Lui mi amerà e io amerò lui e faremo l'amore in modo fantastico, pensò, e mentre la mente errava il cuore iniziò a battere forte.
Sempre di più.
La serata era stata magnifica e lei si sentiva bene e al sicuro, così ora poteva lasciar affiorare i piacevoli particolari del sogno di quella notte.
Non lo ricordava con esattezza ma era troppo ardito per poter cancellare le ossessive immagini erotiche.
Una scintilla subito esplosa in un calore avvolgente. Sapendo senza sapere. Sentendo senza sentire le braccia forti che la stringevano e l'emozione di essere posseduta da una sensualità sconosciuta, aperta, con la testa, il corpo e la vita intera liberi di abbandonare ogni freno, di lasciar cadere ogni remora perché... non era che un sogno.
Eppure mi ero svegliata, o quasi svegliata, e fingevo di dormire ancora? si chiese con un fremito di terrore.
Se fossi stata del tutto sveglia non avrei reagito con un simile folle ardore, no di certo, ma il sogno era così forte, sconvolgente, ero travolta da una tempesta che mi faceva desiderare sempre di più, di più...
Udì la porta esterna aprirsi e richiudersi, poi la serratura della porta della sua camera scattò. Girandosi allarmata vide André, che aprì e richiuse la porta silenziosamente, la sprangò e vi si appoggiò con un sorriso beffardo sulle labbra.
Ebbe paura. “André, cosa volete?” Lui restò immobile, senza rispondere, poi si avvicinò al letto e iniziò a fissarla. “Voglio... parlare, d'accordo?” disse sottovoce. “Lo faremo?
Parleremo e... che altro?”
“Non capisco” disse lei capendo fin troppo bene, consapevole del luccichio di quegli occhi dove sino a pochi minuti prima si leggeva solo compassione. Ma si impose di mantenere un tono di voce calmo, rimproverandosi di non aver sprangato la porta, non ce n'era mai stato bisogno, la casa era frequentata solo dai servitori e dai membri della Legazione, perchè nessuno avrebbe mai osato entrare senza il suo permesso.
“Vi prego, non...”
“Dobbiamo parlare, di domani, e... diventare amici.”
“Vi prego, caro André, è tardi, di qualsiasi cosa si tratti, possiamo rimandarla a domani, mi dispiace, ma non avete il diritto di entrare senza annunciarvi...” Quando lui si sedette sul letto e si allungò per toccarla, lei si ritrasse in preda al panico. “Fermatevi o mi metterò a urlare!”
“Se urlerete, cara Angélique” sussurrò lui con una risata sommessa e cattiva, “accorreranno i servitori, e quando saranno qui dirò loro che siete stata voi a invitarmi perchè volevate un pò di intimità per parlare di denaro, denaro contante, per pagare un aborto.” Sul suo volto si disegnò ancora quel sorriso beffardo. “D'accordo?”
“Oh, André, non fate così, per favore andatevene, vi prego, qualcuno potrebbe vedervi qui, vi prego.”
“Prima... prima voglio un bacio.” Lei arrossì. “Uscite, come vi permettete!”
“Taci e ascoltami bene” rispose lui con voce sommessa ma dura, afferrandole un polso e tenendolo stretto. “Posso permettermi tutto, e se vorrò qualcosa di più di un bacio, me lo darai, e con le buone.
Senza di me ti scopriranno, senza di me ...”
“Per favore, André... lasciatemi.” Per quanto lei si sforzasse, non riusciva a sottrarsi alla presa. Poi con una smorfia lui le lasciò il polso.
“Mi avete fatto male” disse Angélique quasi in lacrime.
“Non voglio farti del male” mormorò lui con una voce gutturale che suonava strana alle sue stesse orecchie. Sapeva che era una follia comportarsi in quel modo, ma la sua mente era stata sopraffatta da un impulso improvviso che lo aveva condotto in quella stanza come un automa, per costringerla... a cosa? A condividere il suo degrado. Perché no?
Si sentiva ripetere dentro, è colpa sua, se con il suo seno al vento e la sua vistosa sensualità continua a ricordarmelo! Lei non è meglio di una puttana di strada, magari non è stata nemmeno violentata, non mira forse ad accalappiare Struan e i suoi milioni con ogni mezzo? “Sono... tuo amico, ti sto aiutando, no?
Avvicinati... un bacio non è una grande ricompensa.”
“No!”
“Per Dio, se non acconsentì di buon grado smetterò di aiutarti e, tra un giorno o due, manderò a Struan e Babcott una lettera anonima.
E' questo che vuoi, eh?”
“André, vi prego...” Lei si guardò in giro alla disperata ricerca di una via di fuga.
Non ne esistevano. Quando lui si allungò sul letto per toccarle il seno, gli allontanò con forza la mano e iniziò a lottare, tentando di graffiarlo agli occhi con le unghie. Ma quanto più si dimenava, impotente e consapevole di essere in trappola e di dover cedere prima o poi perchè non poteva mettersi a gridare, tanto più lui la tratteneva.
All'improvviso, qualcuno bussò con violenza sull'imposta.
La sorpresa risvegliò André dalla sua follia e lei gridò.
Mortificato, saltò giù dal letto, si precipitò verso la porta, l'aprì, aprì anche quella che dava sul corridoio, poi corse indietro a spalancare le finestre. In pochi secondi aveva tolto la spranga alle imposte spingendole verso l'esterno. Niente. Fuori non c'era nessuno.
Nient'altro che cespugli mossi dal vento, il rumore del mare e, oltre la recinzione, la passeggiata deserta.
Accorse una sentinella. “Che cosa succede?”
“Sono io a chiederlo a te, soldato” rispose André in tutta fretta, con il cuore in gola, “hai visto qualcuno, notato qualcosa di strano? Stavo passando accanto alla stanza di mademoiselle e ho sentito... ho creduto di sentire qualcuno picchiare contro le sue imposte.
Svelto, va' a vedere!” Dietro di lui, Pierre Vervene, il Chargé d'Affaires, con una candela in mano, la vestaglia sopra la camicia da notte e il berretto di traverso, si precipitò ansioso nella stanza facendosi largo tra la folla di servi che si accalcavano sulla porta. “Cosa succede? Oh, André! Che diavolo... che cosa sta succedendo? Mademoiselle, siete stata voi a gridare?”
“Sì, io... lui...” balbettò. “André era... qualcuno ha picchiato contro le imposte e André...”
“Stavo passando proprio accanto alla sua porta” disse André “e sono corso dentro, vero Angélique?”
Lei abbassò gli occhi e si nascose sotto le coperte.
“Sì, è vero” disse spaventata, odiandolo e sforzandosi di non darlo a vedere.
Vervene raggiunse André alla finestra e guardò fuori. “Dev'essere stato il vento, qui arrivano folate improvvise e le imposte non si possono certo definire nuove.” Ne agitò una, che sbatté rumorosamente comprovando la sua tesi. Poi si sporse e gridò alla sentinella: “Fai un'accurata ispezione e torna a farmi rapporto”.
Chiuse le imposte, le sbarrò e richiuse le finestre. “Ecco fatto! Non c'è niente di cui preoccuparsi.”
“Sì, sì, ma...” Per il sollievo gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Mon Dieu, mademoiselle, non piangete, non c'è niente di cui preoccuparsi, siete al sicuro, non dovete stare in ansia.” Vervene si tolse il berretto e si grattò la testa calva, confuso. Poi distinse tra le persone che si affollavano sulla porta Ah Soh e con piglio autoritario le ordinò: “Ah Soh, tu dormi qui, con la signorina, sì?”.
“Sì, padrone.” Ah Soh corse a prendere un materasso su cui dormire e gli altri si allontanarono.
“Mademoiselle Angélique, starò qui con voi fino al suo ritorno.” Il vecchio sbadigliò. “Vi sarete sbagliati entrambi, è stato il vento. Chi mai si metterebbe a picchiare contro le imposte, eh? Grazie a Dio, all'Insediamento non ci sono monellacci e teppisti che fanno scherzi e rubacchiano in giro! Dev'essere stato il vento, eh?”
“Sono certo che avete ragione” disse André che, superato il panico, ora temeva che qualcuno avesse spiato la scena da fuori. Aveva già notato la fessura nell'imposta, ma non c'erano altri particolari sospetti. “Ne siete convinta anche voi, Angélique?”
“Io... forse sì” mormorò lei, ancora molto turbata per l'accaduto e per il rumore improvviso. Perché è successo proprio in quel momento?
Qualcuno ha bussato o è stato solo un colpo di vento miracoloso, un vero regalo di Dio? Vento o persona che fosse, decise, non importa.
L'ho scampata.
Domani torno nella suite accanto a Malcolm, non posso stare qui, così vicino ad André, è troppo pericoloso. “Sembrava che qualcuno bussasse, ma... posso essermi sbagliata. Potrebbe essere stata... un'improvvisa folata di vento.”
“Ne sono sicuro” disse Vervene convinto.
“Le mie imposte sbattono sempre, mi svegliano di continuo.”
Tossì e si sedette, scrutando con discrezione André, ancora terreo in volto. “Non è necessario che vi fermiate, amico mio. Non avete un bell'aspetto, parrebbe una crisi di fegato, che Dio ce ne scampi!”
“Forse, forse è così. Di certo non mi sento molto bene.” André si rivolse ad Angélique. “Mi dispiace” disse guardandola negli occhi e assumendo un tono calmo e dolce. Sembrava tornato il vecchio André di sempre: la follia, la brama e la violenza erano svanite. “Buonanotte, Angélique, non avete nulla da temere, mai. Monsieur Vervene ha proprio ragione.”
“Sì... sì, grazie André.”
Lei si sforzò di sorridere e lo vide sparire.
Lo aveva guardato a fondo nel tentativo di scoprire la verità nascosta nei suoi occhi. Erano amichevoli, non esprimevano niente di particolare.
Tuttavia non poteva fidarsi di quello che aveva visto. In ogni caso avrebbe dovuto perdonarlo, accettare le sue inevitabili scuse, fingendo di dimenticare tutto come se si fosse trattato di una crisi momentanea e tornare a essergli amica. In apparenza.
Tremò.
Perché dentro di sé sapeva che qualsiasi cosa lui le avesse chiesto, sarebbe stata costretta a concederglielo finché fosse stato in vita.
Ori tremava accucciato dietro una barca sulla spiaggia, a venti metri dalla battigia.
“Sei completamente baka” mormorò furente con se stesso.
Prima di rendersene conto si era messo a picchiare contro le imposte e poi, atterrito dalla propria stupidità, era subito scappato oltre il recinto, aveva ritrovato il remo già usato per camuffarsi, se lo era messo sulle spalle e aveva attraversato la strada. Nessuno lo aveva fermato, le voci dei gai-jin risuonavano dietro di lui.
Hiraga aveva ragione, pensò, confuso e nauseato, con il cuore che gli doleva nel petto. Dalla spalla che pulsava per la ferita riaperta durante la fuga precipitosa scorreva un rivolo caldo di sangue. Forse quella donna mi ha davvero fatto impazzire.
Una follia picchiare sulle imposte: a cosa poteva giovarmi? Cosa m'importa se un altro la prende? Perché quella vista mi ha infiammato tanto da farmi ronzare le orecchie?
Lei non è mia, né voglio che sia mia, cosa m'importa se un gai-jin la possiede, di forza o con il suo consenso?
Ci sono donne che per eccitarsi hanno bisogno di un pò di violenza, come molti uomini... ah, sarebbe stato forse meglio se si fosse ribellata a me, invece di accogliermi, per quanto drogata fosse? Ma lo era davvero o fingeva?
Fingeva?
Era la prima volta che veniva assalito da quel sospetto. Anche se il cuore continuava a battere all'impazzata e il dolore alle tempie non accennava a svanire, un pò della rabbia si spense. E se avesse finto?
Eeeh, è possibile, le sue braccia si stringevano intorno a me, le sue gambe mi avvolgevano e il suo corpo si muoveva come mai quello di altre, tutte le donne di piacere si muovono con sensualità, emettono gemiti e sospirano, a volte piangono, persino, “Come sei forte, mi sfinisci, non ho mai avuto il privilegio di conoscere un uomo come te, ma ogni cliente sa che sono parole imparate a memoria, niente di più, e non hanno alcun significato.
No, con lei non era così, ogni istante era stato carico di significato.
Che fingesse o no, poco importa, forse fingeva, le donne sono piene di astuzia. In ogni caso, non avrei dovuto picchiare sull'imposta come un pazzo scatenato, e rivelare così la mia presenza e il mio nascondiglio vanificando forse per sempre la possibilità di tornare!
Nuovamente travolto dall'ira sferrò un pugno contro il legno dello scafo. “Baka!” grugnì, desiderando di poterlo gridare forte.
Sulla spiaggia sopraggiunse un rumore di passi. In guardia, si acquattò nelle ombre disegnate dalla luna nemica, poi udì le voci dei pescatori che si avvicinavano chiacchierando tra loro e si maledì per non essere stato più sveglio.
Quasi subito un rozzo pescatore di mezza età apparve da dietro la poppa della barca e si fermò. “Attenti! Chi sei, straniero?” urlò, sollevando il corto albero di una barca per difendersi.
“Cosa ci fai qui?” Ori lo fissò immobile e notò i due che lo avevano raggiunto: un pescatore anziano e un giovane non più vecchio di Ori, con i remi e gli attrezzi da pesca. “Non si fanno domande del genere a un superiore” disse. “Sei un maleducato!”
“Chi siete? Ma voi non siete samur...” L'uomo si fermò impietrito perchè Ori, balzato in piedi, mise mano alla spada e la sfilò dal fodero minaccioso.
“In ginocchio, gentaglia, prima che vi faccia saltare il cuore dal petto, sono un samurai, anche se i miei capelli sono tagliati in modo diverso!” I pescatori riconobbero l'autorità di Ori e il modo di impugnare la spada, si inginocchiarono all'istante e a capo chino blaterarono le loro scuse. “Silenzio!” ringhiò lui. “Dove siete diretti?”
“A pesca, signore, mezza lega al largo, vi preghiamo di scusarci, ma con quei capelli, nel buio...”
“Silenzio! Mettete la barca in acqua, presto!” Al sicuro in mare, con la brezza salata che gli acquietava i pensieri e placava la sua ira, Ori si voltò a guardare l'Insediamento.
Le luci degli edifici che Hiraga gli aveva indicato, la Legazione francese e quella britannica, il palazzo Struan e il circolo, erano ancora accese. La praia era disseminata di lampioni, le finestre di alcuni bungalow e magazzini erano ancora accese e la Città Ubriaca pulsava come sempre di notte perchè le rivendite di gin non chiudevano mai del tutto i battenti.
Ma tutta la sua attenzione era concentrata sulla Legazione francese.
Perché, continuava a ripetersi, perchè sono stato travolto dalla gelosia?
Gelosia, ecco la parola giusta. Una gelosia folle. Essere gelosi per questioni di letto è baka!
E' stato a causa di quello che mi ha riferito Hiraga: “Taira dice che nei ceti alti le loro abitudini sono simili alle nostre, prima del matrimonio un uomo non fa l'amore con la donna che sposerà, il che significa che il tai-pan non la porta a letto e che, essendo lei fidanzata, nessun altro ha il diritto di farlo.