“Non mi sento molto bene, niente di grave.” Rassicurata dal suo aspetto così vulnerabile e inerme, decise nuovamente di fidarsi, chiuse la porta e gli si sedette accanto per raccontargli quanto era accaduto quel giorno. “Cosa mi consigliate di fare, André.
Non posso avere denaro liquido... cosa devo fare?”
“Asciugate le lacrime, Angélique, la soluzione è semplice. Domani o dopo vi accompagnerò in giro per acquisti” proseguì spedito, la sua presa sulle questioni mondane ancora perfetta.
“Non mi avete forse chiesto di aiutarvi a trovare un regalo di fidanzamento per monsieur Struan?
Gemelli d'oro e perle per lui, e orecchini di perle per voi.” La sua voce si incupì. “Ma, che disgrazia, dopo la vostra visita al gioielliere, sulla via del ritorno, avete perso un paio di orecchini. Abbiamo cercato dovunque, ma niente! Terribile!” i suoi occhi chiari fissavano quelli di lei.
“Nel frattempo, la mama-san riceverà il pagamento segreto.
Mi accerterò che gli orecchini che “perderete” coprano abbondantemente il costo della medicina e qualsiasi altra spesa relativa.”
“Siete fantastico!” esclamò lei abbracciandolo.
“Magnifico, cosa farei senza di voi?” Lo abbracciò di nuovo, lo ringraziò e uscì dalla stanza quasi danzando.
Poncin guardò a lungo la porta chiusa. Sì, coprirà le spese della medicina, pensò curiosamente agitato, ma mi garantirà anche i venti luigi e qualsiasi altra spesa decida. Povera cipollina, sei così facile da imbrogliare.
Ti stai infilando in guai sempre peggiori. Non ti rendi conto che ora stai per diventare una ladra e, quel che è peggio, complice in una truffa?
E tu, André, sei l'artefice del complotto.
Scoppiò in una lugubre risata. Provatelo! Angélique racconterà in tribunale di aver abortito? La mama-san testimonierà contro di me? E la corte accoglierà la versione della figlia e della nipote di provati delinquenti contro la mia?
No, ma Dio conosce la verità e tra poco sarò al suo cospetto.
LUI sa che ho fatto molto di peggio, e che non intendo desistere dai miei cattivi propositi.
Il suo volto si rigò di lacrime.
“Ayeeyah, signorina” implorò Ah Soh mentre cercava di aiutare a spogliarsi Angélique, che non voleva star ferma, felice com'era di aver risolto il suo problema più urgente. “Signorina!”
“Va bene, ma sbrigati.” Angélique si fermò vicino al letto ma continuò a canticchiare la sua polka preferita.
Nella stanza, più femminile e confortevole alla luce della lampada a olio di quanto non fosse di giorno, i vetri delle finestre erano leggermente socchiusi e le imposte di legno sprangate.
“Signorina divertita, heya?” Ah Soh iniziò a slegare i lacci della crinolina intorno alla vita.
“Molto, grazie” rispose con educazione Angélique, senza provare per quella donna la minima simpatia. Ah Soh era una donna di mezza età dai fianchi larghi, una serva, non una vera amah. “Malcolm, è così vecchia, non puoi trovarmi una donna giovane, carina e sorridente?”
“Angel, l'ha scelta Gordon Chen, il nostro compradore cinese. Assicura che è assolutamente affidabile, che saprà spazzolarti i capelli, farti il bagno, occuparsi dei tuoi vestiti europei. E' un mio dono per te durante il tuo soggiorno in Giappone...”
Quando i lacci si allentarono e la crinolina cadde sul pavimento, Ah Soh ripeté l'operazione con la sottana e infine con la grande gabbia di cerchi di osso e metallo che tenevano la crinolina in forma. Le tolse i mutandoni, le calze di seta, la sottoveste corta e il busto steccato che riduceva il giro di vita da cinquanta centimetri a quarantatré e le evidenziava il seno, secondo la moda.
Quando la cameriera slacciò il busto, Angélique emise un lungo respiro di sollievo, uscì con un saltello dal mare di stoffa, si buttò sul letto e come un bambino si lasciò spogliare del tutto.
Poi alzò ubbidiente le braccia affinché la camicia da notte a fiori cadesse intorno al corpo.
“Sedete, signorina.”
“No, questa sera non importa. Ah Soh, i capelli possono aspettare.”
“Prego, domani no bene!” esclamò Ah Soh agitando la spazzola.
“E sia...” Angélique sospirò, balzò giù dal letto, si sedette alla toeletta per consentire alla donna di togliere le forcine e di spazzolarle i capelli e si abbandonò al delicato piacere.
Che bravo, André! Riesce a trovare soluzioni così semplici; ora potrò disporre di tutto il denaro di cui ho bisogno, com'è in gamba.
Di quando in quando una brezza benevola faceva scricchiolare le imposte. Un centinaio di metri più lontano, oltre la passeggiata, le onde si frangevano sulla spiaggia di sassi promettendo con il loro suono alternato la dolce notte che tutti all'Insediamento desideravano.
La flotta era salpata al crepuscolo, accompagnata dagli sguardi più o meno ansiosi di quanti non erano ubriachi o addormentati, che le avevano augurato buona fortuna e un veloce ritorno.
Tutti, tranne i giapponesi.
Ori era tra loro. Premeva gli occhi contro la fessura di una delle imposte di Angélique, ben nascosto e mimetizzato dai rigogliosi cespugli di camelie fatti piantare davanti alla Legazione da Seratard, esperto di giardinaggio.
Si era appostato in agguato molto prima di mezzanotte. Mentre il tempo scorreva adagio, aveva pensato e ripensato alle mosse da fare, controllando nervosamente e di continuo che la spada corta fosse libera nel fodero e il Derringer al sicuro nella larga manica del kimono da pescatore.
Ma quando l'aveva vista avvicinarsi alla Legazione in compagnia di due gai-jin, tutta la sua stanchezza era svanita.
Per un attimo provò l'impulso di correre fuori dal suo nascondiglio per aggredirli, ma subito desistette da quella follia sapendo che difficilmente gli sarebbe stato possibile uccidere tutti e tre, oltre alla sentinella, prima di essere ucciso a sua volta.
E comunque, pensò risoluto, questo metterebbe fine ai miei piani di possederla ancora una volta prima di morire e di incendiare l'Insediamento. Se non ci sarò io a spronarlo, Hiraga non lo farà mai. Ha perso il coraggio, i gai-jin lo hanno contagiato.
Se Hiraga il Forte soccombe tanto facilmente, che ne sarà degli altri?
L'imperatore ha ragione di odiare i gai-jin e di volerli cacciare!
Così frenò la rabbia e si addentrò ancora di più nel fitto del suo nascondiglio ad aspettare il momento e a valutare ogni possibilità. Le finestre non gli fornivano alcun accesso, a meno che lei stessa non le aprisse.
Invece la porta sul retro non era sorvegliata e se anche non si fosse aperta la parete offriva molti appigli per salire al piano superiore.
Dalla sua postazione a meno di due passi di distanza, oltre il muro, aveva osservato la svestizione in ogni particolare.
Ora che la cameriera che si dava tanto da fare intorno alla padrona stava preparando il letto, l'impazienza di Ori divenne quasi intollerabile.
Prima, mentre si trovava in una viuzza dietro High Street, una pattuglia mista di marinai e soldati che faceva la ronda notturna nell'Insediamento per garantire l'ordine gli si era parata davanti all'improvviso.
Lui si era fermato senza paura, non c'è il coprifuoco, aveva pensato, e in nessuna parte dell'Insediamento è vietato l'accesso ai giapponesi, anche se loro, saggiamente, se ne stanno nel quartiere e preferiscono non provocare i gai-jin.
Ma quando il sergente gli puntò la lampada in faccia, Ori arretrò con un sussulto e la spada corta che teneva nascosta gli cadde per terra attirando l'attenzione.
“Tu, piccolo bastardo, non lo sai che pugnali e roba simile da queste parti sono proibiti, kiniru?”
Divieto e punizione erano noti a tutti. Anche se le parole erano incomprensibili, Ori aveva raccolto subito la spada ed era scappato. Il sergente sparò ma il proiettile rimbalzò rumoroso su una tegola senza colpirlo, e lui riuscì a scavalcare il muretto e a dileguarsi nel labirinto di viuzze e case. La pattuglia non si era data la pena di inseguirlo, limitandosi a gridargli dietro qualche insulto, perchè il possesso di un pugnale non era un'infrazione grave: veniva punito all'istante con un pò di botte e con la confisca dell'arma.
Si nascose paziente, e all'arrivo di un gruppo di pescatori si mescolò a loro per raggiungere la spiaggia, poi tornò indietro, scalò il recinto della Legazione e velocemente trovò un rifugio sicuro. Poi, accucciato, iniziò ad aspettarla.
Perché quella mattina aveva solo finto di lasciarsi convincere da Hiraga a partire per Kyòto. “Non appena mi sarò messo in contatto con Katsumata, ti manderò un messaggio” gli aveva detto, a denti stretti.
“Accertati che la ragazza non scappi!”
“E' la donna del tai-pan, ogni suo passo è controllato, non sarà difficile ritrovarla” rispose Hiraga con pari freddezza. “Stai attento, la Tokaidò sarà pericolosa. Le pattuglie armate e le guardie ai posti di blocco saranno in allerta.”
“Sarebbe meglio che onorassimo sonno-joi e tu mi lasciassi rimanere.
Akimoto arriva oggi, potremo incendiare Yokohama.”
“Lo faremo, al tuo ritorno. Se tu rimanessi commetteresti un errore, quella donna ti ha dato alla testa e ti ha reso pericoloso per te stesso, per i tuoi amici e per sonno-joi.”
“E tu, Hiraga? I gai-jin si sono impadroniti di te e ti hanno tolto il senno.”
“No. Te lo ripeto per l'ultima volta.” Incurante di provocare Hiraga, Ori sbottò: “Hai visto che razza di gentaglia ributtante e ubriacona sono i gai-jin, li hai visti lottare come bestie e rotolarsi nella sporcizia della Città Ubriaca. Sono questi gli uomini che desideri conoscere meglio, o ai quali vorresti assomigliare?”
“Vattene!” Furibondo quanto Hiraga, Ori raccolse la spada e il Derringer poi, seguendo il suggerimento di Raiko, si unì alla processione di servi che quotidianamente si dirigeva al mercato di Kanagawa, dove si vendevano i cibi e il sakè migliori. Con loro attraversò le barriere dello Yoshiwara e poi dell'Insediamento.
La ronda armata stava ancora tra le guardie creando in loro un'ansia pari a quella degli abitanti del villaggio.
Sulla via di Kanagawa, a metà strada, protetto dal traffico intenso, Ori si era dileguato verso la spiaggia. Li aveva pagato un pescatore per essere portato in barca al limite dell'Insediamento, vicino alla Città Ubriaca, dove si era nascosto fino al calare della sera.
Sto facendo la cosa giusta, pensò con assoluta certezza nel suo nascondiglio accanto alla Legazione francese, mentre la brezza marina allontanava gli insetti notturni.
La donna è un bersaglio perfetto per sonno-joi. Checché ne dica Hiraga, forse non mi si presenterà un'altra occasione di spezzare per sempre l'incantesimo con cui mi ha stregato.
Si, mi ha stregato. Dev'essere un kami, uno spirito, una donna lupo rinata nel corpo di una gai-jin, nessun'altra donna vergine, e drogata, mi avrebbe accolto con tanto ardore, nessun'altra potrebbe fare esplodere un uomo come lei ha fatto esplodere me, né tenermi così prigioniero del desiderio.
Questa notte la possiederò per la seconda volta. Poi la ucciderò. Se riuscirò a scappare, karma. Se non ci riuscirò, karma. Ma lei morirà per mano mia.
Il sudore gli colava sul viso e lungo la schiena. Riprese a concentrarsi, osservandola attraverso la fessura, così vicina che se non fosse stato per il muro quasi sarebbe riuscito a toccarla. Lei si stava infilando nel letto, con la camicia da notte che lasciava intravedere il corpo. La cameriera abbassò la lampada a olio che diffuse un caldo bagliore.
“'Notte, signorina.”
“'Notte, Ah Soh.” Contenta di essere sola, Angélique scivolò sotto le lenzuola e, con la testa abbandonata sul braccio, inseguì con lo sguardo le ombre che la fiamma mossa dalle leggere correnti d'aria faceva danzare sui muri. Prima dell'aggressione di Kanagawa il buio non le aveva mai fatto paura, si affidava senza timore alla notte per risvegliarsi rigenerata l'indomani.
Dopo Kanagawa le cose erano cambiate. Nella stanza doveva sempre esserci una piccola luce, e faticava ad addormentarsi, la mente vagava in una ridda di congetture, e le mani correvano ai seni. Sono più gonfi di ieri? E i capezzoli, sono più sensibili? Si, lo sono, no, è solo suggestione.
E la pancia, è più rotonda? No, è sempre uguale, eppure...
Eppure la differenza è enorme, come tra la notte e il giorno, e ogni giorno mi capita di chiedermi, sarà un maschio o una femmina? o un demonio, se ha preso dal padre, un violentatore. No, un figlio mio non potrebbe mai essere un demonio!
Un diavolo. Oggi è venerdì, tra due giorni andrò a messa e dovrò confessarmi di nuovo. Non riuscirò a parlare. Come odio la confessione, adesso, e quanto detesto padre Leo, quel grasso e rozzo vecchiaccio lascivo che puzza di tabacco.
Mi ricorda il confessore di zia Emma a Parigi, quell'anziano scozzese che puzzava di whisky e parlava un francese disgustoso come la sua tonaca.
Sono stata fortunata che la zia e lo zio Michel fossero solo cattolici della domenica e non bigotti fanatici.
Chissà come stanno, povero zio Michel.
Domani parlerò con Malcolm...
Caro, caro Malcolm, era così gentile questa sera, così forte e saggio, oh, quanto l'ho desiderato. Sono così felice di poter conversare con lui; è una fortuna che zia Emma si sia rifiutata di imparare il francese costringendo me a imparare l'inglese. Come avrà fatto a sopravvivere a Parigi per tutti quegli anni parlando solo inglese, e come sarà venuto in mente allo zio Michel di sposarla e sopportare una simile fatica? Eppure li amo entrambi, lei così sciatta e lui così mediocre.
Amore! Usavano sempre questa parola quando parlavano l'uno dell'altra e raccontavano del loro incontro in Normandia, quell'estate, in vacanza, lei attrice in una compagnia di giro shakespeariana, lui giovane ufficiale. E' stato un amore a prima vista, dicevano sempre, ricordando com'erano belli.
Fuggirono insieme e si sposarono dopo una settimana; molto romantico, ma poi non furono felici e contenti.
Noi lo saremo, Malcolm e io. Si, e io amerò Malcolm come una perfetta moglie moderna, avremo tanti bambini e daremo loro un'educazione cattolica, per lui non ha importanza, neanche lui è un bigotto: “Non lo sono davvero, Angélique. Naturalmente ci sposeremo secondo la tradizione protestante, mia madre insisterà. Ma dopo ci sarà anche il rito cattolico, se lo desideri, privatamente...”.
Non importa se sarà segreto, è questo il vero matrimonio, non quell'altro, i bambini verranno accolti dalla Madre Chiesa, vivremo a Parigi per gran parte dell'anno.