Authors: Dante
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
E come giga e arpa, in tempra tesa
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di molte corde, fa dolce tintinno
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a tal da cui la nota non è intesa,
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
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che mi rapiva, sanza intender l’inno.
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venìa “Resurgi” e “Vinci”
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come a colui che non intende e ode.
Ïo m’innamorava tanto quinci,
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che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
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che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
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posponendo il piacer de li occhi belli,
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ne’ quai mirando mio disio ha posa;
ma chi s’avvede che i vivi suggelli
d’ogne bellezza più fanno più suso,
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e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
escusar puommi di quel ch’io m’accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
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perché si fa, montando, più sincero.
Benigna volontade in che si liqua
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sempre l’amor che drittamente spira,
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come cupidità fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
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e fece quïetar le sante corde
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che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a’ giusti preghi sorde
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quelle sustanze che, per darmi voglia
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ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene è che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
Quale per li seren tranquilli e puri
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discorre ad ora ad or sùbito foco,
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movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’ e’ s’accende
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nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che ’n destro si stende
a piè di quella croce corse un astro
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de la costellazion che lì resplende;
né si partì la gemma dal suo nastro,
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ma per la lista radïal trascorse,
Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
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se fede merta nostra maggior musa,
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quando in Eliso del figlio s’accorse.
Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
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poscia rivolsi a la mia donna il viso,
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e quinci e quindi stupefatto fui;
ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
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tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
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de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
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giunse lo spirto al suo principio cose,
né per elezïon mi si nascose,
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ma per necessità, ché ’l suo concetto
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al segno d’i mortal si soprapuose.
E quando l’arco de l’ardente affetto
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fu sì sfogato, che ’l parlar discese
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inver’ lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me s’intese,
“Benedetto sia tu,” fu, “trino e uno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch’io ti parlo, mercé di colei
Tu credi che a me tuo pensier mei
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da quel ch’è primo, così come raia
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da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
e però ch’io mi sia e perch’ io paia
più gaudïoso a te, non mi domandi,
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che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
di questa vita miran ne lo speglio
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in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che m’asseta
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di dolce disïar, s’adempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni ’l disio,
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a che la mia risposta è già decreta!”
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
Poi cominciai così: “L’affetto e ’l senno,
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come la prima equalità v’apparse,
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d’un peso per ciascun di voi si fenno,
però che ’l sol che v’allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
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che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
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se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
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che questa gioia prezïosa ingemmi,
“O fronda mia in che io compiacemmi
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pur aspettando, io fui la tua radice”:
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cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: “Quel da cui si dice
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tua cognazione e che cent’ anni e piùe
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girato ha ’l monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
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tu li raccorci con l’opere tue.
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
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ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
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si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
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non gonne contigiate, non cintura
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che fosse a veder più che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
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la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote
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non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vòte;
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non v’era giunto ancor Sardanapalo
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a mostrar ciò che ’n camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
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dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto
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nel montar sù, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid’ io andar cinto
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di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
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esser contenti a la pelle scoperta,
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e le sue donne al fuso e al pennecchio.