ne morirei, il pensiero di vivere in Asia mi fa orrore, la puzza, e questa orribile gente. Torno a Parigi appena posso, al luogo a cui appartengo e non tornerò mai, mai, mai.”

Ma Malcolm non aveva sentito una sola parola.

Sognava e mormorava senza vederla: ”... molti bambini, tu e io... sono così felice che tu mi ami... sono stregato, adesso... ho pregato tanto e potremo vivere per sempre nella Grande Casa sul Picco.

Il tuo amore ha scacciato la paura, la paura della morte, l'eterna paura della morte sempre così vicina, i gemelli, Mary, la mia povera sorellina morta in così tenera età, mio fratello, mio padre quasi morto... Il nonno un'altra morte violenta ma ora... ora... tutto cambia... sposarsi in primavera. Sì?”.

Aprì gli occhi. Per un istante la distinse chiaramente, e scorgendo il suo volto teso dal disgusto, le mani contratte, avrebbe voluto urlare: Che cosa c'è, per l'amor di Dio, questa è soltanto la camera di un malato.

Certo le lenzuola sono intrise di sudore e un pò sporche di urina e feci e tutto puzza ma è perchè mi hanno tagliato, per l'amor del cielo, sono stato aperto e ricucito ma starò di nuovo bene...

Tuttavia, nessuna di queste parole uscì dalla sua bocca e vide Angélique spalancare la porta e correre via.

Ma ciò faceva soltanto parte dell'incubo, mentre i sogni belli si avvicinavano.

Il rumore della porta che si richiudeva sui cardini echeggiò senza fine: di nuovo bene, di nuovo bene, di nuovo bene.

Appoggiata contro il cancello del giardino, Angélique annaspava in cerca dell'aria fresca notturna cercando di riprendere il controllo.

Madre di Dio, dammi la forza e dai a quell'uomo un pò di pace e aiutami ad andarmene presto di qui.

Babcott le si avvicinò.

“Sta bene, non vi dovete preoccupare. Ecco, bevete” le disse con comprensione porgendole la bevanda a base di laudano.

“Vi tranquillizzerà e vi aiuterà a dormire.”

Angélique obbedì. Il liquido era insapore.

“Sta dormendo tranquillo. Venite. Anche per voi è giunta l'ora di andare a letto.”

L'aiutò a salire le scale e la riaccompagnò alla sua stanza. Davanti alla porta esitò: “Dormirete bene, ne sono sicuro”.

“Ho paura per lui, molta paura.”

“Non dovete. Domattina starà meglio, vedrete.”

“Vi ringrazio, ora sto bene. Lui... io credo che Malcolm pensi d'essere in fin di vita. E' così?”

“Certo che no, è un giovanotto robusto e sono sicuro che si rimetterà in un battibaleno.”

Babcott ripeteva il luogo comune già detto centinaia di volte sapendo di mentire.

Non lo so, non lo si può mai sapere, ebbe stato più vicino alla verità, adesso è nelle mani di Dio.

Senza volerlo rabbrividì. “Buonanotte. E non temete.”

“Grazie.” Angélique chiuse la porta con il chiavistello e andò alla finestra per aprire i pesanti battenti.

La stanchezza l'avvolse. L'aria della sera era tiepida e dolce. La luna brillava alta nel cielo.

Si sfilò la vestaglia asciugandosi debolmente il sudore e desiderando soltanto dormire.

La camicia da notte era umida e le si era incollata alla pelle; avrebbe voluto cambiarla ma non ne aveva un'altra con sé.

Sotto le sue finestre il grande giardino era popolato di mille ombre, c'erano alcuni alberi e un ponticello che attraversava un piccolo corso d'acqua.

La brezza accarezzava le fronde più alte degli alberi.

Nel chiaro di luna le ombre erano fitte.

E di tanto in tanto qualcuna si muoveva.

Capitolo 5


 

I due giovani videro Angélique non appena comparve sul cancello del giardino a quaranta metri di distanza.

Avevano scelto con cura il luogo dell'agguato per poter controllare l'intero giardino e il cancello principale, il capanno delle guardie e le due sentinelle.

All'improvviso si immersero più profondamente nell'oscurità del fogliame sbalorditi di vedere la ragazza della Tokaidò con le guance rigate di lacrime.

“Che cosa sta succedendo...” sussurrò Shorin.

Tacque.

Una pattuglia composta da un sergente e due soldati, la prima a entrare nella loro trappola, superò l'angolo più lontano del territorio della Legazione avvicinandosi lungo il sentiero che costeggiava le mura.

I due divennero statue; erano interamente ricoperti da indumenti che li fasciavano come una seconda pelle lasciando liberi soltanto gli occhi e rendendoli invisibili.

La pattuglia passò a un metro e mezzo; i due shishi avrebbero potuto attaccarla e averne ragione.

Shorin, il cacciatore, il combattente e capo in battaglia, aveva scelto il nascondiglio ma Ori, cui toccavano invece le decisioni e i piani, aveva deciso che avrebbero attaccato soltanto pattuglie composte da una o al massimo due persone, a meno che non vi fosse un'emergenza o qualcuno non cercasse di impedir loro di entrare nell'armeria.

“Questa volta dobbiamo agire in silenzio” aveva detto “ed essere pazienti.”

“Perchè?”

“Questa è la loro Legazione e in base alla loro legge significa che siamo nella loro terra, sul loro territorio che è sorvegliato da veri soldati, perciò stiamo invadendo il suolo di un altro stato. Se la nostra missione riesce li avremo spaventati ben bene. Se ci prendono avremo fallito.”

Dal nascondiglio osservarono i soldati allontanarsi apprezzando il modo silenzioso e attento con cui si muovevano.

A disagio, Ori sussurrò: “Non ne abbiamo mai visti di questo genere... soldati così ben addestrati e disciplinati. In battaglia potremmo trovarci in difficoltà davanti a un grande schieramento di uomini come questi armati di fucili”.

Shorin disse: “Vinceremo sempre noi, in un modo o nell'altro presto avremo i fucili e comunque il bushido e il nostro coraggio li schiaccerebbero. Possiamo sconfiggerli senza problemi”.

Parlava con grande sicurezza.

“Avremmo dovuto uccidere quei soldati e prendere le loro armi.”

Io invece sono contento che non l'abbiamo fatto, pensò Ori con profonda inquietudine.

Il braccio gli faceva molto male e benché cercasse di simulare indifferenza sapeva che non avrebbe potuto sostenere a lungo un duello con la spada.

“Se non fossimo stati vestiti così ci avrebbero visti.” Tornò a guardare la ragazza.

“Avremmo, potuto ucciderli tutti e tre senza problemi, e impossessarci delle loro carabine e saltare dall'altra parte del muro.”

“Questi sono uomini ben addestrati, Shorin, non ottusi mercanti.”

Ori cercò come sempre di non avere un tono irritato per non offendere il suo amico né urtare il suo amor proprio.

Avevano bisogno l'uno delle doti dell'altro, non aveva dimenticato che era stato Shorin a deviare il proiettile che sulla Tokaidò l'avrebbe ucciso. “Abbiamo tempo in abbondanza. Mancano ancora almeno due candele prima dell'alba.”

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