Gai-Jin (214 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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I samurai si riversavano su High Street dalle loro caserme muniti di scale e secchi e indossando le maschere sul viso. Efficientissimi si dirigevano a passo veloce verso i punti più minacciati.

Con un cappotto pesante sul pigiama sir William organizzava la difesa della Legazione. Sulla spiaggia Pallidar era al comando dei dragoni, intenti a rifornire le pompe di acqua marina con lunghe canne di tela.

Girandosi vide il generale sbucare dal buio accompagnato da un geniere e da un drappello di soldati, e fermarsi davanti a sir William.

“Sono diretto alla Città Ubriaca e al villaggio” disse ansimando il generale. “Ho intenzione di far scoppiare qualche casa per creare un vuoto davanti al fuoco, con il vostro permesso. Va bene?”

“Sì, tutto quello che potete, forse funzionerà. Se il vento non cala siamo finiti, sbrigatevi!”

“Mi trovavo per caso a guardare dal promontorio, ho visto i primi tre o quattro incendi scoppiare allo Yoshiwara, contemporaneamente ma in zone diverse.”

“Buon Dio, volete dire che erano dolosi?”

“Non lo so, ma atto di Dio, del diavolo o di un dannato incendiario che sia, stiamo andando a fuoco!” Spari nel buio con i genieri.

Sir William vide l'ammiraglio che arrancava sulla spiaggia dal molo della Legazione dove stavano sbarcando altri marinai. “Le barche sono pronte per l'evacuazione” disse Ketterer. “Abbiamo provviste sufficienti per l'intera popolazione. Potremmo radunarli tutti sulla spiaggia, dovrebbe essere abbastanza protetta.”

“Bene. Ma è un rischio.”

“Sì. Un totale scombussolamento dei nostri piani, vero?”

“Temo di sì. E' accaduto nel momento peggiore.” Incendio maledetto, pensò con rabbia sir William. Complica tutto, sia l'incontro di domani con Yoshi che il bombardamento di Kagoshima, e proprio quando finalmente Ketterer aveva accettato di ubbidire alle istruzioni. Cosa diavolo dobbiamo fare, evacuare o cosa? Imbarcare tutti sulla flotta e tornare a Hong Kong con la coda tra le gambe o portare tutti a Kanagawa infischiandocene dei giapponesi? Non si può. Kanagawa sarebbe un'autentica trappola, la baia non è abbastanza profonda per consentire alle nostre navi piena libertà di manovra.

Lanciò un'occhiata a Ketterer.

Nel volto duro e bruciato dal tempo gli occhi sottili fissavano l'orizzonte. Lui propenderà di sicuro per Hong Kong, pensò disgustato. Questo maledetto vento!

In fondo alla strada MacStruan aveva sistemato lunghe scale contro la facciata laterale del suo palazzo.

Inservienti e impiegati passavano secchi d'acqua ad altri più in alto che bagnavano le tegole di legno sul tetto. Alla Brock intanto Gornt e i suoi facevano lo stesso.

“Cristo, guardate!” gridò qualcuno. Le fiamme adesso avvolgevano tutto il villaggio e la Città Ubriaca. Il vento caldo e furioso che li colpiva al volto sembrava beffarsi di loro.

“Mon Dieu” mormorò Angélique che al primo allarme era corsa fuori infilando un pesante soprabito sulla camicia da notte e mettendosi una sciarpa sulla testa.

Capito che l'incendio li avrebbe presto raggiunti tornò di corsa nella sua stanza e infilò frettolosamente in una valigia spazzole, pettini, unguenti, creme, rossetti, poi la biancheria intima più bella. Dopo un attimo di riflessione, passata la paura, aprì la finestra, gridò ad Ah Soh di aspettare li sotto e cominciò a lanciarle vestiti e cappotti.

 

Ah Soh tirò su col naso e non si mosse.

MacStruan, che si trovava lì vicino, le ordinò di muoversi e indicò la loro banchina sull'altro lato della strada, dove già alcuni impiegati vigilavano su scatole di documenti, provviste e fucili e dove Vargas e gli altri portavano quanto riuscivano a salvare.

MacStruan aveva però deciso di lasciare il denaro e l'oro nella cassaforte di ferro.

“Puttana senza madre” gridò ad Ah Soh in un cantonese perfetto, “porta le cose della tai-tai laggiù, proteggile e stai lì anche se il fuoco dovesse caderti sulla testa o ti farò a fette le piante dei piedi!” La donna ubbidì all'istante. “Angélique” gridò poi ridendo, “non c'è tanta fretta, state al caldo finché non vi chiamerò.”

“Grazie, Albert.” Angélique vide Gornt che dal palazzo accanto la guardava e le faceva un cenno di saluto. Rispose. Adesso non aveva più paura. Albert l'avrebbe avvisata in tempo per consentirle di mettersi al sicuro sull'altro lato della strada e da lì su una scialuppa di salvataggio.

La sua mente era sollevata da ogni preoccupazione. Poco prima aveva deciso come regolarsi con André, con Skye e con la donna a Hong Kong. E anche cosa fare con Gornt l'indomani.

Canticchiando Mozart, tirò fuori la spazzola e si sedette davanti allo specchio per rendersi più presentabile per tutti loro.

Come ai vecchi tempi.

Bene, che cosa mi metto?

 

Raiko seguì il tarchiato inserviente tra i resti della sua casa.

L'uomo le faceva strada con una lampada a olio camminando dove possibile sulle pietre ed evitando le chiazze di tizzoni che illuminavano l'oscurità alimentati dall'aria calda e acre. Raiko era sporca in volto, aveva i capelli pieni di cenere e di polvere e il kimono lacero e bruciacchiato. Nonostante le maschere i due di quando in quando tossivano, avevano la gola secca e respiravano a fatica.

“Vai più a sinistra” disse lei con un filo di voce mentre si aggiravano tra piccoli supporti di pietra che disegnavano ordinati quadrati tra la cenere delle casette scomparse.

“Sì, padrona.” Faticosamente proseguirono l'ispezione.

Sopra il rumore del vento si sentivano richiami, qualche improvviso urlo e pianti di disperazione e il suono lontano delle campane d'allarme nel villaggio e nell'Insediamento in preda al fuoco. A Raiko era passato il panico iniziale. Un incendio era un fatto normale, voluto dagli dèi.

Non importa, pensò, sono viva. Domani scoprirò la causa dell'incendio, se è stato originato da un'esplosione come qualcuno sostiene oppure se questo orribile vento ha ingannato l'udito e lo scoppio è invece nato da un vaso di olio caduto sui fornelli di una cucina. La Casa delle Tre Carpe è andata in fumo. E così tutte le altre, quasi tutte. Ma non sono ancora in rovina, non ancora.

Un gruppo di cortigiane e di cameriere in lacrime e con i vestiti bruciacchiati sbucò dalla notte. Erano le donne del Drago Verde, non le ragazze di Raiko. “Smettete di piangere” ordinò lei, “e andate alle Sedici Orchidee, si stanno radunando tutti là perchè la casa non ha quasi subito danni e ci sono letti, cibo e bevande a sufficienza. Aiutate i feriti.

Dov'è Chio-san?” Si riferiva alla loro mama-san.

“Non l'abbiamo vista” rispose tra le lacrime una ragazza, “io ero con un cliente e sono riuscita a malapena a scappare fuori con lui e a portarlo nel rifugio sotterraneo.”

“Bene, adesso prendete quel sentiero e state attente” disse Raiko compiaciuta. Quando poco più di due anni prima stavano costruendo lo Yoshiwara e, previa la dispendiosa approvazione del dipartimento della Bakufu, la loro gilda aveva scelto le mama-san, lei aveva suggerito che per prudenza accanto al corpo principale di ogni casa da tè venisse costruita una cantina di mattoni a prova d'incendio.

Anche le casseforti di mattoni andavano sistemate sottoterra. Alcune mama-san avevano rifiutato la proposta come eccessivamente costosa. Non importa, pensò, peggio per loro. Mi divertirò a vedere come si batteranno il petto disperate quelle che non hanno seguito il mio esempio.

Raiko aveva appena finito di ispezionare il suo rifugio sotterraneo.

Alcuni gradini conducevano a una porta rivestita di ferro. L'interno era intatto. Tutto quello che vi era custodito, contratti, registri, cambiali, ricevute dei prestiti fatti al Gyokoyama, note della banca e pagherò erano salvi e le lenzuola e i kimono più preziosi, sia suoi che delle ragazze erano negli involucri, come nuovi.

Sin dall'inizio aveva imposto la regola che le lenzuola e gli abiti più costosi che non sarebbero stati usati la sera stessa venissero riposti nel sottosuolo, e quel lavoro in più era stato svolto dalle ragazze con mormorii di disapprovazione. Questa mattina non ci sarà nessun mormorio, pensò.

Con sua immensa gioia tutte le ragazze, gli inservienti e i clienti si erano salvati, tranne Fujiko, Hinodeh, Teko, Furansu-san e Taira, due sguatteri e due cameriere che ancora mancavano all'appello. Ma Raiko non ne era preoccupata. Si saranno messi in salvo altrove. Un inserviente aveva visto uno o forse due gai-jin correre incolumi verso il cancello.

Namu Amida Butsu, pregò, fa' che si siano salvati e benedici me per la saggezza che mi ha spinto a obbligare tutta la mia gente a partecipare alle esercitazioni antincendio.

L'orrore della deflagrazione nello Yoshiwara di Edo di dodici anni prima le era stato di lezione. In quell'incendio aveva rischiato di morire insieme al suo cliente, un ricco mercante di riso del Gyokoyama.

Raiko lo aveva salvato svegliandolo dal torpore dell'ubriachezza e lo aveva trascinato fuori rischiando la vita.

Mentre fuggivano attraverso i giardini, d'improvviso si erano trovati in trappola, completamente circondati dalle fiamme, ma si erano salvati scavando una trincea nel terreno soffice con il pugnale che lei teneva nell'obi cosicché il fuoco era passato sopra di loro.

Tuttavia le gravi ustioni alla schiena e alle gambe che aveva riportato l'avevano costretta a rinunciare alla carriera di cortigiana.

E suo cliente però si era ricordato di lei e quando era guarita abbastanza da poter camminare aveva convinto il Gyokoyama a concederle un prestito per aprire una casa da tè tutta sua, poi si era scelto un'altra amante.

L'investimento era quintuplicato di valore. In quell'incendio erano morte più di cento cortigiane, sedici mama-san e un numero incalcolabile di clienti e di cameriere.

L'incendio dello Shimibara di Kyòto era costato un numero di vite ancora maggiore. Si contavano a centinaia le persone perite nei secoli a causa degli incendi.

A Edo, nel Grande Incendio delle Maniche Fruscianti, avvenuto qualche anno dopo che la mama-san Gyoko aveva fondato il primo Yoshiwara, il fuoco era divampato distruggendo completamente il quartiere e provocando la morte di centomila persone. Entro due anni il quartiere era stato ricostruito e ferveva di attività, ma da allora era bruciato ed era stato ricostruito più volte. Anche noi, giurò Raiko, ricostruiremo il nostro e lo faremo più bello che mai!

“La Casa delle Sedici Orchidee è da quella parte, padrona, neh?” Confuso dalle nuvole di fumo incandescente l'inserviente esitò. Erano circondati soltanto da tizzoni, ceneri e da qualche patetico pilastro e non vi erano sentieri a indicare il cammino.

Poi una folata sollevò le ceneri e la brace scoprendo le pietre angolari e un drago scolpito incrinato dal calore. Raiko lo riconobbe e capì dove si trovavano. Era la casetta di Hinodeh.

“Siamo fuori strada” disse, poi qualcosa richiamò il suo sguardo.

Uno scintillio. “Aspetta. Che cos'è?”

“Dove, padrona?” Raiko aspettò che il vento agitasse di nuovo la brace. Lo scintillio era a pochi passi da loro, sulla destra. “Là!”

“Ah, sì.” Con cautela l'uomo ripulì il sentiero con un ramo annerito e senza foglie, avanzò di qualche passo sollevando la lampada per farsi luce, ma fu costretto ad arretrare da un mulinello di tizzoni spinti dal vento.

“Vieni, controlleremo domani!”

“Un momento, padrona.” Boccheggiando per il calore lui agitò il ramo con movimenti rapidi e spostò la cenere. Sussultò. Le due figure carbonizzate erano sdraiate una accanto all'altra e si tenevano per mano.

Lo scintillio proveniva da un anello d'oro con sigillo, deformato e mezzo fuso dal calore.

“Padrona!”

Raiko si avvicinò e rimase impietrita. Sono sicuramente Furansu-san e Hinodeh, pensò subito. Lui portava sempre un anello con sigillo, certo, me lo ha perfino offerto qualche giorno fa.

Poi si rasserenò vedendo le loro mani unite. Il letto di carboni ardenti su cui erano distesi le sembrò una culla di rubini e gemme preziose che brillavano, vivevano, morivano e venivano resuscitate dalle correnti d'aria e rappresentavano anche il destino delle due anime fino alla fine dei tempi.

Oh, è così triste, pensò con gli occhi pieni di lacrime, così triste e così bello. Quanta pace intorno a loro e che benedizione morire insieme, mano nella mano. Devono aver deciso di bere entrambi dalla tazza avvelenata e di morire uniti. Quanta saggezza hanno dimostrato.

Si asciugò le lacrime e li benedisse. “Namu Amida Butsu” mormorò.

“Li lasceremo in pace e decideremo il da farsi domani.” Arretrò, le sue lacrime avevano un sapore amaro e dolce al tempo stesso; lo spettacolo di bellezza che aveva visto la rincuorava. Insieme all'inserviente riprese il cammino verso il luogo di raccolta.

Fu colta da un pensiero improvviso.

Se quelli erano Furansu-san e Hinodeh, il gai-jin che è stato visto fuggire dev'essere Taira. Bene, meglio lui che l'altro. Ho perso una buona fonte di informazioni, ma a lungo termine ci guadagno. Taira e Fujiko sono più docili e hanno un futuro. Se ben guidato, Taira si rivelerà altrettanto prodigo di informazioni, presto sarò in grado di parlargli direttamente perchè il suo giapponese migliora di giorno in giorno e per essere un gai-jin lo parla già bene.

Devo organizzargli qualche lezione supplementare, insegnargli le espressioni politiche, Fujiko conosce soltanto il linguaggio amoroso e quello del Mondo Fluttuante, e ha un accento da contadina.

Di sicuro lui rappresenta un investimento a lungo termine molto più promettente e...

Padrona e servitore si fermarono nello stesso istante.

Si scambiarono un'occhiata ed entrambi guardarono il cielo a meridione. Il vento era calato.

Capitolo 58


 

Mercoledì, 14 gennaio

 

Yokohama è spacciata, William” disse con voce roca il generale alle prime luci dell'alba.

Erano sul promontorio prospiciente l'Insediamento, con Pallidar al seguito, tutti e tre a cavallo. Il fumo dell'incendio si levava ancora. Il generale aveva il volto contuso e sporco, l'uniforme lacera e il cappello bruciacchiato sul bordo.

“Vi ho chiesto di salire fin qui per avere una visione d'insieme, mi dispiace. Forza maggiore.”

“Sapevo che i danni erano ingenti, ma questo è...” La voce di sir William si spense. Nessuno di loro aveva dormito e portavano i segni della fatica dipinti sul volto, i loro vestiti erano bruciati e sporchi, quelli di Pallidar addirittura a brandelli. Il sole si alzò lentamente in cielo illuminando il paesaggio fino a Hodogaya sulla Tokaidò.

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