Gai-Jin (119 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Eeeh, con la nostra lingua non lo possiamo fare, perchè ogni parola richiede un carattere speciale che si può pronunciare in sei o sette modi diversi, noi scriviamo in un modo del tutto diverso...”

“Il Dottor Gigante ascolta bene quando io dico una parola in giapponese e la scrive con le loro lettere romane, poi Taira la legge e la ripete esattamente!” Hiraga si era prodigato in una lunga spiegazione per convincere Akimoto.

“Eeeh” esclamò infine esausto, “per me è già difficile capire tutte quelle idee e quelle situazioni nuove, spiegarle poi... Ori era uno stupido a non voler imparare.

“E' un bene per noi che sia morto e sepolto e che i gai-jin lo abbiano dimenticato. Ho temuto per giorni d'essere spacciato.”

“Anch'io. “ Hiraga trovò la parola inglese che cercava: “risarcimento”. La traduzione giapponese recitava: “denaro da pagare per un crimine riconosciuto”. Ne rimase confuso. La Bakufu non aveva commesso nessun crimine.

Erano stati due satsuma, Ori e Shorin, a uccidere il gai-jin, e ora entrambi erano morti, due uomini contro la morte di un gai-jin sembravano sufficienti. Perché chiedono un “risarcimento?” disse forte, pronunciando la parola a fatica.

Si alzò dalla scrivania per sgranchirsi le ginocchia, perchè gli era faticoso stare seduto come un gai-jin per una giornata intera, e andò alla finestra. Indossava abiti occidentali, ma ai piedi portava morbidi tabe, ancora non si era abituato a calzare gli stivali inglesi. Era una bella giornata, le navi beccheggiavano all'ancora e barche di tutti i generi si incrociavano nella rada in ogni direzione.

La fregata attirava l'attenzione di Hiraga. Era eccitante pensare che tra poco lui e Akimoto ne avrebbero scoperto le viscere, le grandi macchine a vapore di cui Taira gli aveva parlato. Lanciò un'occhiata alla fotografia ritagliata da una rivista e appesa al muro della Grande Nave, un'immensa nave di ferro costruita a Londra, la capitale britannica, Londra, la nave più grande che chiunque avesse mai visto, venti volte più grande della fregata ancorata nella baia.

Gli era difficile immaginare le sue dimensioni reali, come gli era difficile capire che cosa fosse una “fotografia”, per lui una specie di strana magia, e forse maligna. Rabbrividì, poi notò che la porta sul corridoio era socchiusa. Sul lato opposto si affacciava la porta dell'ufficio di sir William. Per quanto ne sapeva nella Legazione non era rimasto nessuno, erano andati tutti alla partita e sarebbero rientrati solo nel tardo pomeriggio.

Senza far rumore aprì la porta di sir William. La scrivania era coperta di fogli, gli scaffali disordinati sostenevano una cinquantina di libri e alle pareti erano appesi il ritratto della regina e altri dipinti. Sulla credenza notò un oggetto nuovo, una cornice d'argento con la fotografia di una donna gai-jin vestita in modo strano e tre bambini: doveva essere la famiglia di sir William. Ricordò che Tyrer aveva accennato al loro prossimo arrivo. Gli sembrarono tutti molto brutti.

Che fortuna essere giapponese, civilizzato, con un padre, una madre e fratelli e sorelle bellissimi e Sumomo per futura sposa, se il karma lo vorrà. Il pensiero di saperla sicura a casa lo riscaldò, ma lì, in piedi davanti alla scrivania, la sensazione piacevole subito svanì. Ricordò l'estremo disagio di quando, in quella stessa posizione, aveva dovuto rispondere alle domande del capo gai-jin seduto di fronte a lui, domande su Choshu, Satsuma, la Bakufu, i Toranaga e ogni aspetto del suo passato e della vita in Giappone.

Ora capitava quasi ogni giorno, e sebbene lui avrebbe preferito mentire e confondere le acque, quegli occhi da pesce lo frugavano, costringendolo a dire la verità.

Badò di non toccare niente, immaginando che gli avessero preparato una trappola, come avrebbe fatto lui del resto se avesse dovuto lasciare un gai-jin da solo in un luogo così importante. Udendo una voce adirata provenire dall'esterno, Hiraga tornò subito nella stanza di Tyrer e si accucciò per spiare dalla finestra.

Con sua sorpresa vide Akimoto, al cancello, inchinato davanti alla sentinella che gli puntava contro il fucile a baionetta e imprecava contro di lui. Suo cugino, con indosso abiti da manovale gai-jin, era palesemente agitato.

Hiraga corse fuori, si sforzò di sorridere e sollevò il berretto.

“Buongiorno, signor soldato, questo è un mio amico.” La sentinella, che conosceva Hiraga di vista e sapeva che era una sorta di interprete e possedeva un lasciapassare permanente della Legazione, rispose con qualche incomprensibile parola di scherno, allontanò Akimoto e ordinò a Hiraga: “Di' a quella scimmia di togliersi dai piedi se non vuole vedersi saltare la testa dal collo”.

Impassibile, Hiraga continuò a sorridere. “Lo porto via, spiacente.” Prese Akimoto sottobraccio e lo spinse in un vicolo che conduceva al villaggio. “Sei impazzito? Venire qui...”

“Hai ragione.”

Ad Akimoto ancora non era passata la paura di quella baionetta a tre centimetri dalla gola.

“Hai ragione, ma lo shoya, l'anziano del villaggio, mi ha chiesto di venirti a chiamare con urgenza.”

Lo shoya invitò Hiraga a sedersi a un tavolino basso, di fronte a lui.

Il suo appartamento privato, dietro al negozio volutamente scuro e disordinato, era candido, con i tatami e la carta delle finestre della migliore qualità. La gatta tigrata che gli stava comodamente accoccolata in grembo fissava sospettosa l'intruso. Alcune tazze di porcellana bianca e verde erano state disposte intorno a una piccola teiera di ferro.

“Prego, bevete un pò di tè, Otami-sama, mi dispiace avervi disturbato” esordì lo shoya versando la calda bevanda e usando il nome con cui Hiraga si faceva chiamare. Poi accarezzò la gatta, che mosse nervosa le orecchie.

“Vi prego di volermi scusare.” Il tè aromatico era molto buono. Hiraga si complimentò con cortesia, ma si sentiva a disagio davanti allo shoya con quei vestiti occidentali che gli impedivano di stare seduto comodamente. Si rammaricava anche d'essere disarmato. Dopo le frasi di rito lo shoya annuì, quasi tra sé, guardando il suo ospite con occhi gelidi, il volto mascherato da un'espressione cortese.

“Mi sono giunte notizie da Kyòto. Ho pensato che voleste conoscerle subito.”

Il disagio di Hiraga aumentò. “Quali notizie?“

“Sembra che dieci shishi di Choshu, Satsuma e Tosa abbiano attaccato lo shògun Nobusada a Otsu. Il tentativo di assassinio è fallito e sono stati uccisi tutti.” Hiraga finse scarso interesse ma si sentì morire. Chi erano e perchè avevano fallito? “Quando è stato?” Lo shoya non riusciva a capire se Hiraga fosse già al corrente dell'aggressione. “Otto giorni fa.”

“E come avete potuto saperlo in un lasso di tempo così breve?

“ Con suo stupore, lo shoya si infilò una mano nella manica e ne estrasse un piccolo cilindro. Conteneva un rotolo di carta molto sottile.

“E arrivato oggi. Per le notizie importanti il nostro zaibatsu Gyokoyama utilizza i piccioni.”

In verità, il messaggio era arrivato il giorno prima, ma gli era stato necessario un pò di tempo per decidere come affrontare Hiraga. “E' importante disporre di informazioni veloci e precise, vero?”

“Ci sono i nomi?”

“No, nessun nome, spiacente.”

“Dice qualcos'altro?” Allo shoya brillarono gli occhi. Poi, con grande orrore di Hiraga, aggiunse: “La stessa notte, a Kyòto, il principe Yoshi e il principe Ogama e le loro forze hanno attaccato il quartier generale degli shishi, cogliendoli di sorpresa e annientandoli. Le teste impalate davanti alle macerie erano quaranta”. Il vecchio si sforzò di non sorridere. “Otama-sama, quaranta uomini sono una grande perdita per i nostri coraggiosi shishi?” Hiraga alzò le spalle e disse di non saperlo sperando che lo shoya gli credesse.

Si affannò a pensare a chi potesse essere morto, chi sopravvissuto, chi li avesse traditi e come mai due nemici come Yoshi e Ogama agissero insieme. “Perché mi raccontate tutto questo?” Lo shoya abbassò lo sguardo e accarezzò per un attimo la gatta in mezzo alla fronte, che socchiuse gli occhi per il piacere ed estrasse gli artigli senza intenzione. “Pare che non tutti quelli coinvolti nell'imboscata siano stati catturati” aggiunse a bassa voce.

“Due sono scappati. Il capo, soprannominato Corvo, il cui vero nome è Katsumata, il fidato consigliere di Sanjiro di Satsuma, e uno shishi choshu, Takeda.” Hiraga, scosso nel profondo dalla precisione del racconto, sentì che i muscoli dell'altro erano in tensione ed era pronto a uccidere, a mani nude se necessario, benché dalla sua bocca semiaperta non uscisse alcun suono.

“Conoscete per caso questo Takeda, Otami-sama?” L'impertinenza dello shoya fece avvampare Hiraga, che tuttavia riuscì a mantenere il controllo. “Perché mi raccontate queste cose, shoya?”

“Me lo ha ordinato il mio signore del Gyokoyama, Otami-sama.”

“Perché? Io cosa c'entro? Eh?” Lo shoya, per calmarsi, nonostante nascondesse una piccola pistola carica nella manica, versò dell'altro tè, consapevole della pericolosità di quel gioco e di quello shishi. Ma gli ordini erano ordini, e lo zaibatsu Gyokoyama esigeva che qualsiasi circostanza fuori dall'ordinario fosse comunicata immediatamente in ciascuna delle loro cento sezioni.

In particolare nel settore di Yokohama, ora più importante di Nagasaki perchè quartier generale dei gai-jin e dunque principale centro di osservazione dei giapponesi sui gai-jin, dove lui era il solo responsabile.

Inevitabilmente, aveva informato tramite piccione viaggiatore dell'arrivo di quell'uomo, della morte di Ori, degli eventi successivi e delle iniziative prese, che erano state tutte approvate.

“Il Gyokoyama...” cominciò, seguendo le istruzioni con cautela perchè si rendeva conto che, proprio come si desiderava, Hiraga era palesemente nervoso per quelle rivelazioni. I suoi padroni di Osaka gli avevano scritto: Trovate il modo di disorientare subito questo shishi, il cui vero nome è Rezan Hiraga. Il rischio è grande. Badate di essere armato e di parlargli quando non è...

“... i miei padroni ritengono di potervi essere utili, come voi potreste essere utile a loro.”

“Utili a me?” gracchiò Hiraga, sul punto di esplodere, cercando nervosamente con la destra l'elsa della spada che non aveva. “Non posso riscuotere tasse. Non possiedo riso. In che modo potrebbero essermi utili dei parassiti quali sono gli usurai e persino il grande Gyokoyama?!”

“Questo è quello che i samurai credono e hanno sempre creduto. Ma ci chiediamo se il vostro sensei Taira sarebbe della stessa opinione.”

“Cosa?” Hiraga, nuovamente spiazzato, balbettò: “Cosa c'entra Taira, cosa volete da lui?”.

“Inserviente! Sakè!” gridò lo shoya. Poi si rivolse a Hiraga: “Vi prego di essere paziente, ma i miei superiori... Io sono vecchio” aggiunse con ostentata umiltà, in verità consapevole del suo ruolo nello zaibatsu, della potenza ancora intatta del suo yang e della sua capacità di uccidere, se necessario, o menomare quell'uomo e consegnarlo alle guardie della Bakufu che ancora presidiavano le barriere.

“Sono vecchio e viviamo in tempi pericolosi.”

“Sì, è così” commentò Hiraga tra i denti. Il sakè arrivò subito, la cameriera lo versò in fretta e scappò via. Hiraga lo bevve con sollievo, sebbene fingesse indifferenza, ne accettò un'altra tazza e finì anche quella.

“Allora? Taira? Vi conviene spiegarvi.” Lo shoya respirò a fondo e si lanciò in quella che sapeva essere la grande occasione della sua vita, una possibilità che avrebbe aperto prospettive straordinarie per il suo zaibatsu e la sua progenie: “Da quando siete giunto qui, Otami-sama, avete cercato di indagare sulle ragioni del potere dei gai-jin britannici sul mondo intero e sulle nostre coste, quando la loro nazione non è che una piccola isola, una terra più piccola della nostra, così si dice...”.

Si fermò, divertito dall'improvvisa confusione dipinta sul volto di Hiraga.

“Ah, molto spiacente, dovete sapere che qualcuno vi ha sentito parlare con il vostro amico ora morto e con vostro cugino, molto spiacente. Posso assicurarvi che non avete nulla da temere, perchè il vostro fine, quello del Gyokoyama e quello degli shishi è lo stesso. Potrebbe essere importante per voi ... Crediamo di essere a conoscenza di un segreto che vi interessa molto ...”

“Cosa?”

“Sì, siamo certi che il segreto del potere dei gai-jin risieda nel loro sistema bancario e finanziario...

“ Hiraga scoppiò in una risata convulsa che ammutolì lo shoya. La gatta si risvegliò dal suo torpore e lo graffiò attraverso il kimono. Lo shoya estrasse con attenzione gli artigli dalla stoffa e l'accarezzò per calmarla, riuscendo così a controllare l'ira e il desiderio di rispondere per le rime a quel giovane insolente.

Una reazione poteva costargli la vita, perchè poi avrebbe dovuto fare i conti con Akimoto e gli altri shishi.

Attese testardamente, consapevole che il compito che il suo signore gli aveva affidato era pieno di rischi: “indagate su questo giovane, scopritene gli scopi, i pensieri, i desideri reconditi che comandano la sua lealtà e servitevi di lui, potrebbe essere uno strumento perfetto... ”.

“Voi siete matto. Il loro potere dipende dalle loro macchine, dai cannoni, dalla ricchezza e dalle navi.”

“Esatto. Se li avessimo noi, Hiraga-sama, potremmo...” Lo shoya, pronunciato deliberatamente quel nome, vide il sorriso sul volto dell'altro spegnersi all'istante e il suo sguardo diventare fisso e minaccioso. “I miei superiori mi hanno detto di usare il vostro vero nome solo una volta, affinché voi sappiate di potervi fidare di noi.”

“Come lo sanno?”

“Voi stesso avete citato il conte Shinsaku Otami, pseudonimo del vostro onorato padre, Toyo Hiraga, che ovviamente è registrato nei libri più segreti del loro archivio.”

Hiraga era furioso. Non aveva mai considerato che gli usurai disponessero di archivi segreti.

Dato che tutti, di rango superiore o inferiore, ricorrevano di tanto in tanto a loro, potevano davvero accedere a ogni tipo di informazione privata, segreta e pericolosa, usandola poi come minaccia e arma di ricatto per impadronirsi di altre informazioni altamente riservate. Come possono essere venuti a conoscenza dei nostri shishi se non con mezzi ignobili, quegli stessi che ora questo cane sta usando? E' giusto disprezzare e diffidare dei mercanti e degli usurai, dovrebbero essere spazzati via.

Quando sonno-joi vincerà, la nostra prima richiesta all'imperatore sarà di ordinarne l'eliminazione.

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