Moll Flanders (Collins Classics) (59 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Quell’incidente, però, mi rovinò per il momento la piazza, e io me ne tornai a casa della mia governante tutta indolenzita e bruciacchiata, e spaventata da morire, e passò parecchio tempo prima che lei riuscisse a rimettermi di nuovo in piedi.

Eravamo entrati nel periodo allegro dell’anno, era incominciata la fiera di San Bartolomeo. Io non m’ero spinta mai in quei paraggi, e la parte più popolare della fiera non mi serviva a gran che; ma quell’anno feci una puntata fino ai portici, e fra l’altro capitai davanti a una lotteria. Non era una cosa di grande importanza per me, né m’aspettavo grandi cose; ma arrivò un gentiluomo molto ben vestito e molto ricco, e siccome in quei posti capita di attaccar discorso con chiunque, lui si mise con me, e mi usò davvero molte attenzioni. Per prima cosa, disse che voleva tirare la riffa per me e lo fece, e, vinta qualche piccola cosa, la regalò a me (mi pare che fosse un manicotto di piume); poi continuò a parlare con me molto più a lungo di quanto comporta il normale riguardo, ma sempre in modo assai educato, sempre da signore.

Mi tenne tanto a parlare, finché mi portò infine fuori del posto della lotteria, davanti alla porta di una bottega, e poi a fare una passeggiata sotto i portici, sempre parlando allegramente di un milione di cose senza capo né coda. Alla fine mi disse, senza tanti complimenti, che era incantato dalla mia compagnia e mi domandò se me la sentivo di fare una passeggiata in carrozza con lui; mi disse che era un uomo d’onore, e che non m’avrebbe certo messo di fronte a nulla che non fosse decoroso per lui. Io feci per un po’ mostra di rifiutare, poi accettai di subire le sue insistenze, e cedetti.

Non fu facile da parte mia arrivar subito a capire quello che quel signore voleva; ma in seguito m’accorsi che aveva già un po’ di vino in corpo, e che non aveva niente in contrario a mettercene dell’altro. Mi portò in carrozza a Spring Garden, verso Knightsbridge, dove passeggiammo nei giardini, e lui fu tanto caro con me; ma mi resi conto che beveva senza freno. Invitò anche me a bere, ma io dissi di no.

Fin lì mantenne la parola, e non mi mise di fronte a niente di male. Risalimmo in carrozza, e lui mi portò in giro per le strade, poi fece fermare la carrozza davanti a una casa dove, a quanto pare, era conosciuto, e dove non si fecero scrupolo di farci salir di sopra in una camera dove c’era un letto. Sulle prime io feci mostra di non voler salire, ma poi cedetti anche su quello, perché soprattutto avevo voglia di vedere come andava a finire, e speravo alla fine di cavarci qualcosa. Quanto al letto, e al resto, non me ne preoccupavo gran che.

Lì lui incominciò a portarsi con me in modo più disinvolto di quel che aveva promesso; e, poco alla volta, io cedetti su tutto, sicché, in poche parole, lui fece con me quel che aveva voglia di fare; non occorre che dica di più. Per tutto quel tempo continuò allegramente a bere, e verso l’una di notte risalimmo in carrozza. L’aria e le scosse della carrozza gli fecero andare ancora di più alla testa quel che aveva bevuto, e incominciò ad agitarsi nella carrozza, ed era sul punto di rifare quel che aveva già fatto; ma siccome ormai io capivo di avere in mano il gioco, gli resistetti, e riuscii a indurlo a calmarsi un po’, cosa che durò appena cinque minuti, finché lui cadde addormentato.

Colsi l’occasione per perquisirlo all’ultimo spillo. Presi un orologio d’oro, con una borsa di seta piena d’oro, gli presi la parrucca intera che portava, i guanti con le frange d’argento, la spada e la tabacchiera bellissima, e, aprendo dolcemente lo sportello della carrozza, mi preparai a saltar fuori mentre la carrozza andava; ma, siccome la carrozza si fermò poco dopo il Temple Bar per lasciar passare un’altra carrozza, io scesi piano, richiusi lo sportello, e in quel preciso momento dissi ciao alla carrozza e al mio gentiluomo, e non volli saperne altro.

Quella fu un’avventura della quale non ero andata in cerca, affatto imprevista per me; anche se non avevo ancora perso a tal punto il gusto di vivere da non sapere come comportarmi quando un puttaniere accecato dalla voglia non riesce più a distinguere fra una vecchia e una ragazza. Io, a dir la verità, non sembravo tanto vecchia, dimostravo dieci o dodici anni meno della mia età; però non ero nemmeno una ragazza di diciassette anni, non ci voleva troppo a rendersene conto. Poche cose sono più assurde, disgustose, ridicole, di un uomo quando il vino gli è andato alla testa, e quando al tempo stesso gli è venuta voglia di una brutta cosa; è schiavo di due diavoli in una volta sola, e non è capace di far funzionare il cervello più di quanto possa funzionare un mulino senz’acqua; il vizio calpesta in lui tutto quel che c’era di buono, se qualcosa c’era; anzi il suo intelletto è offuscato dalle smanie, e lui commette assurdità, anche se lo capisce; come, ad esempio, bere ancora quando è già ubriaco; e tirar su una donna qualunque, senza curarsi di com’è, decente o scalcinata, pulita o lercia, schifosa o bella, così cieco sempre da non riuscire a vedere la differenza. Un uomo simile è peggio che pazzo: schiavo della sua indole viziosa e corrotta, non capisce quel che fa, come non capì niente quello sciagurato quando gli portai via l’orologio e la borsa piena d’oro.

Sono questi gli uomini dei quali Salomone dice: “Vanno come buoi al macello, finché un dardo li colpisce al fegato”; mirabile descrizione, comunque, di quel male abbietto, che è una specie di contagio venefico del sangue, e il cui centro, o la cui sorgente, sta nel fegato; donde, per la rapida circolazione del tutto, la terribile e nauseabonda infezione, dopo aver trapassato il fegato, contagia lo spirito, e come un dardo avvelenato colpisce a morte gli organi vitali.

La verità è che quel disgraziato non correva con me nessun rischio, anche se io sulle prime m’ero tanto preoccupata di correre dei rischi con lui; da un certo punto di vista, faceva davvero compassione, perché aveva l’aria di un brav’uomo: un signore che non voleva far del male a nessuno; un uomo intelligente, di buone maniere, dall’aria dignitosa e per bene, un bell’uomo tutto sommato, con una bella faccia, e con tutto quel che è fatto per piacere; solo che purtroppo aveva bevuto un po’ la sera prima, e non era ancora andato a letto, come mi raccontò quando ci andammo insieme; era eccitato, il vino gli infiammava il sangue, e in quello stato il suo discernimento, come se lui dormisse, era crollato.

Per me il problema erano i suoi soldi, quel che riuscivo a cavarci; e poi potevo trovar cento maniere di rispedirlo sano e salvo a casa sua, alla sua famiglia, perché c’era da scommettere che aveva una virtuosa moglie ed una innocente prole in ansia per lui, lieti tutti di riprenderselo a casa, pronti ad aver cura di lui fino a rimetterlo in sesto. E allora che vergogna, che schifo, avrebbe provato lui di se stesso! e quanto si sarebbe pentito d’essere andato con una puttana! pescata nel peggiore dei buchi, sotto i portici, in mezzo alla sozzura e alla schifezza della città! come avrebbe tremato per la paura d’aver preso la sifilide, per la paura che il dardo gli avesse trapassato il fegato, e quanto si sarebbe disprezzato ripensando alla follia e alla corruzione del suo abbrutimento! oh, quanto, se era un uomo di retti principi, come io son convinta che era, quanto, ripeto, gli sarebbe ripugnata l’idea di attaccare una brutta malattia, se l’aveva presa, e per quel che ne sapeva lui poteva darsi, alla pudica e virtuosa moglie, e di conseguenza impestare la posterità.

Se quei signori soltanto considerassero l’opinione che le donne, con le quali essi s’accompagnano, hanno di loro in quelle occasioni, ne sarebbero nauseati. Come già ho detto, quelle non badano al piacere, non gl’importa niente dell’uomo, sono vacche da monta, l’unica cosa che gl’importa sono i soldi, e mentre lui, per così dire, s’inebria nell’estasi del suo perverso piacere, le mani di lei son già nelle tasche di lui in cerca di tutto quel che trovano, del che lui, nel momento della follia, non sa rendersi conto più di quanto abbia saputo prevederlo quando ci si è buttato.

Conobbi una donna così brava con un tizio, che per la verità non meritava d’esser trattato meglio, la quale, mentre lui si occupava di lei in un altro modo, riuscì a tirargli fuori la borsa con venti ghinee dalla tasca interna, dove l’aveva messa lui per paura di lei, e mise al posto di quella un’altra borsa piena di gettoni dorati. Fatta la cosa, lui le dice: “E allora, me l’hai fregata la borsa?” Lei si mise a scherzare, disse che non pensava che lui avesse molto da perdere; lui portò la mano al panciotto, sentì con le dita che la borsa c’era, questo gli bastò, e così quella se ne andò con i soldi. E quella lì lo faceva di mestiere; aveva sempre con sé un orologio d’oro matto, cioè un orologio d’argento dorato, e una borsa piena di gettoni, li teneva in tasca per ogni evenienza, e non dubito che se la cavasse bene.

Con quell’ultimo bottino tornai a casa dalla mia governante, e, quando le raccontai la storia, lei restò tanto commossa che non riusciva quasi a trattenere le lacrime, al pensiero del modo in cui un simile gentiluomo correva il rischio di rovinarsi tutte le volte che un bicchier di vino gli dava alla testa.

Ma dell’affare che avevo fatto, e del modo in cui l’avevo ripulito di tutto, mi disse che aveva grandissimo piacere. “Infatti, bimba,” dice, “un trattamento simile, per quel che ne so io, può servire a emendarlo più di tutte le prediche che ha potuto ascoltare in vita sua.” E così fu, infatti, se si deve credere al seguito della storia.

Il giorno dopo mi avvidi che era piena di curiosità per quel gentiluomo; la descrizione che gliene avevo fatto, l’abito, la corporatura, la faccia, tutto concordava e le faceva venire in mente un signore che conosceva, e la sua famiglia. Scherzò un poco, e, proseguendo io a fornirle particolari, si levò in piedi e disse: “Scommetto cento sterline che conosco quel signore.”

“Mi dispiacerebbe,” dico io, “perché non vorrei per nessun motivo al mondo dargli fastidio; del male gliene ho già fatto io abbastanza, e non vorrei servir da strumento per fargliene ancora.”

“No,” dice lei, “non gli farò nulla di male, te lo assicuro, ma lasciami soddisfare un po’ la mia curiosità, perché se è lui, ti garantisco che lo trovo.”

Io rimasi piuttosto stupefatta, e le dissi, manifestando chiaramente la mia preoccupazione con l’espressione del volto, che con quel sistema poteva esser lui a trovare me, e allora io ero rovinata. Lei con impeto replicò: “Perché, bimba, ti ho mai tradita finora? No,” dice, “mai per tutto l’oro del mondo. Ti ho tenuto mano in cose peggiori di questa; perciò stai tranquilla, puoi fidarti di me.” E così io non dissi altro per quella volta.

Lei formulò allora in modo diverso il suo piano, senza metterne al corrente me, ma aveva deciso di scovare quel tale se appena poteva. Così andò da un’amica sua che conosceva la famiglia alla quale pensava lei, e le disse che le capitava di avere una certa storia con quel signore (il quale oltre tutto era nientemeno che un baronetto, e di ottima famiglia), e non sapeva come fare a recarsi da lui, se nessuno la presentava. L’amica le promise senz’altro di farlo, e subito si recò a quella casa, per sapere se il gentiluomo era in città.

Il giorno dopo viene dalla mia governante e le dice che Sir… era in casa, ma aveva passato un guaio e stava molto male, non c’era modo di parlargli. “Che guaio?” dice subito la mia governante, come meravigliata.

“Ecco,” dice l’amica, “è stato ad Hampstead a far visita a un signore di sua conoscenza, e al ritorno l’hanno fermato e rapinato; e siccome aveva un po’ bevuto, a quanto pare, quei mascalzoni l’hanno maltrattato, e adesso sta molto male.”

“Derubato?” dice la mia governante. “E che cosa gli hanno portato via?”

“Gli hanno preso,” dice l’amica, “l’orologio d’oro, la tabacchiera, la parrucca buona, e tutto il denaro che aveva in tasca, che doveva certamente essere parecchio, perché Sir… non esce mai di casa senza portarsi una borsa piena di ghinee.”

“Ma va’ là,” dice ammiccando la mia vecchia governante, “ci giurerei che invece s’è sbronzato ed è andato con una puttana che lo ha ripulito, e poi va dalla moglie a contarle che è stato rapinato. È una vecchia balla; sono i soliti trucchi che si adoperano mille volte al giorno con le povere donne.”

“Macchè!” dice l’amica, “si vede bene che non conosci Sir…; è un signore tanto per bene, non c’è in tutta la città persona più distinta, sobria, seria, morigerata di lui; non può soffrire cose di quel genere; nessuno, conoscendolo, penserebbe mai di lui una cosa simile.”

“Bene, bene,” dice la mia governante, “non è affar mio, questo; ma se lo fosse, ti assicuro che ci vedrei dentro qualcosa di quel genere; certe volte gli uomini che l’opinione pubblica ritiene morigerati non sono meglio degli altri, ma sanno soltanto far migliore figura, ovvero, se preferisci, sono più ipocriti.”

“No, no,” dice l’amica, “ti assicuro che Sir… non è affatto un ipocrita; è davvero un signore per bene, onesto, e certamente è stato rapinato.”

“Può anche darsi,” dice la mia governante, “ma non è questo che m’interessa, ripeto; io voglio solo parlargli; la cosa che interessa a me è d’altro genere.”

“Ma,” l’amica dice, “di qualunque genere sia la cosa che ti interessa, adesso non puoi vederlo, perché lui ancora non è in condizioni di vedere nessuno, sta molto male, è tutto ammaccato.”

“Allora,” dice la mia governante, “è proprio cascato in brutte mani.” E con tutta serietà domanda: “Ammaccato dove?”

“In testa,” dice l’amica, “e ad una mano, e in faccia, l’hanno maltrattato in maniera indegna.”

“Povero signore,” dice la mia governante, “allora devo aspettare che guarisca”; e aggiunge: “Speriamo che non ci voglia troppo tempo, perché ho veramente bisogno di parlargli.”

Viene via, e mi racconta la storia. “Ho pescato quel tuo signore, è veramente un gran signore,” dice, “ma adesso, poveraccio, è messo proprio male. Mi domando che diavolo gli hai fatto; accidenti, a momenti lo ammazzavi.”

Io la guardai con un certo turbamento. “Ammazzarlo io?” dico; “tu devi aver sbagliato persona; sono sicura di non avergli fatto niente; stava benissimo, quando lo lasciai,” dico, “era soltanto ubriaco e addormentato profondamente.”

“Io non so niente,” dice lei, “ma certo adesso è messo male.” E così mi raccontò quel che l’amica le aveva detto.

“Allora,” dico io, “è andato a cascare in brutte mani dopo che l’ho lasciato io, perché sono sicura che quando l’ho lasciato io stava bene.”

Una decina di giorni dopo, o poco più, la mia governante va di nuovo dall’amica, per farsi presentare a quel signore; intanto aveva preso altre informazioni, aveva saputo che s’era rimesso, anche se ancora non usciva di casa, e ottenne il permesso di andarlo a trovare.

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