“No, vai avanti.” Sudavano per la paura e per il caldo. La fiamma della candela ondeggiò e si spense. Imprecando Hiraga la riaccese e cercò di proteggere la fiamma, ma cera e stoppino erano quasi finiti. Si trascinò avanti, con l'acqua che ora gli arrivava ai fianchi. Pur scivolando continuamente Ori riuscì a non perdere del tutto l'equilibrio. Altri venti o trenta passi.
L'acqua continuava a crescere. Adesso gli arrivava alla vita, mentre il tetto sfiorava le loro teste.
Proseguirono. La luce della candela era sempre più fioca. Ancora avanti.
Hiraga scrutava la candela, imprecando. “Meglio che torniamo ad aspettare all'asciutto.”
“No, continuiamo finché la candela non si spegne.”
Davanti a loro la galleria curvava nel buio e il tetto si abbassava fin quasi a sfiorare l'acqua. Con lo stomaco stretto dalla nausea Hiraga proseguì sul fondo scivoloso. Altri passi. Il tetto gli premeva contro la testa, poi cominciò ad alzarsi di qualche centimetro. “Il livello dell'acqua si sta abbassando” constatò.
Nauseato per il sollievo, s'inoltrò più veloce nell'oscurità maleodorante.
Dopo la curva il tetto era decisamente più alto.
Proseguirono. La candela crepitò ma prima di spegnersi concesse ai due uomini il tempo di vedere che il terreno più avanti era asciutto e che il tunnel terminava in un pozzo. Hiraga brancolò nel buio. “Ori, sono arrivato sul bordo. Faccio cadere una pietra, ascolta.” La pietra rimbalzò a lungo contro le pareti prima di toccare l'acqua con un rumore sordo.
“Accidenti, dev'essere profondo almeno trenta metri” disse con lo stomaco capovolto.
“Accendi un altro fiammifero.”
“Me ne rimangono solo tre” rispose Hiraga accendendone uno. Videro una serie di pioli arrugginiti e malsicuri che portavano verso l'alto.
“Perché eri sicuro che Raiko conoscesse questo passaggio?”
“Un'intuizione. Doveva esserci un passaggio, al loro posto io lo avrei costruito.” Ori aveva la voce rauca e respirava a fatica.
“Potrebbero essere là fuori, in agguato per ricacciarci indietro, se non riusciremo a saltar fuori.”
“Sì.”
“Svelto, odio questo posto. Arrampicati!” Non meno nervoso del compagno, Hiraga si aggiustò la lunga spada nella cintura. Ori indietreggiò e spaventato afferrò l'impugnatura della sua. All'improvviso i due uomini si fronteggiarono, forse vicini alla salvezza, ma senza che tra loro si fosse risolto alcunché.
Il fiammifero crepitò e si spense.
Al buio non potevano più vedersi. Allontanandosi istintivamente dallo strapiombo, erano arretrati entrambi verso la parete della galleria.
Hiraga, più scaltro in battaglia, teneva un ginocchio appoggiato per terra e la mano sull'elsa, pronto a staccargli le gambe dal corpo se Ori avesse attaccato, e ascoltava il silenzio in attesa di udire il fruscio della spada sfilata dal fodero.
“Hiraga!” proruppe la voce di Ori nel buio, da una certa distanza.
“La voglio morta, l'andrò a cercare, per sonno-joi e per me. Sei tu che ti vuoi fermare, quindi spetta a te trovare una soluzione.” Hiraga restò in silenzio. “Trovala tu” sibilò e subito, senza far rumore, cambiò posizione.
“Non ne sono capace. Ci ho provato.” Hiraga, temendo un trucco, esitò. “Prima di tutto metti giù le spade.”
“E poi?”
“Secondo: poiché lei ti ossessiona più di sonno-joi, non voglio che tu mi stia intorno armato a Yokohama, partirai per Kyòto domani e ne parlerai con Katsumata, è lui il tuo capo sarsuma. Al tuo ritorno faremo tutto come hai detto tu.”
“E se non dovessi tornare?”
“Lo farò io, al momento scelto da me.” La voce di Ori suonò ancora più dura. “Ma lei potrebbe andarsene, scappare... E se dovesse partire prima che io faccia ritorno?”
“Mi terrò informato di ogni movimento e te lo farò sapere. Se non riuscirai ad arrivare in tempo, prenderò una decisione. Lei e suo marito, se nel frattempo si saranno sposati, potrebbero recarsi solo a Hong Kong. Tu, o noi, potremmo raggiungerla lì.”
Udì il respiro pesante di Ori e attese, in guardia contro un attacco improvviso, sapendo di non potersi fidare di Ori mentre lei era viva e così vicina, ma per il momento quello era il piano migliore. Ucciderlo sarebbe stato uno spreco.
Ho bisogno della sua abilità. “Sei d'accordo?” Lui esitò a lungo. Poi: “Sì” disse. “Che altro?”
“Per ultimo: la croce, buttala nel pozzo.” Hiraga udì un secco singulto di rabbia e poi ancora silenzio.
“Sono d'accordo, Hiraga-san. Per favore, accetta le mie scuse.” Il sensibile udito di Hiraga registrò il fruscio leggero di un tessuto, il sibilo di qualcosa che gli passava sopra la testa e subito dopo il tintinnio di un oggetto metallico che colpiva la parete del pozzo alle sue spalle per poi dileguarsi nel fondo. Infine un rumore di spade che venivano posate sul terreno.
Hiraga accese un fiammifero. Adesso Ori era del tutto indifeso. Hiraga avanzò subito, Ori indietreggiò in preda al panico, ma l'altro si limitò a raccogliere le spade. Prima che il fiammifero si spegnesse fece in tempo a buttare anche le spade nel pozzo.
“Ori, per favore, ubbidiscimi. E non avrai niente da temere. Io uscirò per primo; aspetta finché ti chiamo.” I pioli erano rosi dalla ruggine e alcuni vacillarono sotto il suo peso.
Salì. Finalmente, molto in alto, vide con sollievo che il pozzo si apriva su un cielo dove qualche stella faceva capolino tra le nuvole. Udì i rumori della notte, del vento e del mare. Si arrampicò ancora, ma con più cautela.
Dovette far ricorso a tutte le sue forze per sollevarsi sulla balaustrata di pietra e guardarsi in giro.
Il pozzo abbandonato era vicino al canale che delimitava l'Insediamento, in un terreno coperto di sterpaglie e rifiuti poco distante dal mare. Case diroccate e strade sterrate piene di buche.
Poco lontano, il latrato di un cane affamato.
Voci roche portate dal vento.
Adesso riusciva a orientarsi.
Erano sbucati nella Città Ubriaca.
Capitolo 22
†
Venerdì, 17 ottobre
Nella luce del mattino, al castello di Edo, Misamoto, il pescatore, falso samurai e spia di Yoshi inginocchiato davanti agli ansiosi membri del Consiglio degli Anziani, teneva tra le mani tremanti la versione inglese della risposta di sir William.
Al suo fianco c'era un ufficiale della Bakufu terrorizzato.
“Parla più forte, pescatore!” ripeté Anjo, il capo degli Anziani, nel silenzio teso e gelido della stanza.
“Non importa se non capisci tutte le parole, vogliamo sapere se l'ufficiale della Bakufu ha tradotto il messaggio accuratamente. Il messaggio dei gai-jin dice proprio così?”
“Sì... più o meno, sì, sire” mormorò Misamoto, terrorizzato al punto che quasi non riusciva a parlare. “E' come il signor ufficiale... più o meno, sire... più o meno...”
“Cos'hai al posto della lingua, un'alga, e al posto del cervello frattaglie di pesce? Veloce! Il principe Toranaga sostiene che tu sai leggere l'inglese, leggi!” Anjo era stato svegliato un'ora prima dall'ufficiale della Bakufu che al colmo dell'agitazione gli aveva portato la risposta di sir William in inglese e in olandese.
Furioso, Anjo aveva convocato una riunione del Consiglio durante la quale l'ufficiale aveva ripetuto la sua traduzione della versione olandese. “Cosa dice il foglio in inglese?”
“Ecco, sire, dice...” La voce di Misamoto, soffocata dal panico, si spense di nuovo.
Esasperato, Anjo si rivolse a Yoshi, “Questo pesce morto è una tua spia” disse con calcolata freddezza. “E stata una tua idea mandarlo a chiamare, adesso per favore convincilo a parlare.”
“Traduci quello che dice la lettera, Misamoto” disse Yoshi gentilmente, ribollendo dentro di sé dalla rabbia e dalla frustrazione. “Nessuno ti farà del male. Con parole tue. La verità.”
“Ecco, signore, è più o meno... più o meno quello che ha riferito il signor ufficiale, sire” balbettò Misamoto, “ma questa lettera è, non conosco tutte le parole, sire, solo alcune...”
Il suo viso si contorse dalla paura.
Yoshi attese un momento.
“Prosegui, Misamoto, non temere, dì la verità, qualunque essa sia. Nessuno ti toccherà. Dobbiamo conoscere la verità.”
“Ecco, sire, come ha detto l'ufficiale” mormorò Misamoto “il capo dei gai-jin informa che tra undici giorni si recherà a Osaka, ma non per una “visita cerimoniale”...”
Dinanzi all'intensità dei loro sguardi restò impietrito, terrorizzato, con il naso che gli colava e la saliva che gli bagnava il mento, poi all'improvviso esplose: “Non è affatto contento, è invece molto arrabbiato e andrà, andrà a Osaka con tutta la sua flotta, muoverà in forze verso Kyòto con i cannoni che sparano proiettili da sessanta libbre, la cavalleria e la fanteria per incontrare il Figlio del Cielo e Sua Altezza lo shògun, li chiama anche per nome, sire, imperatore Komei e giovane shògun Nobusada”.
Nella stanza sobbalzarono tutti, anche le guardie, normalmente impassibili, obbligate a fingere di non ascoltare. Misamoto chinò la testa sul tatami e rimase immobile.
Yoshi puntò il dito verso l'ufficiale della Bakufu, che impallidì sentendo tutta l'attenzione concentrata su di sé.
“E' corretto?”
“Per le vostre auguste orecchie, sire, la traduzione corretta di “visita cerimoniale” dovrebbe essere... la definizione dei barbari è rude e irrispettosa, sono sinceramente convinto che vada resa con “visita cerimoniale di Stato”, e...”
“Ma si parla effettivamente di “cannoni e cavalleria”?”
“Di fatto, sire, la lettera...” Tra lo stupore generale, Yoshi gridò: “Sì o no?”.
L'ufficiale deglutì, sbalordito che gli si ordinasse di dare una risposta così diretta, per la prima volta in vita sua, inorridito per la contestazione e per quel venir meno alle regole e alle consuete sottigliezze della diplomazia, “Mi duole informarvi che di fatto la lettera ne fa menzione, ma tale impertinenza è chiaramente un errore e...”
“Perché non hai tradotto accuratamente?”
“Quando ci si rivolge a orecchie auguste, sire, è necessario interpretare...”
“E vengono menzionati i nomi di quelle auguste persone? Sì o no?”
“I nomi ci sono ma io...”
“E i caratteri con cui sono scritti sono corretti?”
“Sembrerebbe, sire, i caratteri sembrano essere corretti...”
“Scrivi immediatamente la traduzione fedele della lettera.”
Sebbene ora Yoshi usasse un tono cortese, la violenza delle sue parole echeggiò contro le disadorne pareti di pietra della stanza.
“Fedele! E d'ora in poi farai in modo che ogni messaggio che giunga da loro o che a loro sia destinato venga tradotto con altrettanta fedeltà.
FEDELTA'!
Un errore e la tua testa finirà in un mucchio di spazzatura. Fuori! Misamoto, ti faccio i miei complimenti, per favore aspetta fuori.”
I due uomini si dileguarono, Misamoto maledicendo il giorno in cui aveva acconsentito ad accompagnare Perry in Giappone convinto che la Bakufu lo avrebbe onorato per la sua eccezionale esperienza e gli avrebbe garantito una fortuna, e l'ufficiale giurando di vendicarsi di Yoshi e di quel pescatore bugiardo prima che il Consiglio avesse potuto mettere in atto l'inevitabile sentenza contro di lui, ufficiale saggio e corretto.
Yoshi, con la mente freneticamente occupata a escogitare la mossa successiva di quel conflitto infinito, ruppe il silenzio.
“Non possiamo in alcun modo tollerare una visita armata a Kyòto! L'accaduto dimostra ciò che da tempo continuo a ripetere: abbiamo bisogno di interpreti, traduttori di fiducia che ci dicano cosa i loro disgustosi messaggi significhino realmente!”
“Non è necessario” ribatté con durezza Toyama, con il doppio mento che tremava per la rabbia. “L'impertinenza dei gai-jin è un insulto senza precedenti che equivale a una dichiarazione di guerra. A un affronto simile dobbiamo rispondere con il sangue.” Un mormorio serpeggiò tra le guardie.
“E' una dichiarazione di guerra. Bene. Fra tre o quattro giorni condurrò un attacco a sorpresa all'Insediamento e porrò fine a questa pazzia una volta per tutte.”
“Questo sarebbe baka. Non lo faremo. Baka!” ripeté Anjo, rivolgendosi in verità alle guardie, tra le quali non era difficile si nascondesse un segreto ammiratore degli shishi o un devoto di sonno-joi.
“Quante volte devo ripetere che non li dobbiamo ancora attaccare, nemmeno a sorpresa?” Toyama divenne paonazzo.
“Yoshi-san” disse, “potremmo annientarli e mettere a fuoco Yokohama, neh? Vero che potremmo? Questa offesa mi è intollerabile, è troppo!”
“E' vero, potremmo certamente distruggere Yokohama senza difficoltà, ma Anjodono ha ragione, non abbiamo modo di colpire la loro flotta. Suggerisco di continuare come prima” disse Yoshi con calma, non sentendosi affatto calmo, “offriremo loro del brodo annacquato senza pesce: li invitiamo a una riunione con il Consiglio degli Anziani fra trenta giorni, poi, quando insisteranno, acconsentiremo ma dopo otto giorni, e a quel punto rimanderemo fino a quando ci sarà possibile.”
“Incontrerò quei cani solo sul campo di battaglia.”
Yoshi soffocò l'irritazione.
“Sono certo che ti adeguerai alle decisioni del Roju, ma propongo che all'incontro tu venga sostituito da un impostore: Misamoto.”
“Cosa?” Lo fissarono tutti.
“Sarà un sostituto perfetto.”
“Quello stupido pescatore non...” disse Anjo.
“Vestito con abiti da cerimonia e istruito su come indossarli... otto giorni sono più che sufficienti per addestrarlo. Anche se non lo è, dall'aspetto può già essere scambiato per un samurai. Fortunatamente non è stupido e ci teme, quindi farà qualsiasi cosa gli ordineremo di fare, e, soprattutto, ci riporterà la verità, di cui abbiamo estremo bisogno.” Yoshi notò che Anjo era diventato paonazzo. Gli altri finsero di non accorgersene.
“Poi cosa accadrà, Yoshi-san?”
“Poi l'incontro avrà luogo qui al castello.”
“E' fuori discussione!” disse Anjo.
“Naturalmente prima proporremo Kanagawa” rispose Yoshi irritato, “e poi ci lasceremo convincere a farli entrare qui.”
“E' fuori discussione” ripeté Anjo nell'approvazione generale.
“Utilizzando il castello come esca potremo rimandare ancora, anche di un altro mese, la curiosità li avvincerà, e limiteremo la visita all'ala esterna. Perché non farli entrare nel castello? Perché non cogliere l'occasione di farli convenire di loro spontanea volontà tra le nostre mura?