“Allora?” Lo shoya era preparato e, conscio di avere spinto al massimo la tensione che separa il buonsenso da un improvviso attacco di follia e che di uno shishi non ci si poteva fidare troppo, si teneva pronto a infilare la mano nella tasca della manica.
Parlò con calma, ma la minaccia, o la promessa, insite nelle sue parole erano inequivocabili: “I miei superiori mi hanno incaricato di assicurarvi che i vostri segreti e quelli di vostro padre, onorati clienti, sebbene siano stati registrati, rimarranno privati, assolutamente privati... tra noi”.
Hiraga sospirò e raddrizzò la schiena.
Ora che quella minaccia aveva cancellato in lui ogni inutile ira, considerò quanto lo shoya aveva detto, la minaccia, o la promessa, e tutto il resto, il pericolo costituito da quell'uomo, dal Gyokoyama e dai loro simili, e cercò di decidere come avrebbe dovuto muoversi senza tradire il proprio lignaggio e gli insegnamenti ricevuti.
La scelta era semplice: uccidere o non uccidere, ascoltare o non ascoltare. Un giorno, quando era molto giovane, sua madre gli aveva detto: “Stai attento, figlio mio, e bada di non dimenticare: uccidere è facile, far tornare in vita è impossibile”.
Per un istante il suo pensiero rimase su di lei, sempre saggia, amorevole, con le braccia protese verso di lui, anche quando era afflitta da quel tremendo dolore alle giunture che la tormentava da sempre e la deformava ogni anno di più. “Molto bene, shoya, vi ascolterò, per oggi.” Lo shoya sospirò, era riuscito a gettare un ponte sull'abisso più pericoloso. Riempì le tazze. “A sonno-joi e agli shishi!” Bevvero. Di tanto in tanto tornava a riempire le tazze.
“Otami-sama, siate paziente con me, noi crediamo di poter avere tutto quello che hanno i gai-jin. Come sapete, la valuta del Giappone è il riso, i banchieri sono i mercanti di riso, quelli che prestano denaro agli agricoltori in cambio dei raccolti futuri, per l'acquisto di sementi e così via, e senza il loro denaro molto spesso non vi sarebbero raccolti né, di conseguenza, tasse da riscuotere; sono i banchieri mercanti a prestare ai samurai e ai daimyo denaro in cambio delle paghe future, dei koku futuri, delle tasse future. Senza quel denaro sarebbe pressoché impossibile vivere tra la tassazione di un raccolto e l'altra. E' il denaro a rendere possibile la vita.
E' il denaro, sotto forma di oro, argento, riso, seta e persino concime, la ruota della vita, e il profitto è l'olio di quella ruota...”
“Venite al punto. Il segreto.”
“Oh, molto spiacente; il punto è che, in un certo senso, gli usurai gai-jin, i banchieri, nel loro mondo è una professione onorevole, hanno incredibilmente scoperto il modo di finanziare con profitto tutte le loro industrie, le macchine, le navi, i cannoni, le costruzioni, gli eserciti, proprio tutto, senza usare l'oro. Non può esistere al mondo una quantità simile di oro reale.
Gli stranieri riescono in qualche modo a concedere grandi prestiti in cambio della promessa del vero oro, della simulazione di vero oro, ed è solo questo a renderli forti. E, apparentemente, riescono a farlo senza che ciò diminuisca il valore della loro moneta, come invece accade ai daimyo.”
“Oro finto? Di cosa state parlando? Siate più chiaro!” Lo shoya si asciugò una goccia di sudore dalle labbra. Ora era eccitato, in parte per il sakè ma soprattutto perchè cominciava a convincersi che quel giovane potesse risolvere l'enigma. “Perdonate se mi esprimo in modo complicato. Il punto è che noi sappiamo quello che i gai-jin fanno, ma non come riescono a farlo.
Forse il vostro Taira, questa sorgente di informazioni sui gai-jin che voi con tanta abilità sapete sfruttare, forse lui lo sa e potrebbe spiegarvi come fanno. I trucchi, i segreti che utilizzano. Se ce li racconterete, noi renderemo il Giappone cinque volte più potente dell'Inghilterra. Quando sonno-joi vincerà, noi e gli altri prestatori di denaro ci uniremo per finanziare tutte le navi e gli armamenti che il Giappone desidera...” Approfondì l'argomento con estrema attenzione, rispose con chiarezza alle domande di Hiraga, lo guidò, lo aiutò, lo adulò, lo blandì con il sakè e la propria sapienza e, stupito dalla sua intelligenza, ne stimolò per ore l'immaginazione, fino al tramonto.
“Il denaro, eh? Devo... devo ammettere, shoya” balbettò Hiraga, sconvolto dall'alcol e da tutte quelle idee sconcertanti, in così netto contrasto con molte delle sue più profonde convinzioni, “devo ammettere che il denaro non mi ha mai... interessato. Non ho mai davvero... davvero capito il denaro, conosco bene soltanto la sua mancanza.” Fu quasi soffocato da un rutto. “Io... penso che... si, Taira me lo spiegherà.”
Tentò invano di alzarsi.
“Posso prima offrirvi un bagno e mandarvi una massaggiatrice?” Lo shoya convinse facilmente Hiraga, chiamò un inserviente per aiutarlo e lo affidò a mani forti e gentili che presto lo accompagnarono nel sonno e nell'oblio.
“Ben fatto, Ichi-chan” sussurrò sorridendo la moglie dello shoya quando fu sicura che la situazione fosse tranquilla. “Hai fatto un ottimo lavoro.” Lui ricambiò il sorriso e sottovoce rispose: “E pericoloso e lo sarà sempre, ma l'importante è aver cominciato”.
Lei annuì, soddisfatta che il marito avesse mandato a chiamare Hiraga quel pomeriggio, che si fosse procurato un'arma da tenere a portata di mano e avesse osato esplicitare la minaccia, come lei gli aveva suggerito di fare. Erano entrambi consapevoli dei rischi, ma questa, si ripeté ancora agitata per aver ascoltato di nascosto la sequenza di botta e risposta, è un'occasione mandata dagli dei e i vantaggi che ne trarremo saranno proporzionati ai rischi.
Eeeh, ridacchiò tra sé, se avremo successo ci promuoveranno al rango dei samurai, i nostri discendenti saranno samurai e il mio Ichi diventerà un signore del Gyokoyama.
“Sei stato saggio a parlare solo di due fuggiaschi e non di tre e a non rivelare tutto quello che sappiamo.” A importante avere qualche informazione di riserva. Per tenerlo sotto controllo.” Lei diede al marito un buffetto materno, si complimentò ancora con lui per l'astuzia dimostrata ed evitò di ricordargli che anche quello era stato un suo consiglio.
Lasciò andare la mente per un attimo, stupita che adesso i due shishi si stessero recando a Edo, rischiando la cattura o il tradimento, ma ancora più stupita che la ragazza, Sumomo, futura moglie di Hiraga, fosse entrata a far parte del seguito di Koiko, la famosa cortigiana di Edo, prediletta del principe Yoshi. Davvero stupefacente.
La donna formulò un pensiero improvviso. “Ichi-chan” disse con dolcezza, “le tue parole hanno risvegliato in me una domanda: se i gai-jin sono così intelligenti, banchieri così fantastici come dici, non ti converrebbe avviare sin da ora con uno di loro, discretamente, molto discretamente, un'iniziativa?”
Notò che lo sguardo del marito si accendeva e che sorrideva.
“Toshi ha diciannove anni, è il più intelligente dei nostri figli, potrebbe farti da prestanome, non credi?”
Capitolo 33
†
Lunedì, 1 dicembre
Norbert Greyforth salì sul ponte del postale proprio quando stavano doppiando il capo.
La nave, proveniente da Hong Kong via Shanghai, era prossima alla costa di Yokohama.
Appena sbarbato, con cilindro e finanziera per proteggersi dal freddo del primo mattino, Greyforth studiava il capitano e gli altri in piedi sulla passerella davanti alla ciminiera con il pennacchio di fumo acre piegato verso la poppa, i marinai che si preparavano all'attracco e quelli arrampicati sui tre alberi intenti a ripiegare le vele.
Sul ponte di prua, dietro inferriate chiuse che li separavano completamente dal resto della nave, stavano i passeggeri di terza classe, relitti umani provenienti da ogni angolo d'Asia, emigranti forzati e plebaglia, ammassati sotto ripari di tela.
Le navi passeggeri erano sempre dotate di inferriate per evitare aggressioni dalle persone di quella zona.
Il vento era frizzante, profumava di sale e di pulito, non come sottocoperta, dove la puzza di olio, il fumo del carbone, le vibrazioni e l'assordante rumore dei motori rendevano l'atmosfera insopportabile. L'Asian Queen arrancava da ore contro un forte vento di prua. Sebbene odiasse le navi a vapore, Norbert se ne compiacque perchè con un veliero sarebbero arrivati molto in ritardo.
Morsicò la punta di un sigaro, la sputò fuoribordo e lo accese con cura riparando la fiamma.
L'Insediamento sembrava lo stesso di sempre. Le guardiole dei samurai e gli edifici della dogana a nord e a sud, situate oltre il recinto e accessibili da piccoli ponti; il fumo che si levava dai camini; gli uomini che camminavano sulla passeggiata; i fantini che allenavano i cavalli all'ippodromo; la Città Ubriaca con la sua confusione abituale, non ancora risanata dai danni dell'incendio e del terremoto, e che contrastava con le disciplinate linee delle tende dell'accampamento sul promontorio, dove i soldati si stavano esercitando e da cui giungeva ogni tanto uno squillo di tromba. I tetti dello Yoshiwara sembravano spiare da dietro il recinto.
Greyforth osservava quel paesaggio con scarso entusiasmo, ancora sazio dei bagordi di Shanghai, la città più ricca, perversa e sfrenata di tutta l'Asia, con corse ippiche, case da gioco, bordelli, caffè e cibo europeo tra i migliori al mondo.
Pazienza, pensò, regalerò a Sako la pezza di seta che le ho comprato, così la sua passera si metterà a svolazzare, e chissà...
I suoi occhi scorsero i pennoni delle varie Legazioni, si incupirono quando lo sguardo si posò sul palazzo Struan, poi andarono a fissarsi sull'edificio della Brock.
Notò con soddisfazione che durante le sue tre settimane di assenza le riparazioni esterne del piano superiore erano state completate e non vi era più traccia dell'incendio. Era troppo distante per riconoscere le persone che entravano e uscivano dagli edifici affacciati su High Street, ma un secondo dopo riconobbe un cappellino blu, un vestito gonfio e un parasole avviarsi verso la Legazione francese.
Non può che essere lei, pensò, Angélique.
Quasi riusciva a sentire il profumo che la circondava. Chissà se è al corrente del duello.
Morgan Brock era scoppiato a ridere quando gliene aveva parlato.
“Ti autorizzo a fargli saltare la testa o le palle. Invece delle pistole, chiedi un duello all'arma bianca e guadagnati davvero lo straordinario.
La fila di lance si stava dirigendo verso il postale. Con irritazione Norbert si accorse che la lancia a vapore della Struan, con McFay a bordo, era la prima nella rada, e la lancia a remi della Brock la seconda. Non importa, tra poco la tua lancia e il tuo edificio saranno miei, tu e tutti i fottuti Struan sarete a spasso o morti, anche se magari ti darò un lavoro, Jamie, tanto per divertirmi un pò.
Poi vide McFay portarsi il binocolo agli occhi. Sapendo di essere stato visto agitò frettolosamente il braccio, sputò fuoribordo e scese in cabina.
“'Giorno, signor Greyforth” lo salutò Edward Gornt con la sua affabilità da uomo del Sud, ritto sulla porta della cabina di fronte. Era un bel giovane della Virginia, di ventisette anni, alto ed esile, con gli occhi incavati e i capelli castani.
“Ho guardato il paesaggio dal ponte di prua.
Niente a che vedere con Shanghai, vero?”
“Gli assomiglia ancora meno di quanto possiate pensare. Avete fatto i bagagli?”
“Sì, signore, e sono pronto al nuovo lavoro.” A parte la leggera erre moscia, non aveva un forte accento, sembrava più un inglese che un americano del Sud.
“Bene. Sir Morgan mi ha detto di darvi questo al vostro arrivo.” Prese una busta dalla borsa e gliela porse.
Il ricordo di quel viaggio lo lasciava sempre più esterrefatto. Tyler Brock non era andato a Shanghai.
Greyforth aveva trovato solo una sua nota, in cui gli chiedeva di ubbidire a suo figlio Morgan. Sir Morgan Brock era calvo e grasso, meno volgare del padre, ma con la stessa barba e il medesimo pessimo carattere.
A differenza del padre, era stato educato a Londra, alla borsa valori di Threadneedle Street, la più importante del mondo anche per gli scambi internazionali. Morgan espose subito a Greyforth il suo progetto per annientare la Struan.
Era infallibile.
Da un anno, lui, il padre e i soci del Consiglio d'amministrazione della Victoria Bank di Hong Kong facevano incetta di obbligazioni della Struan e ora, con il sostegno dell'intero Consiglio d'amministrazione avrebbero atteso fino al 30 gennaio per precluderne il riscatto. La Struan non sarebbe sicuramente stata in grado di rispettare la scadenza.
In quella data la banca sarebbe entrata in possesso di tutta la Struan, navi comprese, e Morgan, dopo aver ottenuto con l'astuzia il monopolio sullo zucchero hawaiano escludendone la Struan che contava sulle rendite annuali provenienti da quei mercati per coprire i debiti, le avrebbe assestato la stoccata finale.
Ma non era tutto: con sublime furbizia Morgan aveva prevenduto i raccolti di zucchero all'Unione e ai confederati, piazzando le merci ottenute in cambio nonché il cotone confederato sull'immenso mercato britannico che ancora, per legge, poteva essere rifornito solo con navi britanniche, con le loro navi.
“E' un piano geniale, sir Morgan, congratulazioni” commentò stupefatto Norbert, perchè grazie a quelle manovre la Brock sarebbe diventata la compagnia commerciale più potente in Asia, la Nobil Casa, e il suo stipendio di cinquemila ghinee all'anno sarebbe stato garantito.
“Compreremo la Struan a dieci penny la sterlina dalla banca, è già concordato, la flotta e tutto il resto” disse sir Morgan ridendo e facendo tremolare la pancia.
“Tu presto andrai in pensione e noi ti saremo sempre grati per il tuo servizio. Se a Yokohama tutto andrà bene, stiamo pensando di concederti un altro premio di cinquemila ghinee all'anno.
Occupati del giovane Edward e fagli vedere ogni cosa.”
“A quale scopo?” aveva chiesto lui, sconcertato dall'immensità di quella somma.
“Allo scopo che vorrò io” tagliò corto sir Morgan. “Ma poiché me lo chiedi, credo che lo metterò a capo del Giappone, al tuo posto, quando te ne andrai, se se lo meriterà. La Rothwell gli ha concesso un mese di aspettativa.” La Rothwell, associata con la Cooper-Tillman, era una delle compagnie più antiche di Shanghai, la più importante per il commercio tra l'America e la Cina e con essa sia la Brock che la Struan avevano intensi rapporti d'affari. Gornt lavorava presso di loro da tre anni. “Al ragazzo un mese basterà per decidere, magari prenderà il tuo posto quando andrai in pensione.”