Quaranta tiratori sgominerebbero senza difficoltà i miei duecento uomini, a meno che non fossero armati nello stesso modo.
“Ne hai altri, qui?” chiese.
Yoshi decise di essere sincero. “Per il momento no.” Pensieroso, Ogama restituì il fucile e rivolse nuovamente l'attenzione ai tuguri.
Il rumore della battaglia stava scemando, ma il crepitio degli incendi si faceva sempre più forte e gli abitanti accorrevano con secchi d'acqua per domarli. Ora bruciavano anche il tetto della casa dove erano nascosti gli shishi e quelli intorno. Altri shishi in fuga dalla baracca in fiamme, alcuni già feriti, ingaggiarono un ultimo, disperato corpo a corpo.
“Katsumata non è tra loro” disse Yoshi.
“Forse ha cercato di scappare dal retro.” Nel vicolo posteriore, che Yoshi e Ogama non potevano vedere, giacevano sul terreno otto samurai di Ogama e cinque shishi, più altri sei feriti.
L'ultimo scontro fra shishi e samurai, tre contro dieci, stava giungendo alla sua inevitabile conclusione. Con un ultimo grido, “sonno-joi”, i tre giovani si precipitarono verso la morte.
Trenta samurai choshu erano schierati nel buio in attesa di un'altra sortita.
Dagli strappi negli shoji uscivano nuvole di fumo. L'aria puzzava di carne bruciata. Dentro non si vedeva alcun movimento. Un ufficiale fece cenno a un samurai di avvicinarsi.
“Va' a riferire al capitano quanto è accaduto qui e chiedigli se dobbiamo aspettare o entrare nel rifugio.” L'uomo corse via.
Ora i combattimenti erano cessati ovunque. I tre shishi morirono coraggiosamente. Nel vicolo davanti alla casa giacevano morti dodici shishi, diciassette samurai di Ogama e uno di Yoshi, accatastati in gruppi sparsi.
Quattordici samurai erano feriti, tre shishi prigionieri, disarmati.
Il capitano ascoltò il rapporto. “Di' all'ufficiale di aspettare e di uccidere chiunque cerchi di uscire.” Chiamò gli uomini della riserva. “Fate uscire tutti dalle baracche, finché è possibile. Uccidete chiunque non si arrenda ma risparmiate i feriti.” Subito gli uomini raggiunsero la porta. All'interno si udì brevemente gridare, poi il silenzio. Uno degli uomini uscì con una brutta ferita alla coscia. “Ci sono una dozzina di feriti e molti morti.”
“Portateli fuori prima che crolli il tetto!” I cadaveri e i corpi dei feriti furono allineati davanti a Yoshi e a Ogama. Gli ufficiali si tennero un pò in disparte. Le torce creavano strane ombre.
Ventinove morti. Undici feriti gravi. Katsumata non era tra loro.
“Dov'è?” gridò Ogama furibondo all'ufficiale in capo. Yoshi era altrettanto dispiaciuto. Nessuno sapeva esattamente quanti nemici ci fossero all'interno della baracca quando la battaglia era cominciata.
L'ufficiale cadde in ginocchio. “Signore, giuro che prima era qui e che non è scappato.” Ogama si portò vicino a uno shishi ferito. “Dov'è?” L'uomo lo fissò con durezza nonostante la sofferenza. “Chi?”
“Katsumata! Katsumata!”
“Chi? Non conosco nessun Katsumata. Sonno-joi, traditore! Uccidimi e falla finita.”
“Tra poco” disse Ogama tra i denti.
La domanda fu ripetuta a ciascuno dei feriti. Ogama scrutò ogni volto. Non era Katsumata. Né Takeda. “Uccideteli tutti.”
“Fateli morire con onore, da samurai” disse Yoshi.
“Certo.” Si voltarono entrambi a guardare il tetto della baracca che crollava. Le pareti rovinarono a terra con una pioggia di scintille trascinando quanto rimaneva dei tuguri vicini. La pioggia scendeva di nuovo fitta. “Capitano! Spegnete il fuoco. Dev'esserci una cantina, un nascondiglio segreto, se questo figlio di un cane non è uno stupido incompetente.” Ogama si allontanò in preda a una rabbia feroce, convinto di essere stato beffato.
L'ufficiale in capo si rialzò nervoso e si avvicinò furtivamente a Yoshi.
“Scusate, signore” sussurro, “manca anche la donna. Ci dev'essere un...”
“Quale donna?”
“Era giovane. Una satsuma. Era con loro da alcune settimane. Probabilmente era la compagna di Katsumata. Mi dispiace, ma manca anche Takeda.”
“Chi?”
“Uno shishi choshu che tenevamo sotto controllo. Forse era una spia di Ogama, è stato visto sgattaiolare nel quartier generale di Ogama il giorno prima che fallisse l'altro nostro attacco contro Katsumata.”
“E sicuro che Katsumata e gli altri due fossero lì dentro?”
“Sicuro, signore. Tutti e tre, signore.”
“Allora ci dev'essere una cantina o un passaggio segreto.” Lo trovarono all'alba. La botola conduceva in una lunga galleria alta non più di cinquanta centimetri che sbucava nel giardino coperto di sterpaglia di una catapecchia abbandonata. Furioso, Ogama sferrò un calcio contro la botola mimetizzata. “Baka!”
“Metteremo una taglia sulla testa di Katsumata. Una taglia molto alta” disse Yoshi. Era furibondo. Ovviamente quel fallimento minava sul nascere la relazione costruita a prezzo di tante faticose manipolazioni.
Ma era troppo scaltro per nominare Takeda o la donna, che peraltro non aveva nessuna importanza. “Katsumata dev'essere ancora a Kyòto. Ordinerò alla Bakufu di trovarlo, di farlo prigioniero o di portarci la sua testa.”
“Io ordinerò lo stesso ai miei.” Ogama si era un pò calmato.
Anche lui stava pensando a Takeda, chiedendosi se la sua fuga rappresentasse un vantaggio o uno svantaggio. Guardò il capitano che si era avvicinato.
“Sì?”
“Volete vedere le teste, signore?”
“Sì. Yoshi-dono?”
“Sì.” Agli shishi feriti era stato concesso di morire con onore, senza ulteriori sofferenze. Dopo la decapitazione rituale, le teste erano state lavate e disposte in una fila ordinata. Quaranta. Ancora quel numero, pensò Ogama a disagio. E un presagio? Celò il turbamento e le passò in rassegna senza riconoscere nessuno.
“Li ho visti” disse formalmente, nella luce dell'alba velata di pioggia.
“Li ho visti” gli fece eco Yoshi con altrettanta gravità.
“Infilate le teste sui pali, venti davanti ai miei cancelli e venti davanti ai cancelli del principe Yoshi.”
“Che cartello mettiamo, sire?” chiese il capitano.
“Yoshi-dono, cosa suggerisci?” Dopo una pausa, consapevole di venir messo ancora una volta alla prova, Yoshi rispose: “Sui due cartelli potrebbe essere scritto: Questi fuorilegge, ronin, sono stati puniti per i loro crimini contro l'imperatore.
Servano da monito a non commettere misfatti. Può bastare?”.
“Sì. E la firma?” Sapevano entrambi che si trattava di una questione molto importante e delicata. La sola firma di Ogama avrebbe sancito ufficialmente il suo controllo sulle Porte; la sola firma di Yoshi avrebbe significato la sua supremazia su Ogama, supremazia che, sebbene legalmente certa, non andava sottolineata. Lo stesso valeva per il sigillo della Bakufu. Il sigillo imperiale avrebbe implicato un'indebita intromissione nelle faccende temporali.
“Forse stiamo dando a questi idioti troppa importanza” disse Yoshi simulando disprezzo. Notò, oltre le spalle di Ogama, Basuhiro e alcune guardie sbucare di corsa dall'angolo del vicolo fangoso. Tornò a concentrarsi sul suo avversario.
“Perché non esponiamo le teste qui? Perché dovremmo onorarli di una scritta? Chi deve sapere presto lo saprà e ne trarrà la dovuta lezione.” Ogama accolse con soddisfazione la soluzione diplomatica. “Ottimo. Approvo.
Aggiorniamoci al tramonto e ...” Si interruppe per andare incontro a Basuhiro che, sudato e senza fiato, correva verso di loro.
“Un messaggio da Shimonoseki, signore” ansimò Basuhiro.
E volto di Ogama divenne una maschera. Prese il rotolo e si accostò a una torcia. Lo aprì sotto lo sguardo attento di tutti. Basuhiro reggeva cortesemente un ombrello per proteggere il suo signore dalla pioggia.
Il messaggio era firmato dal capitano al comando dello Stretto e portava la data di otto giorni prima.
Per recapitarlo al più presto, i corrieri avevano viaggiato giorno e notte: Signore, ieri la flotta nemica, composta dalla nave ammiraglia e sette navi da guerra, tutte a vapore, qualcuna con chiatte di carbone a rimorchio, ha fatto ritorno entrando nello Stretto, Seguendo le vostre istruzioni di non attaccare le navi nemiche senza il vostro permesso scritto, le abbiamo lasciate passare. Avremmo potuto affondarle tutte. I nostri consiglieri olandesi lo confermano.
Dopo che la flottiglia era passata, una fregata a vapore battente bandiera francese ha virato arrogantemente sulla propria scia e ha preso a cannonate le quattro postazioni sull'estremità orientale dello Stretto distruggendo le postazioni stesse e i loro cannoni, poi se ne è andata. Come da vostri ordini, mi sono astenuto dall'ordinare una rappresaglia. In caso di attacco futuro chiedo l'autorizzazione di affondare l'attaccante.
Morte a tutti i gai-jin, avrebbe voluto gridare Ogama, accecato per la rabbia che un'intera flotta si fosse presentata a tiro, come Katsumata, e che, come Katsumata, fosse riuscita a sfuggire alla vendetta.
Gli angoli della sua bocca si riempirono di bava schiumosa. “Scrivete le nuove istruzioni: Attaccate e distruggete tutte le navi da guerra nemiche.” Basuhiro, ancora ansimante, rispose: “Posso suggerire alla vostra attenzione, signore, di aggiungere “se in numero superiore a quattro”.
Avete sempre desiderato garantirvi la sorpresa”.
Ogama si ripulì la bocca e annuì.
Il cuore gli batteva all'impazzata al pensiero che avrebbe potuto affondare tutte quelle navi. Ora la pioggia scrosciava sull'ombrello. Da sopra le spalle di Basuhiro, Yoshi e gli ufficiali continuavano a fissarlo. Valutò se considerare Yoshi un nemico o un alleato, cercando di non farsi travolgere dalle considerazioni sull'arroganza della flotta e sulla frustrazione per la propria impotenza.
“Yoshi-dono!” Lo chiamò con un cenno per parlare con lui in privato, alla presenza solo di Basuhiro. “Leggi, per favore.” Yoshi lesse rapidamente. Mantenne il controllo ma impallidì. “La flotta sta navigando nel mare interno in direzione di Osaka oppure si dirige a sud, verso Yokohama?”
“Che sia diretta a sud o a nord, le prossime navi che oseranno solcare le mie acque verranno affondate! Basuhiro, mandate subito un uomo e Osaka e...”
“Aspetta, Ogama-dono” intervenne Yoshi, che aveva bisogno di tempo per riflettere.
“Basuhiro, cosa consigliate?” L'omino rispose con prontezza: “Signore, al momento presumo che la flotta sia diretta a Osaka. Suggerirei di unire le nostre forze per essere pronti a difenderla. Ho già incaricato le spie di scoprire immediatamente la rotta”.
“Bene.” Ogama si asciugò con mano tremante il volto bagnato di pioggia. “La loro flotta al completo nel mio Stretto... come avrei voluto esserci anch'io!”
“E più importante che voi siate qui a difendere l'imperatore dai suoi nemici, sire” disse Basuhiro.
“Il vostro capitano ha fatto bene a non bombardare quell'unica nave. Era sicuramente un'esca per saggiare le vostre forze. E stato corretto non far capire loro lo stato della vostra difesa. Ora la trappola è innescata in attesa che vogliate chiuderla. Poiché solo una nave nemica è tornata per bombardare le nostre postazioni più facili e subito è scappata via, deduco che il comandante della flotta non era disposto a un vero attacco e aveva paura di far sbarcare le truppe per dare inizio a una guerra che comunque vinceremmo noi.”
“Sì, la vinceremo. Uno stratagemma? Sono d'accordo. Yoshi-dono” disse Ogama con decisione, “dovremmo chiudere la questione e cominciare la guerra. Sferrare un attacco a sorpresa contro Yokohama, che sbarchino a Osaka oppure no.”
Yoshi, colto da un'ansia improvvisa, evitò di rispondere subito. Otto navi da guerra? La flotta ne aveva quattro quando è partita per la Cina, i gai-jin devono averla rinforzata nel frattempo. Perché? Per attuare una rappresaglia contro gli assassini satsuma, ma in particolare, contro gli attacchi di Ogama alle loro navi. Faranno come in Cina. La nave dei gai-jin è stata affondata nello stretto di Taiwan, ma hanno distrutto le coste cinesi a centinaia di leghe di distanza.
Qual è il bersaglio più facile in Giappone? Edo.
Ogama se ne è reso conto e il suo piano segreto mira solo a provocare i gai-jin? Se io fossi il capo dei gai-jin distruggerei Edo. Loro non lo sanno, ma Edo è inscindibile dallo shògunato. Se muore Edo, muore lo shògunato Toranaga e la Terra degli Dei può essere facilmente violata.
Devo impedirlo a tutti i costi.
Pensa! Bisogna incastrare i gai-jin e anche Ogama, la cui idea è di far cadere tutte le nostre teste.
“Sono d'accordo con il tuo saggio consigliere, dobbiamo prepararci a difendere Osaka” esordi, con lo stomaco chiuso. Poi la preoccupazione per la sicurezza di Edo ebbe il sopravvento.
“Che attacchino subito Osaka oppure no, resta il fatto certo che la loro flotta è tornata in assetto di guerra.
Se non stiamo più che attenti, le ostilità saranno inevitabili.”
“Non voglio più stare attento.” Ogama si chinò verso di lui. “Che sbarchino a Osaka oppure no, incidiamo l'ascesso sulle nostre palle e distruggiamo Yokohama. Subito! E se tu non ci starai, lo farò da solo.”
Capitolo 32
†
Yokohama, Sabato, 29 novembre
“Signor Malcolm, Jamie, abbiamo superato le navi della flotta due giorni fa” disse allegramente il capitano del veliero, nascondendo lo stupore per l'improvviso cambiamento di Malcolm, che conosceva dalla nascita e con il quale aveva riso e bevuto fino a tre mesi prima a Hong Kong.
Ora Malcolm aveva la pelle tesa e giallastra, strani occhi spiritati e per camminare, nonché per reggersi in piedi, doveva appoggiarsi a due bastoni.
“Abbiamo navigato a gonfie vele, con vento a forza sei, veloci come schegge. Gli altri invece arriveranno con comodo, perchè devono stare attenti a non perdere i rimorchi di carbone.”
Si chiamava Sheeling ed era appena sbarcato dalla Dancing Cloud, arrivata in anticipo.
Era un uomo alto, con il volto barbuto, segnato dal tempo, con quarantadue anni sulle spalle, di cui ventotto alle dipendenze della Nobil Casa.
“Li abbiamo salutati e siamo volati via.”
“Volete del tè, capitano?” chiese McFay versandogli la bevanda calda meccanicamente, perchè sapeva quanto gli piacesse; nelle lunghe traversate che avevano fatto insieme lo beveva di giorno e di notte, carico di zucchero e latte condensato.
Seduti intorno al tavolo della suite di Malcolm, Jamie e il tai-pan ascoltavano distrattamente quelle spiegazioni, gli occhi fissi sulla borsa sigillata della posta con il timbro della Nobil Casa che il capitano teneva sottobraccio.