Authors: Dante
ché più non arse la figlia di Belo,
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noiando e a Sicheo e a Creusa,
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di me, infin che si convenne al pelo;
Non però qui si pente, ma si ride,
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non de la colpa, ch’a mente non torna,
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ma del valor ch’ordinò e provide.
Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
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cotanto affetto, e discernesi ’l bene
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per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
Ma perché tutte le tue voglie piene
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ten porti che son nate in questa spera,
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procedere ancor oltre mi convene.
Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
che qui appresso me così scintilla
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come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che là entro si tranquilla
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Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
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di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
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che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
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del trïunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo de l’alta vittoria
perch’ ella favorò la prima gloria
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di Iosüè in su la Terra Santa,
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che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta
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che pria volse le spalle al suo fattore
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e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
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c’ha disvïate le pecore e li agni,
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però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l’Evangelio e i dottor magni
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son derelitti, e solo ai Decretali
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si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
A questo intende il papa e ’ cardinali;
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non vanno i lor pensieri a Nazarette,
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là dove Gabrïello aperse l’ali.
Ma Vaticano e l’altre parti elette
di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette,
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tosto libere fien de l’avoltero.”
Guardando nel suo Figlio con l’Amore
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che l’uno e l’altro etternalmente spira,
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lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
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con tant’ ordine fé, ch’esser non puote
Leva dunque, lettore, a l’alte rote
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meco la vista, dritto a quella parte
e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
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di quel maestro che dentro a sé l’ama,
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tanto che mai da lei l’occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
l’oblico cerchio che i pianeti porta,
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per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta,
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molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
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e quasi ogne potenza qua giù morta;
e se dal dritto più o men lontano
fosse ’l partire, assai sarebbe manco
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e giù e sù de l’ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,
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dietro pensando a ciò che si preliba,
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s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo t’ho innanzi; omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
Lo ministro maggior de la natura,
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che del valor del ciel lo mondo imprenta
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e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sù si rammenta
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congiunto, si girava per le spire
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in che più tosto ognora s’appresenta;
e io era con lui; ma del salire
non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,
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anzi ’l primo pensier, del suo venire.
É Bëatrice quella che sì scorge
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di bene in meglio, sì subitamente
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che l’atto suo per tempo non si sporge.
Quant’ esser convenia da sé lucente
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quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,
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non per color, ma per lume parvente!
Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
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sì nol direi che mai s’imaginasse;
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ma creder puossi e di veder si brami.
E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
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ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
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de l’alto Padre, che sempre la sazia,
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mostrando come spira e come figlia.
E Bëatrice cominciò: “Ringrazia,
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ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
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sensibil t’ha levato per sua grazia.”
Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
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con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fec’ io;
e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
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che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
Non le dispiacque, ma sì se ne rise,
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che lo splendor de li occhi suoi ridenti
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mia mente unita in più cose devise.
Io vidi più folgór vivi e vincenti
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far di noi centro e di sé far corona,
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più dolci in voce che in vista lucenti:
così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l’aere è pregno,
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sì che ritenga il fil che fa la zona.
Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,
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si trovan molte gioie care e belle
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tanto che non si posson trar del regno;
e ’l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s’impenna sì che là sù voli,
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dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
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si fuor girati intorno a noi tre volte,
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come stelle vicine a’ fermi poli,
donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s’arrestin tacite, ascoltando
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fin che le nove note hanno ricolte.
E dentro a l’un senti’ cominciar: “Quando
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lo raggio de la grazia, onde s’accende
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verace amore e che poi cresce amando,
multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
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qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
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se non com’ acqua ch’al mar non si cala.
Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
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la bella donna ch’al ciel t’avvalora.
Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
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u’ ben s’impingua se non si vaneggia.