Gai-Jin (18 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Non so perchè ma è andata così, sono entrato lentamente, con attenzione, e le sue braccia hanno circondato il mio corpo e si è aggrappata a me tremando senza svegliarsi mai davvero, ed era così stretta e io mi sono trattenuto e trattenuto e poi slanciato in avanti senza più freni.

Non ho mai immaginato che potesse essere così meraviglioso, così sensuale, così appagante, così estremo.

Le altre non erano nulla paragonate a lei.

Lei mi ha fatto toccare il cielo ma non è per questo che l'ho lasciata vivere.

Ero deciso a ucciderla.

Poi avrei ucciso me stesso in quella stessa stanza.

Ma sarebbe stato un grande egoismo morire all'apice della felicità, tanto appagato.

Oh, come l'ho desiderato. Ma la mia morte appartiene a sonno-joi.

A nessun altro. Nemmeno a me.

“Non ucciderla è stato un errore” ripeté Hiraga interrompendo i suoi pensieri.

“Shorin aveva ragione, ucciderla ci avrebbe fatto raggiungere un risultato, sarebbe stato meglio di niente.”

“Sì.”

“Allora perchè?

“ L'ho lasciata viva per gli dei, se gli dei esistono, avrebbe voluto dire.

Invece tacque.

Mi hanno posseduto e mi hanno fatto fare quello che ho fatto e io li ringrazio.

Adesso sono un uomo completo. Conosco la vita, mi resta da conoscere soltanto la morte. Sono stato il suo primo uomo, non potrà mai dimenticare, mi ricorderà anche se dormiva.

Quando sarà sveglia e vedrà ciò che ho scritto con il sangue, il mio sangue, capirà.

Voglio che viva per sempre. Io morirò presto. Karma.

Ori ripose la croce in una tasca segreta del kimono e bevve dell'altro tè verde. Si sentiva completamente soddisfatto e vivo.

“Hai detto di avere un piano per un'azione?”

“Sì. Andiamo a bruciare la Legazione britannica a Edo.”

“Bene. Facciamo presto.”

“Subito. Sonno-joi!”

A Yokohama sir William disse con rabbia: “Ditegli un'altra volta, e che sia l'ultima per Dio, che il governo di Sua Maestà esige una riparazione immediata pari a centomila sterline in oro per aver consentito che questo attacco non provocato venisse impunemente sferrato provocando l'uccisione di un suddito britannico...

Uccidere un inglese è kinjiru per Dio!

Inoltre esigiamo che ci vengano consegnati gli assassini satsuma entro tre giorni oppure prenderemo gravi provvedimenti!”

L'affollato ufficio della Legazione britannica di Yokohama, dall'altra parte della baia, vedeva riuniti i ministri di Prussia, Francia e Russia, i due ammiragli inglese e francese e il generale.

Erano tutti al limite della sopportazione.

Di fronte a loro, seduti in modo inappuntabile sulle sedie, vi erano due rappresentanti locali della Bakufu, il samurai capo delle guardie dell'Insediamento e il governatore di Kanagawa nella cui giurisdizione rientrava Yokohama.

Indossavano pantaloni ampi e kimono e sontuosi mantelli fermati alla vita con una cintura.

Erano tutti armati.

Il disagio era generale e i giapponesi sembravano soffocare dalla rabbia. All'alba alcuni soldati armati si erano presentati alle dogane di Yokohama e Kanagawa picchiando sulla porta con il calcio dei fucili.

Con un'animosità senza precedenti avevano convocato i più alti ufficiali e il governatore per una riunione che avrebbe avuto luogo a mezzogiorno.

Anche quella fretta non aveva precedenti.

Gli interpreti sedevano sui cuscini tra i due gruppi contrapposti.

L'interprete giapponese era seduto sulle ginocchia, e l'altro, uno svizzero di nome Johann Vafrod, nella posizione del loto.

Comunicavano tra loro in olandese.

L'incontro durava già da due ore, l'inglese veniva tradotto in olandese e poi in giapponese, poi di nuovo in olandese quindi in inglese e così via.

Le domande di sir William venivano puntualmente fraintese o ignorate, oppure dovevano essere ripetute parecchie volte.

Già in una dozzina di modi diversi i giapponesi avevano chiesto tempo per “consultare le autorità preposte a istituire indagini ed esami” e ripetuto: “Oh si, in Giappone gli esami sono molto diversi dalle indagini. Sua eccellenza, il governatore di Kanagawa, ci spiega dettagliatamente che...” e “Oh, sua eccellenza, il governatore di Kanagawa, desidera precisare di non aver alcuna autorità su Satsuma che è a tutti gli effetti un regno autonomo...” e “Oh, ma a sua eccellenza il governatore di Kanagawa risulta che gli aggrediti abbiano estratto minacciosamente le pistole e che siano colpevoli di non aver rispettato le antiche tradizioni giapponesi...” e “Quanti stranieri dovevano esserci nel gruppo che non si è inginocchiato? e... ma le nostre tradizioni ....”.

Le tediose, estenuanti e complesse conferenze in giapponese del governatore venivano trasformate con impegno in un olandese tutt'altro che fluente e poi ritradotte in inglese.

“Ditelo piattamente, Johann, proprio come l'ho detto io.”

“Lo faccio sempre sir William, ma sono sicuro che questo cretino non sta facendo bene il suo lavoro e che traduce male sia quello che dite voi sia quello che dicono i giapponesi.”

“Non è una novità, per l'amor di Dio, è mai stato diversamente?

Cercate di arrivare a capo di qualcosa.” Johann diede alle parole di sir William una traduzione letterale.

L'interprete giapponese arrossì, chiese una spiegazione del significato della parola “immediate”, poi trasmise con cautela una traduzione cortese, appropriata e approssimativa, che a suo parere poteva essere considerata accettabile.

Ciononostante il governatore trattenne il respiro davanti a tanta maleducazione.

Il silenzio divenne più pesante.

Dopo aver tamburellato con le dita in modo irritato e monotono sull'elsa della spada, il governatore parlò brevemente, tre o quattro parole in tutto. La traduzione fu lunga.

Johann disse allegramente: “Tagliando tutta l'aria fritta, il governatore dice che a tempo debito passerà la vostra “richiesta” alle autorità preposte”.

A sir William si imporporarono leggermente le guance, gli ammiragli e il generale divennero paonazzi. “Richiesta” eh? Dite a quest'infame, e diteglielo così: non ve lo sto chiedendo, lo pretendo! E ditegli inoltre: Esigiamo un'udienza IMMEDIATA dallo shògun a Edo fra tre giorni!

Tre giorni, per Dio! E arriverò all'appuntamento con le navi da guerra, maledizione!”

“Bravo” mormorò il conte Zergeyev.

Anche Johann era stanco di quel faticoso tira e molla, perciò diede alla sua traduzione un elegante tono definitivo.

L'interprete giapponese prese fiato e si slanciò senza indugio in un'inarrestabile ondata di olandese acrimonioso a cui Johann rispose dolcemente con due parole che ebbero l'effetto di causare un immediato e atterrito silenzio.

“Nan ja!”

Cosa c'è, cos'ha detto, chiese il governatore irritato rendendosi conto dell'ostilità generale.

Immediatamente il nervoso interprete gli fornì in tono di scusa una versione edulcorata.

Il governatore reagì con un parossismo di minacce e implorazioni e rifiuti e altre minacce che l'interprete trasformò nelle parole che secondo lui gli stranieri volevano sentire.

Poi, sempre più turbato, si accinse ad ascoltare e a tradurre di nuovo.

“Che cosa sta dicendo, Johann?”

Sir William dovette alzare la voce per farsi sentire perchè l'interprete stava parlando al governatore e agli ufficiali della Bakufu che parlavano tra loro.

“Che cosa diavolo stanno dicendo?”

Johann era felice perchè sapeva che entro pochi minuti l'incontro sarebbe terminato.

Avrebbe finalmente potuto far ritorno al Long Bar dove l'attendevano la colazione e lo schnapp, “Non so, capisco solo che il governatore continua a ripetere che l'unica cosa che può fare è passare la vostra richiesta eccetera all'autorità eccetera ma che non c'è nessuna possibilità che lo shògun vi conceda l'onore eccetera perchè è contro le loro tradizioni eccetera...”

Sir William picchiò il palmo della mano sul tavolo e nello sbalordito silenzio che segui puntò prima un dito contro il governatore e poi contro se stesso: “Watashi... io...”, indicò oltre la finestra verso Edo.

“Watashi andare Edo!”

Poi alzò tre dita: “Tre giorni con una maledetta nave da guerra!”.

Si alzò di scatto e uscì impetuosamente dalla stanza.

Gli altri lo seguirono.

Attraversò l'ingresso, entrò nello studio e dirigendosi senza esitazioni verso il banco che ospitava le bottiglie di cristallo si versò un bicchiere di whisky..“

Qualcuno vuole unirsi a me?” chiese in tono disinvolto agli uomini che lo circondavano.

Versò automaticamente dello scotch per gli ammiragli, il generale e il ministro prussiano, un bicchiere di chiaretto per Seratard e una buona dose di vodka per il conte Zergeyev.

“Tutto secondo i piani, no? Peccato le lungaggini.”

“Pensavo che voleste farvi esplodere una giugulare” disse Zergeyev vuotando il bicchiere e versandosene un secondo.

“Nemmeno per sogno. Ma dovevo chiudere l'incontro con un bel finale drammatico.”

“Allora siamo a Edo fra tre giorni?”

“Sì, mio caro conte. Ammiraglio, fate preparare la nave per una partenza all'alba, trascorrerete i prossimi due giorni mettendo ogni cosa a punto, ripulendo ostentamente i ponti per l'azione, facendo caricare i cannoni, esercitando l'intera flotta eccetera e poi date l'ordine a tutte le altre navi che si tengano pronte per la battaglia, se necessario.

Generale, cinquecento giubbe rosse dovrebbero essere sufficienti per una guardia d'onore. Monsieur, l'ammiraglia francese vorrebbe unirsi a noi?”

“E' naturale” rispose Seratard. “Vi accompagnerò personalmente.

Inoltre suggerisco di utilizzare la Legazione francese come quartier generale e di adottare l'alta uniforme.”

“La risposta è negativa per quanto concerne le alte uniformi; questa è una missione punitiva, non andiamo a presentare le nostre credenziali.

Ci penseremo dopo. E negativa è anche la risposta all'offerta della Legazione francese. La vittima è un cittadino britannico e inoltre, come posso dire? Sarà la nostra flotta il fattore decisivo dello scontro.” Von Heimrich sogghignò.

“E' certamente decisivo in queste acque e in questo momento.”

Diede un'occhiata a Seratard.

“Mi rammarico di non disporre d'una dozzina di reggimenti di cavalleria prussiana, potremmo distruggere il Giappone in un batter d'occhio e farla finita con tutta quella loro stupidità tortuosa e quelle cattive maniere che fanno perdere tanto tempo.”

“Una dozzina di reggimenti sarebbero davvero sufficienti?” gli chiese Seratard con un'occhiata raggelante.

“Più che sufficienti, Herr Seratard, per l'intero Giappone. I nostri soldati sono i migliori al mondo, ovviamente dopo l'esercito di Sua Maestà britannica” aggiunse a bassa voce.

“La Prussia è in grado di schierare venti o persino trenta reggimenti su questo piccolo settore e avere ciononostante un esercito ancora in grado di affrontare qualsiasi problema che potremmo incontrare altrove, soprattutto in Europa.”

“Si, bene...” Sir William l'interruppe mentre Seratard diventava paonazzo. Finì di bere il whisky.

“Vado a Kanagawa a predisporre alcune cose. Ammiraglio, generale, potremmo incontrarci per un breve punto della situazione al mio ritorno. Verrò sulla vostra nave. Oh, monsieur Seratard, che cosa volete fare con mademoiselle Angélique? Volete che la scorti io a Kanagawa?”

Angélique uscì dalla sua stanza nel sole del tardo pomeriggio, percorse il lungo corridoio e imboccò lo scalone dell'ingresso.

Indossava lo stesso abito con la crinolina del giorno prima ed era più elegante ed eterea che mai con i capelli ben spazzolati e raccolti, lo sguardo intenso.

Lasciava nella sua scia il profumo e il fruscio delle sottogonne.

Le sentinelle davanti alla porta principale la salutarono con qualche parola imbarazzata, senza fiato per la sua bellezza.

Lei ricambiò con un sorriso distante e si diresse verso la sala operatoria. Un servo cinese la guardò per qualche secondo a bocca aperta poi scappò via.

La porta della sala operatoria si aprì lasciandone uscire Babcott.

“Oh buongiorno, signorina Angélique, parola mia siete bellissima” balbettò il dottore.

“Grazie.” Il sorriso era gentile, la voce cortese.

“Volevo domandarvi... possiamo parlare un momento?”

“Certamente, entrate. Mettetevi comoda.”

Babcott chiuse la porta, fece accomodare Angélique sulla sedia migliore e prese posto dietro la scrivania ammirando incantato la radiosità della ragazza e il modo in cui la sua pettinatura metteva in rilievo la perfezione del lungo collo.

Il dottore aveva gli occhi rossi ed era molto stanco.

Eppure anche questa è vita, pensava estasiato dalla bellezza di Angélique.

“Quella bevanda che mi avete dato ieri sera, era una droga o qualcosa del genere?”

“Sì, sì lo era. Un preparato piuttosto forte perchè eravate... eravate scossa.”

“E' tutto così vago e confuso, la Tokaidò, poi il mio arrivo qui e...

Malcolm. Era un sonnifero molto forte?”

“Forte ma non pericoloso, niente del genere. Il sonno è la cura migliore, un buon sonno profondo, e per Giove se dovete aver dormito bene, sono quasi le quattro, del pomeriggio. Come vi sentite ora?”

“Ancora un pò stanca, grazie.”

Gli concesse un altro di quei suoi sorrisi un pò tristi che avevano l'effetto di scuoterlo sin nel profondo.

“Come sta monsieur Struan?”

“Le sue condizioni sono stazionarie. Stavo per andare a dargli un'occhiata, potete venire anche voi, se lo desiderate. Si sta comportando egregiamente, tutto considerato. A proposito, hanno catturato quell'individuo.”

“Quale individuo?”

“Quello di cui vi abbiamo parlato la notte scorsa, l'intruso.”

“Non ricordo niente della notte scorsa.”

Babcott le raccontò quel che era successo nella sua stanza e in giardino, del ladro ucciso dai soldati e del suo probabile complice che era riuscito a sfuggire, e Angélique dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per mantenersi impassibile mentre dentro di sé gridava: tu figlio di satana con i tuoi sonniferi e la tua incompetenza, di quali ladri stai parlando? L'altro era nella mia stanza quando l'avete perquisita e non siete nemmeno riusciti a vederlo.

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