«Un altro dei suoi mal di testa?» domandò Patty, comprensiva.
«Sta per arrivare.»
Lei gli si fece più vicina e abbassò la voce. «Ho un po' di aspirina nel retro. Non dovrei, ma gliene do qualche pastiglia se vuole.»
Rolk picchiò un dito sul bicchiere. «No, non importa. Questo basterà.»
Una voce rasposa chiamò Patty dall'altra estremità del banco.
«Tieni duro,» fu la pronta risposta di lei. «Arrivo tra un minuto.» Poi, alzando gli occhi al cielo, borbottò a Rolk: «Dio santo, questa gente. Appena si accorgono che il loro bicchiere è vuoto cominciano ad avere le palpitazioni.»
Mentre la osservava spostarsi goffamente lungo il bancone, Rolk era lieto di essere di nuovo solo. Ormai da anni capitava lì almeno una volta alla settimana e anche se si fermava solo il tempo sufficiente a farsi due bicchieri, tornava sempre. Il perché non avrebbe saputo spiegarlo. Quel posto non era né bello né particolarmente comodo.
Forse ci andava solo per bere. A casa non teneva liquori; sapeva che avrebbe potuto buttar giù qualunque cosa dopo una delle sue brutte nottate. Aveva preso quella decisione subito dopo la nascita di sua figlia. Conosceva troppi poliziotti che si erano attaccati all'alcool per fuggire dagli orrori in cui sguazzavano ogni giorno, e lui non voleva che la sua bambina finisse costretta a vivere con un ubriacone.
Sua figlia. Erano pochi i giorni in cui non pensava a lei. Con il tempo il ricordo di sua moglie si era fatto sempre più vago anche se ancora amaro, e lo coglieva solo di tanto in tanto. Ma il pensiero di sua figlia era sempre con lui. Si domandava dove fosse adesso, che aspetto avesse. Chissà se aveva mai chiesto di lui, e se l'aveva fatto, che cosa le era stato raccontato?
Di colpo gli si parò davanti agli occhi l'immagine delle donne uccise. Grazie a Dio, quelle erano più vecchie. Nel corso degli anni gli era capitato di occuparsi di casi in cui erano coinvolte ragazze giovani, più o meno dell'età di sua figlia, e ogni volta era stata una tortura, un incubo fatto di rabbia e di paura che si disperdeva solo a indagini concluse. Atroce, la consapevolezza di non poterla proteggere, di non poterle neppure insegnare a difendersi da sola.
Smettila. Pensarci non serve a niente, non risolve nulla.
Prese di nuovo a massaggiarsi la fronte. L'emicrania si preannunciava brutta e, come sempre in quei casi, il dolore l'avrebbe tormentato finché non fosse sprofondato nel sonno. Soltanto il sonno gli era di sollievo, un sonno di piombo e senza sogni. Svegliandosi il mattino dopo senza più dolore, non ricordava nulla delle ore in cui aveva dormito. Era come risvegliarsi dalla morte.
Rolk teneva la testa voltata dall'altra parte quando l'uomo sedette sullo sgabello accanto al suo, ma lo sentì ugualmente e voltandosi incontrò il viso sorridente di Tim Matthews.
«Merda,» borbottò Rolk, fissando quella faccia rotonda, fanciullesca, con una ciocca di capelli rossi che gli ricadeva sulla fronte.
«Di solito mi salutano in maniera più carina,» ribatté Matthews, e il sorriso gli salì fino agli occhi azzurri. Sedeva con le spalle curve e il grosso ventre sporgeva al di sopra della cintura... troppo, pensò Rolk, in un uomo poco più che trentenne.
Matthews faceva il giornalista per uno dei fogli più scandalistici della città, e sebbene a Rolk piacesse e si fidasse di lui, quella sera avrebbe preferito di gran lunga non incontrarlo.
«Naturalmente è solo per caso che sei entrato proprio qui a farti un drink,» grugnì.
«In realtà mi sono ricordato che a te capita di venirci di tanto in tanto, e dato che non rispondi alle telefonate, ho pensato di fare un tentativo. Prima di venire a suonare alla tua porta, voglio dire.»
«Io sparo ai giornalisti che suonano alla mia porta,» sbottò Rolk.
«Lo so. Ma sei così lento a caricare la pistola che loro hanno sempre il tempo di filarsela.»
L'abitudine di Rolk di girare con la pistola d'ordinanza scarica era nota perfino alla stampa e una volta se n'era parlato in un articolo, cosa che gli aveva procurato una severa ramanzina da parte del comandante della polizia in persona.
«Be', oggi è carica, quindi sta' attento a non irritarmi.»
«Parlami di quegli omicidi,» disse Matthews per tutta risposta.
«Mi stai irritando.»
«Avanti, Rolk, è una faccenda troppo grossa per tenerla nel cassetto. Sai bene quanto me che cominceranno a circolare un sacco di idiozie se qualcuno non la affronta in modo serio.»
«Una scusa del cazzo per del giornalismo da quattro soldi.» Rolk sollevò il bicchiere e bevve, osservando la reazione di Matthews nello specchio dietro il bar. Il reporter aveva un'espressione luttuosa.
«Parlami almeno delle teste. Dimmi se sono state ritrovate.»
«Niente teste. Ma non fare il mio nome, neppure a proposito di questo particolare. Chiaro?»
Matthews sollevò le mani in un gesto di difesa, poi fece cenno al barman di portargli quello che beveva Rolk e di servirne un altro anche al tenente.
«Hai intenzione di corrompermi o che cosa?» domandò Rolk.
«Se pensassi che funzionasse, ci proverei. Ma voi polacchi avete troppa resistenza.» Mentre sorseggiava il suo drink, Matthews continuava a scoccare occhiate in tralice alla borsa del poliziotto. Era grande e antiquata, di quelle che, aperte, somigliano a un'enorme bocca che sbadiglia.
«Immagino che non mi permetterai di darci un'occhiata dentro,» sospirò poi. «Anche se scommetto che qualunque cosa contenga, sarà coperta di muffa. Dove hai riesumato quell'affare?»
Rolk lo ignorò. La testa aveva preso a pulsargli in modo doloroso e lui beveva sistematicamente, sperando di attutire la sofferenza.
«Senti,» riprese Matthews. «Se ti racconto quello che ho sentito in giro, ti degnerai almeno di confermarlo o di negarlo?»
«Probabilmente no. Ma puoi mettermi alla prova.»
«Fantastico. Così tu scopri quello che so io e in cambio non mi dai niente.»
«Scoprire le cose è il mio lavoro.»
«Anche il mio.»
«Ma non grazie a me.»
«Sei una gran scocciatura, sai, Rolk? Lo sei sempre stato e sempre lo sarai.»
«Già. È questa la mia croce.»
Matthews rise, poi sollevò il medio, guardando l'immagine di Rolk riflessa nello specchio. Il poliziotto continuò a ignorarlo.
«D'accordo,» sospirò alla fine il giornalista, con un tocco di rassegnazione nella voce. «Ho sentito dire... ma non ti rivelerò da chi... che questi omicidi hanno a che fare con certi rituali religiosi.» Tacque, in attesa di qualche risposta, e poiché non ne arrivava nessuna, afferrò di nuovo il bicchiere. «L'altra informazione in mio possesso è che c'è un collegamento diretto con la mostra in via di allestimento al Metropolitan.»
Rolk rimase in silenzio, accontentandosi di far roteare il whisky nel bicchiere.
«Non commenti?» insistette Matthews. «In via ufficiosa, naturalmente.»
«A me sembra fantascienza.» La sua espressione si era fatta vuota. «Senti, Tim, non sono più di quattro o cinque gli esponenti della stampa di cui mi fido abbastanza da parlarci, e tu sei uno di loro. Ma non questa volta. Questa volta, se arrivi a qualcosa ci arrivi da solo. E per quanto mi riguarda, spero che avremo quel bastardo sottochiave almeno tre giorni prima che ci riesca tu.» Lo guardò direttamente negli occhi. «E se questo non basta a farti capire quanto mi preoccupi questo caso, sei più scemo di quanto credessi.»
«E se pubblicassi le voci che ho sentito in giro?»
«Non farlo.» Rolk continuava a fissarlo nello specchio. «Non servirebbe che a dare a qualche altro pazzo bastardo idee che finora non gli sono venute in mente.»
«Allora dammi tu qualcosa, Cristo santo.»
Rolk abbassò lo sguardo sul bicchiere. Sapere che già cominciavano a circolare le prime illazioni non lo sorprendeva; era inevitabile, che fossero i poliziotti presenti sulla scena del delitto ad avere sentito troppo, o gli inservienti dell'obitorio, era comunque impossibile garantire alle indagini un'assoluta riservatezza. Ma se qualcosa doveva per forza essere stampato, tanto valeva che fosse lui a decidere che cosa.
Lui.
«D'accordo, allora, ma a condizione che tu usi una di quelle tue ridicole forme del tipo 'una fonte bene informata' e così via.»
«Che cosa ne dici di 'una fonte vicina al comandante della polizia'?» E Matthew sogghignò, sapendo perfettamente che Rolk non aveva amici tra i capintesta del dipartimento.
«Saranno sei mesi che non gli parlo.»
«Per me è comunque abbastanza.»
Sebbene non ne avesse voglia, Rolk sorrise. «Perché non 'qualcuno molto addentro nelle indagini'?»
Matthews inarcò le sopracciglia. «Come vuoi tu. Avanti, spara.»
Rolk rimase zitto per qualche istante, elaborando mentalmente la formula giusta. «Abbiamo a che fare,» cominciò dopo la pausa di silenzio, «con uno psicopatico che nutre un odio profondo per le donne... ma anche con una persona convinta di avere una missione da compiere. Questa persona crede di avere il diritto di fare certe cose... forse addirittura di essere stata 'scelta' per farle, e crede che la potenza che la guida non permetterà mai la sua scoperta. Ma è proprio questa distorsione mentale ad aver già fatto sì che l'assassino commettesse parecchi gravi errori. E sono questi errori che ci permetteranno di effettuare tra breve un arresto.» Rolk osservò Matthews che prendeva furiosamente nota. «Ti basta, futuro Premio Pulitzer?»
Il giornalista lo guardò, un sorrisetto obliquo sulle labbra. «Gli stai buttando l'esca? Non ricordo di che caso si trattasse, uno di cui ti sei occupato parecchi anni fa. Be', l'hai risolto facendo in modo che il killer desse la caccia a te invece di cercarsi un'altra vittima. Stai tentando di rifare lo stesso giochetto, Rolk?»
«Per me questa è fantascienza.» Rolk lo fissava con uno sguardo duro. «Limitati a usare quello che ti ho dato... niente di più... e in seguito ti passerò qualcos'altro. In caso contrario, non otterrai un bel niente, proprio come gli altri.»
Matthews annuì lentamente, stringendosi nelle spalle. «D'accordo, se è così che dobbiamo giocare. Questo non significa però che non
cercherò
qualcos'altro. E questo lo sai, giusto?»
«Cerca dove vuoi. Solo, ricordati di stare attento quando lo fai. Abbiamo a che fare con un pazzo e non c'è modo di sapere quale nervo toccherai andando a ficcare il naso nei posti sbagliati. Toccane uno scoperto, e una mattina potresti svegliarti e scoprire di non avere più la testa.»
«O che magari tu non hai più la tua,» obiettò Matthews. «Soprattutto dopo che questa roba sarà stata stampata.»
«Io vengo pagato per questo,» ribatté Rolk. «Tu no.»
Vuotò il bicchiere, scese dallo sgabello e afferrata la borsa marciò verso la pesante porta d'ingresso. Fuori l'aria era fredda, tagliente. Le previsioni avevano parlato di neve, ma ancora non se ne era vista. Inspirò profondamente e si avviò in direzione nord, la borsa come un peso morto nella mano destra. Conteneva verbali di altri agenti e le foto scattate sulla scena dei delitti, più un vecchio libro di storia dell'arte dimenticato da sua moglie, un libro che lui aveva letto attentamente, nel tentativo di ricordare cose dimenticate da tempo. Poi c'era il lungo pugnale dalla lama verde che si era fatto consegnare dal prete. Di pugnali di ossidiana ne erano saltati fuori due, la prima arma del delitto e questo. Ma non avevano ancora trovato quello con cui era stata uccisa Alexandra Ross. Da qualche parte doveva esserci un terzo pugnale, anche quello bene affilato, così come c'era un'ascia vecchia di settecento anni che era stata utilizzata su entrambe le donne e che, se Rolk aveva ragione, sarebbe stata indubbiamente usata ancora.
A meno che tu non lo trovi in fretta. Che tu non lo trovi e non lo fermi.
Di nuovo, pensò mentre imboccava la strada di casa sua. Quando pensava al killer, era sempre
lui
nella sua mente, nonostante continuasse a ripetere ai suoi uomini di non escludere la possibilità che si trattasse di una donna. Perché no, in fondo? Perché non Grace Mallory o Kate Silverman? Era possibile, così com'era possibile che il colpevole fosse Malcolm Sousi, o padre Lopato. O magari i profughi maya, o qualcuno di cui la polizia ignorava ancora l'esistenza. No. A quel punto delle indagini, se ci fossero state altre persone con un movente e l'occasione per uccidere, sarebbero già saltate fuori. Fino a quel momento l'unico eliminato dalla lista degli indiziati era George Wilcox. Come co-curatore della mostra tolteca, aveva certo le stesse opportunità degli altri, ma la sera del primo omicidio era a Filadelfia a tenere una conferenza.
Il prete. Era su di lui che si ostinavano a tornare i suoi pensieri, e certo quella sarebbe stata la peggiore tra le soluzioni possibili, quella che tutti avrebbero trovato più difficile da accettare. Rolk superò il cancello e mosse stancamente verso la porta. O forse no, si disse. Forse capita spesso che i preti diventino pazzi, proprio come capita ai camionisti, agli insegnanti e perfino ai poliziotti.
Chiuse la porta dietro di sé ed entrò nel grande soggiorno, dove lasciò cadere il soprabito su una sedia e la borsa sul tavolo lì accanto. Ora non desiderava altro che dormire fino al mattino, per risvegliarsi senza quel maledetto mal di testa.
Il desiderio di sangue non si attenua. La necessità di sacrifici continua. Ma è necessario trovare la vittima giusta, oppure gli dei non saranno compiaciuti. All'inizio ti preoccupavi troppo che avessero i capelli biondi, perché bionda sarà l'ultima. Ma importa solo che siano degne, che appartengano a una certa classe. Come Alexandra. Che non offendano il significato del rito.
Oh, come ti batte in fretta il cuore. Ti martella nel petto. Devi riposare. Essere paziente. E devi stare attento. Il rituale dev'essere portato a termine se si vuole soddisfare gli dei. E così sarà. Chi mai potrebbe riconoscere in te il sostituto del grande Quetzakoatl? Chi potrebbe ritenerti capace di tanto?
No. Forse cercheranno. Faranno persino domande. Ma alla fine, chi li crederà? E tu ora puoi guidarli in qualunque direzione deciderai. Un dito che mostra subdolamente un'altra strada. E non troveranno mai le armi, né le teste. Né ora né tra anni e anni.
È un dono degli dei. Lo attendevi da tanto tempo. Anni in cui hai atteso di poter ripagare l'ingiustizia. Anni di riluttante abnegazione. Anni necessari per dimostrare che non meritavi quello che ti è stato portato via. Una possibilità per dimostrare... Dimostrare che cosa?
La tua mente è confusa. C'è qualcosa che non riesci a ricordare. La ragione delle uccisioni. Il bisogno. C'è, perché così dev'essere. Ma non riesci a ricordare
che cos'è.
Riposa. Rilassati. Respira profondamente. Il ricordo tornerà, torna sempre. Tranne quando sei l'altra persona. Lo sciocco nel cui corpo vivi ogni giorno.
Ma dev'esserci una ragione. Tutto ha una ragione; si tratta di qualcosa che hai sempre saputo. Ci sono sempre fatti che devono essere provati, prove che devono essere sostenute. Ci dev'essere un ordine per le cose, e chi distrugge questo ordine dev'essere a sua volta distrutto. Sono questi i criminali, quelli che tolgono agli altri, che si appropriano di quello che altri hanno diritto di possedere. Sì, è così. È questo che devi dimostrare. Che avevi un diritto e che ti è stato iniquamente tolto. Ma loro non l'ammetteranno. Ti ruberanno perfino le tue convinzioni, diranno che non ne avevi l'autorità.
Ma non possono. Se i sacrifici continuano. Dov'è il pugnale, dov'è? Ecco. È qui, vicino a te. Così verde e bello e affilato. E la maschera è lì accanto. Il semplice oggetto di pietra che ti eleva ben oltre quello che sei.
Ma non adesso. Non oggi. Deve esserci un periodo di riposo, un periodo destinato all'attesa della persona giusta: aspettando, li confonderai. Tutti i giocatori dovranno essere nel luogo giusto, in occasione del prossimo sacrificio. Dev'essere così. In qualunque altro modo sarebbe un errore. E non possono essere commessi errori. Non ora. Non più.
20
Una busta di manila con il timbro di Princeton, New Jersey, aspettava Rolk sulla scrivania quando arrivò in ufficio. La prese in mano, ma esitò ad aprirla, riluttante ad affrontare un'ennesima delusione. Alla fine si decise a strapparla e ne estrasse un sottile fascio di carte. La prima era un biglietto del suo amico del dipartimento di polizia di Princeton e lo lesse in fretta, per poi metterlo da parte e concentrarsi sui documenti.
Una certa Jennifer Morgan aveva sostenuto l'esame attitudinale scolastico presso l'università di Princeton. Jennifer era il nome di sua figlia; Morgan, il cognome da nubile di sua moglie. Scorse con gli occhi il foglio su cui erano riportati un indirizzo di Los Angeles e una data di nascita: il mese era lo stesso in cui era nata sua figlia, ma il giorno non corrispondeva. Il panico gli serrò lo stomaco come una morsa, poi si allentò. Poteva trattarsi di un errore di battitura, si disse. O di uno stratagemma escogitato da sua moglie per impedirgli di rintracciare Jenny.
Si appoggiò all'indietro sulla sedia, mettendosi la documentazione sulle ginocchia, e si chiese se avesse mai spiegato a sua moglie come funzionasse il casellario giudiziario elettronico del centro criminologico... di come fosse essenziale l'esattezza di una data se si voleva localizzare un ricercato.
I
contestatori degli anni Sessanta erano spesso riusciti a evitare la cattura perché avevano scoperto che bastava fornire una data di nascita falsa - e grazie a quella procurarsi nuove tessere della Previdenza Sociale e nuovi passaporti - per ingannare il computer.
Nondimeno, Morgan era un cognome terribilmente comune, così com'era comune Jennifer. Esaminò brevemente le altre pagine. Non c'erano foto, ovviamente, proibite dai regolamenti federali in quanto considerate un possibile strumento di discriminazione razziale. Ma si sarebbe messo in contatto con il dipartimento di polizia di Los Angeles, per chiedere ai colleghi di svolgere qualche indagine discreta.
Le mani gli tremavano un po'. Se non fosse emerso niente, allora avrebbe dovuto accettare la consapevolezza di avere seguito un'altra falsa pista e aggiungere un ulteriore insuccesso ai molti in cui era incorso negli ultimi quindici anni. Ma forse, soltanto forse...
L'ispettore James Dunne irruppe nell'ufficio di Rolk come un temporale e l'espressione del suo viso non riusciva a celare completamente la collera che gli accendeva gli occhi. Aveva in mano un quotidiano ripiegato che, una volta davanti alla scrivania di Rolk, aprì alla pagina incriminata.
«Hai visto questa roba?» abbaiò, e sembrò stupefatto quando Rolk annuì. «Be', non mi va per niente e voglio che venga fermata prima che diventi perfino peggiore. Hai idea di chi ci sia dietro queste stronzate?»
«Potrebbe esserci chiunque,» replicò Rolk, imperturbabile.
«Ma che diavolo, si parla di qualcuno addentro nelle indagini.» Dunne stringeva il giornale con tanta forza che la carta cominciò a lacerarsi.
«Sai benissimo che è solo una delle tante etichette usate dalla stampa. Per quanto ne so, l'eventuale fonte potrebbe essere uno qualunque degli impiegati che lavorano nei piani alti al quartier generale. Perché non chiami Matthews e non glielo chiedi?»
«L'ho fatto,» sibilò Dunne. «E quel grasso bastardo mi ha risposto che non poteva dirmelo.» Abbassò lo sguardo su Rolk. «Credi che possa essere stato lo strizzacervelli? Non mi sono mai fidato di quei fottuti bastardi.»
«Ne dubito. Non mi sembra il tipo.»
«E allora, maledizione, scopri chi è stato. Il capo della polizia mi ha telefonato a casa stamattina alle sette, e questo perché il sindaco aveva appena telefonato a lui.» Parlando, Dunne marciava furiosamente su e giù davanti alla scrivania di Rolk. «A loro non piace che la gente vada in giro a dire che c'è un pazzo in libertà. E non gli piace leggere che siamo sul punto di inchiodare l'assassino quando sanno benissimo che non è vero.»
Il viso di Rolk era calmo, la voce suadente. «Jim, non è un segreto che i delitti sono opera di un pazzo. La gente lo sa già. Cristo, c'è qualcuno da queste parti che si diverte a fare collezione di teste!» Sollevò una mano per arginare le obiezioni dell'altro. «E forse questo articolo potrebbe esserci d'aiuto. Potrebbe costringere l'assassino a perdere il controllo e a commettere qualche errore. Oppure spaventarlo al punto da indurlo a starsene buono per un po'. In entrambi i casi, ci farebbe un piacere.»
Dunne piantò le mani sulla scrivania e si protese in avanti, un sorriso cupo in faccia. «Be', io so qualcosa che non farà piacere a nessuno. C'è un monsignore dell'arcidiocesi seduto qua fuori. L'ho trovato che mi aspettava quando sono arrivato, stamattina. E indovina da chi ho intenzione di spedirlo?»
«Sarò lieto di vederlo,» replicò Rolk. «E quando se ne andrà, sarà di umore migliore. È una promessa.»
«Ti auguro di riuscirci, allora, perché è sicuro come l'inferno che in questo momento non sta sorridendo.» Dunne girò sui tacchi e si avviò verso la porta.
«Non vuoi restare ad ascoltare?» domandò Rolk.
L'altro si voltò e c'era un sorriso per nulla amichevole sulle sue labbra. «No, Stan, non voglio. Questo è il
tuo
mucchio di merda, e se non lo spali, sarai tu a finirci sotto. Da parte mia, conto di tenermene a distanza.»
Rolk rimase solo. Sorrideva. «Che bello,» disse. «Un autentico leader.»
Poi mandò a chiamare Paul Devlin.
«Hai ancora quel registratore che si attiva al suono della voce?» gli chiese
«Sì, nella mia scrivania.»
«Be', infilatelo in tasca, poi fa' entrare quel prete.»
Monsignor John Arpie era basso, calvo e grassoccio, con la faccia rosea che si associa abitualmente a un uomo di buon carattere, ma quando si presentò a Rolk non sembrava per nulla contento.
Seduto davanti al tenente, con Devlin al fianco, Arpie spiegò che si occupava delle pubbliche relazioni dell'arcidiocesi e che in questa veste era venuto per «esprimere loro la viva preoccupazione dell'arcivescovo».
«Mi spiace sentire che l'arcivescovo è preoccupato,» lo rassicurò Rolk, sollecito. «Se posso rendermi utile in qualche modo...»
«Siete voi a preoccuparlo,» tagliò corto Arpie. «E le tecniche intimidatorie che a quanto pare state mettendo in atto nei confronti di padre Lopato e di altri sventurati che hanno cercato l'aiuto della Chiesa.»
«Sinceramente, non credo che nessuno sia stato molestato,» obiettò Rolk. «Stiamo soltanto conducendo un'indagine per omicidio, ed è ovvio che parliamo con le persone quando e dove lo riteniamo necessario.»
«Sul serio? Lei non definirebbe una molestia trascinare un sacerdote all'obitorio alle tre del mattino, o minacciare poveri infelici come Juan Domingo e Roberto Caliento di farli espellere dal paese se non rivelano il nome di altri poveretti?»
Rolk si appoggiò all'indietro sulla sedia, imitando i gesti del religioso. Il tono della sua voce rimase tranquillo, quasi gentile. «Padre Lopato è stato accompagnato alla morgue solo dopo che si era rifiutato di presentarsi nel mio ufficio alle
nove
del mattino. Per quanto riguarda Domingo e Caliento, sono effettivamente dei clandestini, per di più sospettati di due omicidi, e io sono stato costretto a interrogarli su altri immigrati clandestini, che potrebbero a loro volta risultare indiziati, soltanto perché padre Lopato si era rifiutato di fornirmi le stesse informazioni.» Sorrise. «Quanto alle minacce di espulsione è probabile che io abbia violato il mio giuramento
non
spedendoli direttamente all'Ufficio Immigrazione.» Sollevò una mano per impedire all'altro di protestare. «Comunque, se lei ha qualche alternativa da suggerire, sono dispostissimo ad ascoltarla.»