“Questa è davvero la Terra delle Lacrime.” Yoshi annuì con uno sguardo assente. Poi in tono acido disse: “Aumenterete le tasse di un decimo e tutti i santurai riceveranno una paga ridotta di un decimo. Parlate con gli usurai. Ci devono aumentare il credito. Quei soldi serviranno per gli armamenti”.
“Certo.” Poi aggiunse cauta: “Siamo in condizioni finanziarie migliori di tanti altri, abbiamo impegnato solo il raccolto dell'anno venturo. Ma sarà difficile ottenere tassi di interesse ordinari”.
“Cosa volete che ne sappia o che me ne importi dei tassi di interesse?” sbottò lui irritato. “Cercate di ottenere le migliori condizioni possibili!” Il suo volto si tese in una smorfia.
“Forse è giunto il momento di proporre al Consiglio l'adeguamento dei “tassi di interesse” come già fece il mio bisnonno.”
Sessant'anni prima lo shògun, schiacciato dai debiti di suo padre, avendo impegnato come molti altri daimyo anni di futuri raccolti ed essendo assillato dall'arroganza e dà disprezzo della classe mercantile, aveva all'improvviso decretato la cancellazione di tutti i debiti e tutte le ipoteche sui futuri raccolti.
Nei due o tre secoli successivi al regno di Sekigahara quell'atto estremo era stato promulgato quattro volte, causando il caos nel paese anche sessant'anni prima. Il prezzo pagato da tutte le classi, ma soprattutto dai samurai, fu enorme. I mercanti di riso, che erano i principali usurai, furono annientati.
Molti di loro dichiararono bancarotta. Alcuni fecero seppuku. Il resto entrò in clandestinità e partecipò della miseria collettiva.
Ma già al raccolto successivo i contadini avevano bisogno dei mercanti e l'intera popolazione di riso, sicché i prodotti scarseggiavano, erano dunque molto cari e, clandestinamente, i contadini fecero ricorso a prestiti per comprare sementi e attrezzi per il nuovo raccolto, e ancora una volta, anche se con molta discrezione, i samurai si fecero anticipare del denaro barattando le paghe future in cambio di contanti per vivere, divertirsi e acquistare sete e spade.
Presto gli eccessi nella spesa dei samurai divennero endemici. Con maggiore avvedutezza gli usurai ripresero la loro attività e di lì a poco furono sedotti da un nuovo incentivo: potevano comprare e donare ai propri figli il rango di samurai, così difficile da avere, ottenendo in pegno interi feudi. Tutto era tornato come prima.
“Forse vi conviene proporre quella misura, sire.” Hosaki provava un disprezzo pari soltanto a quello di Yoshi nei confronti degli usurai.
“Per parte mia, ho segretamente provveduto a fare scorte di riso in vista della carestia, i vostri uomini soffriranno ma non moriranno di fame.”
“Bene. Barattate quelle scorte in cambio dei cannoni.”
“Mi dispiace, hanno un valore insignificante!” rispose lei con cortesia, stupita dalla sua ingenuità, e per distrarlo subito aggiunse: “E dalle tasse non si ricaverà il contante che i gai-jin pretenderanno”.
“Allora bisognerà rivolgersi agli usurai” ribatté brusco Yoshi.
“Fate il necessario. Ho bisogno di quei cannoni.”
“Sì.” Lei lasciò che calasse il silenzio, poi, lentamente, espose un progetto lungo ed elaborato: “Un particolare a cui avete accennato prima di partire mi ha suggerito un'idea, sire. La piccola miniera d'oro delle nostre montagne del nord. Propongo di aumentare la forza lavoro che vi è impegnata”.
“Ma voi stessa mi avete informato che è stata sfruttata al massimo e produce ogni anno meno profitto.”
“E' vero, ma grazie a voi ho capito che i nostri minatori non sono esperti e mi sono convinta che là dove c'è una vena ne potremmo trovare altre, se disponessimo di abili prospettori minerari. Forse i nostri metodi sono superati. Tra i gai-jin potrebbero esserci degli esperti.” La guardò. “Perché?”
“Ne ho parlato con Vecchio Puzzolente.”
Era il soprannome di un anziano mercante olandese di Deshima che, anni prima, era stato invitato a diventare uno dei tutori di Yoshi e poi, con dei regali, una giovane concubina, servitori e molto sakè, era stato indotto a fermarsi fino a quando fu troppo tardi per ripartire.
“Mi ha raccontato della grande febbre dell'oro della Terra della Montagna d'Oro che anche voi avete citato, dove tredici anni fa gai-jin di tutti i paesi sono accorsi a rubare alla terra una fortuna. E anche che pochi anni fa c'è stata un'altra di queste corse all'oro, in un paese molto più a sud del nostro... l'ha chiamata la terra di Van Diemen. A Yokohama ci saranno pure degli uomini che hanno partecipato a una delle due spedizioni. Degli esperti.”
“E nel caso ci siano?” Yoshi pensava a Misamoto.
“Vi suggerirei di offrire loro libertà di movimento sul nostro territorio e la metà dell'oro che scopriranno in un anno. Mi è stato detto che nell'Insediamento vi sono molti americani e avventurieri.”
“E lascereste i gai-jin liberi di spiare indisturbati le nostre terre?” chiese Yoshi mentre rifletteva.
Lei scosse il capo e si chinò in avanti, sapendo di avere tutta la sua attenzione. “Ancora una volta siete stato voi a suggerirmi la soluzione, Yoshi-chan. Poniamo che avviciniate in segreto il mercante più importante di Yokohama, quello che aveva intenzione di vendere i fucili ai choshu... io sono d'accordo che dobbiamo a ogni costo dotarci di fucili e cannoni per impedire ai nostri nemici di fare altrettanto.
Diciamo che gli offrite in esclusiva la concessione sul vostro oro. In cambio dovrà occuparsi di tutti gli aspetti della ricerca e degli scavi, mettendovi a disposizione uno o due prospettori non armati, che naturalmente verranno controllati a vista da voi.
E vi rifornirà subito, come anticipo sulla metà dell'oro da estrarre, di un certo numero di cannoni e fucili, impegnandosi a vendere armamenti solo a voi. Mai ai choshu, ai tosa né ai satsuma.
Sorridete, sire?”
“E come tramite useremo Misamoto?”
“Tutto questo non sarebbe possibile se voi non l'aveste così abilmente scoperto e addestrato” disse lei con perfetta deferenza tornando a sedersi eretta.
Soddisfatta, ascoltava i commenti del consorte e rispondeva, sapendo che lui avrebbe eseguito al più presto quel piano, che sarebbe in qualche modo riuscito a procurarsi qualche cannone, e che mai e poi mai lei avrebbe barattato le sue scorte segrete di riso.
Dopo qualche minuto poté dichiararsi stanca e chiedergli il permesso di andare a riposare. “Dovreste riposare anche voi, sire, dopo il vostro meraviglioso e tuttavia estenuante duello...”
Ovvio che avrebbe dovuto riposare, pensò, un uomo come lui. E una volta insieme nella stanza, con un profluvio di calibrati complimenti lei gli avrebbe chiesto il permesso di massaggiargli gli affaticati muscoli delle spalle, discretamente sarebbe passata a carezze più intime, e dopo qualche sospiro lui le sarebbe stato più vicino di quanto lei potesse mai desiderare.
Vicino come a Koiko.
Tempo prima, Koiko aveva implorato con la dovuta cerimonia l'onore di farle visita, si era inchinata, l'aveva ringraziata e le aveva espresso la speranza che i servizi che dispensava fossero graditi al Grande Signore, dichiarando di essere onorata di poterne frequentare la casa anche per un breve periodo.
Le due donne avevano chiacchierato un pò, poi Koiko si era congedata.
Com'è bella, pensò Hosaki senza invidia né gelosia. Yoshi merita una distrazione, per quanto costosa, di tanto in tanto. Fiori di ciliegio sull'Albero della Vita, la loro bellezza è così fragile, così precaria, la loro vita così triste.
Il mondo dei piaceri fisici di un uomo è molto più eccitante del nostro. Che gioia dev'essere poter volare da fiore a fiore senza pena né pensieri.
Se la nostra più lieve distrazione non ricevesse una punizione così immediata e severa, forse le donne vi si dedicherebbero molto più assiduamente.
Perché no? Se fosse innocuo.
A volte, quando Yoshi è lontano, il pensiero di quell'enorme pericolo e della morte immediata con cui verrei punita si trasforma in un afrodisiaco quasi irresistibile. Non è forse una follia, per un piacere così fuggevole?
Mentre lei lo osservava in trepida e ardente attesa, adorando il gioco della vita, la mente di Yoshi brulicava di ipotesi sul progetto che gli aveva suggerito e sul modo di usare Misamoto, la sua creatura.
Mi muoverò subito, pensava. Hosaki è intelligente e abile nell'organizzare le mie idee. Eppure è stata estremamente baka a esprimere quell'idea sul ragazzo, anche se sistemarlo sarebbe un corretto Atto di Stato.
Le donne non possiedono certe finezze.
Quel mattino all'Insediamento, poco prima dell'alba, Jamie McFay diede a Nemi l'ultimo bacio e insieme attraversarono il corridoio verso l'appartamento di Malcolm. Bussò piano.
La porta si aprì subito.
La giovane Shizuka uscì, si richiuse la porta alle spalle, sorrise in modo curioso e sussurrò qualcosa a Nemi, che prese McFay per il braccio e lo spinse sul pianerottolo.
“Cattive notizie, Nemi?” chiese McFay nervoso. Prima che la porta si richiudesse aveva scorto Struan profondamente addormentato nel grande baldacchino e tutto gli era sembrato a posto. Nemi non gli prestò attenzione e continuò a interrogare la ragazza.
Esasperato, McFay le chiese ancora: “Nemi, cosa c'è che non va?”.
Lei esitò, dopo una cantilena di scuse in giapponese si riprese e sorrise: “No male, Jami-san, tu vieni Yoshiwara domani, sì, no?”. Prese il mantello e iniziò a scendere le scale.
“Cosa male, Nemi?” ripeté trattenendola per un braccio.
Lei alzò lo sguardo per un attimo e di nuovo borbottò qualcosa di incomprensibile in giapponese e in pidgin, infine scrollò le spalle.
“Segreto, wakirimasu ka?”
“Segreto? Iyé, per Dio, che cosa vuol dire?”
“Segreto, Jami-san, hai?”
“Ah, segreto, per Dio! Wakarimasu! Cosa segreto?” Lei sospirò di sollievo e sorrise. “Segreto! Segreto, Jamisan, Shizuka, Nemi. Hai? Hai?”
“Hai. Teniamo il segreto. Ma su che cosa?” Altre incomprensibili frasi in giapponese e pidgin, poi, mentre indossavano i mantelli, frustrata per non riuscire a esprimersi o forse per essere obbligata a farlo, Nemi mimò dei movimenti e sussurrò: “Shizuka bene, lavorato bene tutta notte”.
“Tai-pan bene?” Lei alzò gli occhi al cielo. “Hai, Jami-san, Shizuka bene!” Poiché le sue domande non ottenevano in risposta che inchini e sorrisi da parte di entrambe, McFay ringraziò Shizuka, il cui pagamento era già stato disposto. “Pieno credito tai-pan molto bene”, gli aveva detto la mama-san. Nemi gli fece promettere ancora una volta il segreto.
Il servo in attesa le riportò allo Yoshiwara.
Turbato pur non sapendo perchè, ma certo che non gli fosse stata detta tutta la verità, McFay tornò in camera in punta di piedi e si fermò davanti al letto: Struan respirava con un ritmo tranquillo. Andò nel suo ufficio e si mise al lavoro.
Poco dopo le dieci: “Buongiorno, dottore, entrate, sono contento di vedervi, ci sono novità?”.
Il volto bonario di Hoag era insolitamente arcigno. “Ah Tok mi ha mandato a chiamare, ho appena visto Malcolm, ecco cosa c'è di nuovo.
In nome di Dio, Jamie, dovevate chiedere il mio parere prima di...” Poi, vedendo che l'altro arrossiva, aggiunse subito: “So che è stato lui a volerlo, ma avrei voluto essere consultato prima, mi sembra ovvio, è stata un'idea pericolosa e stupida provarci così presto, dopo quella ferita, con gli organi interni spappolati e sul punto di lacerarsi...”. Si interruppe e si mise a sedere. “Mi dispiace, ma dovevo sfogarmi.”
“Non importa, è grave?”
“Non lo so, c'è presenza di sangue nelle urine e la regione lombare è molto dolorante.
Sembra che la ragazza sia stata molto energica, lui si è lasciato trascinare e al momento dell'orgasmo ha sentito una fitta lancinante al ventre. Poveretto, nonostante ora stia malissimo mi ha confessato che ne valeva la pena.”
“Ha detto questo?”
“Sì, si è prodigato in dettagli, ma non raccontategli che ve l'ho riferito.
Gli ho dato un calmante, dormirà per una o due ore. Torno più tardi.” Hoag sospirò e si alzò sforzandosi di sorridere. “Ho ricevuto un'altra lettera dalla signora Struan. E voi?”
“Sì, sempre le stesse cose. Ordinerete a Malcolm di fare subito ritorno a Hong Kong?”
“Non posso ordinargli niente. Andrà quando ne avrà voglia, è la stagione delle tempeste, per Dio. Ha ragione a volersi fermare, a meno che a Hong Kong non ci sia qualche motivo urgente.”
“Ci sono decine di ragioni per andarci, è quello il posto di comando e qui non ha niente di importante da fare.” Hoag scrollò le spalle. “Hong Kong sarebbe molto più adatta a lui, è vero, comunque io avevo in programma di partire con il postale ma dopo quanto è accaduto stanotte preferisco aspettare ancora qualche giorno e partire con lui.”
“Per favore, portatelo con voi sul postale.”
“Gliel'ho già suggerito, ma mi ha risposto un no piuttosto secco.
Dimenticatevene, Jamie, un pò di riposo qui non gli fa male e un viaggio con il mare brutto potrebbe nuocergli seriamente, o persino ucciderlo. A parte questo, ho sentito che ci sarà un altro ballo martedì prossimo, in onore della ragazza.”
“Malcolm non me ne ha parlato.”
“Sotto gli auspici dell'ambasciatore Seratard, uomo dai misteriosi antenati e padre di tutti i francesi. Devo avviarmi, tenetemi al corrente e se Malcolm dovesse chiedervi un altro incontro di quel genere, consultatemi prima, in privato.”
“Va bene.
Grazie, dottore.” Più tardi bussò Vargas. “Senhor, Ah Tok dice che il tai-pan vuole vedervi.” Mentre saliva le scale Jamie, immaginandosi al posto di Malcolm, sentì una stretta allo stomaco.
“Senhor McFay!” lo richiamò subito Vargas. “Scusate, ma sono appena arrivati i samurai choshu, quelli che vogliono ordinare i fucili, senhor.”
“Torno subito.” McFay bussò e aprì la porta. “Buongiorno tai-pan” disse gentilmente. La schiena sollevata dai cuscini, Struan aveva uno strano sguardo e un sorriso fisso sul volto. “Come vi sentite oggi?”
“Avete visto Hoag?”
“Sì.”
“Bene, allora saprete che la ragazza è stata all'altezza e, ecco, grazie, Jamie. Mi è stata di grande aiuto, anche se...” Struan rise nervosamente, “anche se la conclusione mi ha un pò scombussolato. Un corpo magnifico. E' stato molto soddisfacente, ma non credo di poter ripetere una cosa del genere fino a che non mi sarò ristabilito. Di certo mi ha liberato... dell'arretrato.” Rise ancora, nervoso. “Jamie, non sapevo che una ragazzina così potesse essere tanto forte e tanto... mi capite, vero?”