Paradiso (54 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Folco mi disse quella gente a cui   

               
fu noto il nome mio; e questo cielo   

96
           
di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;   

               
ché più non arse la figlia di Belo,   

               
noiando e a Sicheo e a Creusa,

99
           
di me, infin che si convenne al pelo;

               
né quella Rodopëa che delusa

               
fu da Demofoonte, né Alcide

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quando Iole nel core ebbe rinchiusa.

               
Non però qui si pente, ma si ride,   

               
non de la colpa, ch’a mente non torna,

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ma del valor ch’ordinò e provide.

               
Qui si rimira ne l’arte ch’addorna   

               
cotanto affetto, e discernesi ’l bene

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per che ’l mondo di sù quel di giù torna.

               
Ma perché tutte le tue voglie piene   

               
ten porti che son nate in questa spera,

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procedere ancor oltre mi convene.

               
Tu vuo’ saper chi è in questa lumera

               
che qui appresso me così scintilla

114
         
come raggio di sole in acqua mera.

               
Or sappi che là entro si tranquilla   

               
Raab; e a nostr’ ordine congiunta,

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di lei nel sommo grado si sigilla.

               
Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta   

               
che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma   

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del trïunfo di Cristo fu assunta.

               
Ben si convenne lei lasciar per palma

               
in alcun cielo de l’alta vittoria

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che s’acquistò con l’una e l’altra palma,   

               
perch’ ella favorò la prima gloria   

               
di Iosüè in su la Terra Santa,

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che poco tocca al papa la memoria.

               
La tua città, che di colui è pianta   

               
che pria volse le spalle al suo fattore

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e di cui è la ’nvidia tanto pianta,

               
produce e spande il maladetto fiore   

               
c’ha disvïate le pecore e li agni,

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però che fatto ha lupo del pastore.

               
Per questo l’Evangelio e i dottor magni   

               
son derelitti, e solo ai Decretali

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si studia, sì che pare a’ lor vivagni.

               
A questo intende il papa e ’ cardinali;   

               
non vanno i lor pensieri a Nazarette,   

138
         
là dove Gabrïello aperse l’ali.

               
Ma Vaticano e l’altre parti elette

               
di Roma che son state cimitero

               
a la milizia che Pietro seguette,

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tosto libere fien de l’avoltero.”

PARADISO X

               
Guardando nel suo Figlio con l’Amore   

   

               
che l’uno e l’altro etternalmente spira,

3
             
lo primo e ineffabile Valore

               
quanto per mente e per loco si gira   

               
con tant’ ordine fé, ch’esser non puote

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sanza gustar di lui chi ciò rimira.   

               
Leva dunque, lettore, a l’alte rote   

               
meco la vista, dritto a quella parte

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dove l’un moto e l’altro si percuote;   

               
e lì comincia a vagheggiar ne l’arte   

               
di quel maestro che dentro a sé l’ama,

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tanto che mai da lei l’occhio non parte.

               
Vedi come da indi si dirama

               
l’oblico cerchio che i pianeti porta,

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per sodisfare al mondo che li chiama.

               
Che se la strada lor non fosse torta,   

               
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,

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e quasi ogne potenza qua giù morta;

               
e se dal dritto più o men lontano

               
fosse ’l partire, assai sarebbe manco

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e giù e sù de l’ordine mondano.

               
Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,   

               
dietro pensando a ciò che si preliba,   

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s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.

               
Messo t’ho innanzi; omai per te ti ciba;

               
ché a sé torce tutta la mia cura

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quella materia ond’ io son fatto scriba.   

               
Lo ministro maggior de la natura,   

   

               
che del valor del ciel lo mondo imprenta

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e col suo lume il tempo ne misura,

               
con quella parte che sù si rammenta   

               
congiunto, si girava per le spire   

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in che più tosto ognora s’appresenta;

               
e io era con lui; ma del salire

               
non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,   

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anzi ’l primo pensier, del suo venire.

               
É Bëatrice quella che sì scorge   

               
di bene in meglio, sì subitamente

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che l’atto suo per tempo non si sporge.

               
Quant’ esser convenia da sé lucente   

               
quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,

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non per color, ma per lume parvente!

               
Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,   

               
sì nol direi che mai s’imaginasse;

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ma creder puossi e di veder si brami.

               
E se le fantasie nostre son basse

               
a tanta altezza, non è maraviglia;

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ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.

               
Tal era quivi la quarta famiglia   

               
de l’alto Padre, che sempre la sazia,

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mostrando come spira e come figlia.

               
E Bëatrice cominciò: “Ringrazia,   

               
ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo

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sensibil t’ha levato per sua grazia.”

               
Cor di mortal non fu mai sì digesto

               
a divozione e a rendersi a Dio

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con tutto ’l suo gradir cotanto presto,

               
come a quelle parole mi fec’ io;

               
e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,   

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che Bëatrice eclissò ne l’oblio.

               
Non le dispiacque, ma sì se ne rise,   

               
che lo splendor de li occhi suoi ridenti

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mia mente unita in più cose devise.

               
Io vidi più folgór vivi e vincenti   

               
far di noi centro e di sé far corona,

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più dolci in voce che in vista lucenti:

               
così cinger la figlia di Latona

               
vedem talvolta, quando l’aere è pregno,

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sì che ritenga il fil che fa la zona.

               
Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,   

               
si trovan molte gioie care e belle

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tanto che non si posson trar del regno;

               
e ’l canto di quei lumi era di quelle;

               
chi non s’impenna sì che là sù voli,

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dal muto aspetti quindi le novelle.

               
Poi, sì cantando, quelli ardenti soli   

               
si fuor girati intorno a noi tre volte,

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come stelle vicine a’ fermi poli,

               
donne mi parver, non da ballo sciolte,

               
ma che s’arrestin tacite, ascoltando

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fin che le nove note hanno ricolte.

               
E dentro a l’un senti’ cominciar: “Quando   

               
lo raggio de la grazia, onde s’accende

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verace amore e che poi cresce amando,

               
multiplicato in te tanto resplende,

               
che ti conduce su per quella scala   

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u’ sanza risalir nessun discende;   

               
qual ti negasse il vin de la sua fiala

               
per la tua sete, in libertà non fora

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se non com’ acqua ch’al mar non si cala.

               
Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora

               
questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia

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la bella donna ch’al ciel t’avvalora.

               
Io fui de li agni de la santa greggia

               
che Domenico mena per cammino

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u’ ben s’impingua se non si vaneggia.

               
Questi che m’è a destra più vicino,   

               
frate e maestro fummi, ed esso Alberto

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è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.   

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