“Impaziente rispetto a cosa?”
“Oh... impaziente con la cameriera” disse arrossendo, colta di sorpresa, “e che il mio fidanzato non sia ancora guarito, non come io vorrei.”
“Ah, sì, il tai-pan, un bravissimo ragazzo, ma nipote di un grande nemico della vera Chiesa. Vi ha mai parlato di... del nonno, Dirk Struan?”
“Qualche aneddoto, Padre” sussurrò lei sempre più inquieta. “Con la mia cameriera sono stata impaziente...”
“Malcolm Struan è un bravo ragazzo, non come suo nonno. Gli avete chiesto di diventare cattolico?” Angélique sbiancò in viso. “Ne abbiamo parlato, si. Ma è una questione... molto delicata, credo sia bene non forzare la mano.”
“Certo, certo.” Padre Leo aveva sentito il respiro affannoso di Angélique, ne intuiva l'ansietà. “Ma è molto importante, per te e per lui.” Aggrottò le sopracciglia perchè l'esperienza gli diceva che la ragazza gli stava nascondendo molte cose. Niente di strano, pensò.
Stava per lasciare cadere l'argomento, quando all'improvviso gli balenò l'idea che Dio gli stesse offrendo l'opportunità di salvare un'anima e al tempo stesso compiere qualcosa di utile: la vita a Yokohama, diversamente da quella nell'amato e felice Portogallo, era noiosa, e offriva poche attività, oltre che pescare, mangiare, bere e pregare. La sua chiesa era piccola e squallida, il suo gregge sparuto e per nulla timorato di Dio, l'Insediamento una vera prigione.
“La questione è delicata ma va affrontata. La sua anima immortale è in pericolo. Pregherò perchè la tua azione di conversione abbia successo. I vostri figli saranno cresciuti nel seno della Madre Chiesa, ha già dato il suo consenso, non è vero?”
“Oh, Padre, abbiamo discusso anche di questo” rispose lei, sforzandosi di apparire disinvolta, “i nostri figli saranno cattolici.”
“Altrimenti li condannerete alle fiamme eterne. E la vostra anima immortale correrà lo stesso rischio.” Si rallegrò nel sentirla rabbrividire.
Bene, pensò, un colpo a favore di Dio e contro l'Anticristo. “Questa condizione dovrà essere concordata prima del matrimonio.” Ad Angélique batteva forte il cuore e la testa le doleva per l'apprensione, ma si sforzò di scacciare la paura. Credeva fermamente in Dio, nel diavolo, nella vita e nella dannazione eterne.
“Grazie per il vostro consiglio, Padre.”
“Parlerò io stesso con il signor Struan.”
“Oh, no, Padre, per favore, no” disse subito lei in preda al panico, “permettetemi di suggerirvi che sarebbe molto poco saggio.”
“Poco saggio?” Lui strinse le labbra e grattandosi distrattamente la barba infestata dai pidocchi, che la facevano da padroni anche tra i capelli e sotto la tonaca, giunse rapido alla conclusione che la conversione di Struan sarebbe stato un colpo per il quale valeva la pena di attendere e che richiedeva una strategia attenta.
“Pregherò per avere la guida del Signore e perchè la conceda anche a voi. Ma non dimenticate che siete entrambi minorenni. Credo che in assenza di vostro padre, il signor Seratard si possa legalmente considerare il vostro tutore. Prima di celebrare o di consumare il matrimonio dovrete ottenerne il consenso. Questo e altri problemi andranno tutti risolti prima, per la salvezza della vostra anima.”
Sorrise soddisfatto di sé. “Ora, per penitenza, reciterete dieci Ave Maria e leggerete le lettere di san Giovanni due volte entro domenica prossima. Continuate a invocare l'aiuto di Dio.”
“Grazie, Padre.” Grata che fosse tutto finito bene, con le mani sudate si fece il segno della croce e chinò il capo per ricevere la benedizione.
“In nomine Patri et Filii et Spiritu sancti, ego te absolvo.” La benedisse con il segno della croce.
“Pregate per me, figliola” aggiunse ponendo fine al rito, già pensando al dialogo con Malcolm Struan.
All'imbrunire Phillip Tyrer era seduto a gambe incrociate di fronte a Hiraga in una minuscola stanza privata di un altrettanto minuscolo ristorante, mezzo nascosto accanto alla casa dello shoya, l'anziano del villaggio.
Erano gli unici avventori, ed era la prima volta che Tyrer si accingeva a mangiare un vero cibo giapponese e in compagnia di un giapponese per di più. Aveva molta fame ed era pronto ad assaggiare tutto.
“Grazie di avermi invitato, Nakama-san.”
“Il piacere è mio, Taira-san. Permettetemi di osservare che il vostro accento è notevolmente migliorato. Prego, servitevi.” Sul basso tavolo che li separava la cameriera aveva disposto in un vassoio laccato molti piattini con pietanze diverse, alcune calde, altre fredde. Accanto alla stanza illuminata dalla piacevole luce delle lampade a olio e arredata con paraventi shoji, tatami, finestrelle scorrevoli aperte sulla crescente oscurità e, in un angolo, una composizione di fiori, ve n'era un'altra, anch'essa privata.
Il resto del ristorante, non molto più grande di un corridoio, con un cuoco, tre cameriere, gli sgabelli allineati, un braciere e le botti di sakè e di birra, si affacciava su un vicolo che sbucava sulla strada.
Hiraga e Tyrer indossavano kimono da casa, appena stretti in vita: per Tyrer una inusuale sensazione di comodità e per Hiraga un vero sollievo dopo gli abiti all'europea che aveva indossato tutto il giorno. Erano stati entrambi lavati e massaggiati nel padiglione del bagno li vicino.
“Prego, mangiate.”
Tyrer si sforzò di usare i bastoncini. All'ambasciata di Pechino gli avevano sconsigliato di mangiare il cibo cinese: “ ... a meno che non voglia farti avvelenare, vecchio mio. Quelle canaglie mangiano carne di cane e insetti, bevono bile di serpente, di tutto, secondo un mostruoso criterio: tutto quello che rivolge il dorso al cielo è commestibile. Che orrore!
Hiraga gli corresse il modo di tenere i bastoncini.
“Così”
“Grazie, Nakama-san, molto difficile.” Tyrer rise.
“Non ingrasso mangiare questo.”
“Non ingrasserò mangiando queste cose” lo corresse Hiraga con tono paziente. Aveva scoperto che insegnargli il giapponese lo divertiva. Tyrer era un alunno intelligente, con una notevole memoria e una buona predisposizione, e soprattutto era per lui un'incessante fonte di informazioni.
“Ah, scusa, non ingrasserò mangiando queste cose. Dimmi, che cibi sono questi?”
“Questo lo chiamiamo tempura, è pesce fritto in pastella.”
“Mi dispiace, cos'è “pastella?””
Tyrer ascoltava con attenzione e se anche molte parole gli sfuggivano, ne coglieva comunque il senso, d'altra parte sapeva che a Hiraga accadeva lo stesso con l'inglese.
Certo, pensò con un pò di amarezza, parliamo più spesso in inglese che in giapponese, ma non importa. Nakama è un ottimo insegnante e l'accordo che abbiamo trovato tutto sommato va piuttosto bene, senza di lui non sarei qui, né probabilmente sarei vivo, né mi sarei mai guadagnato la stima di Marlowe, Pallidar e zia Willie, oltre alle preziose informazioni che ci fornisce. Tyrer sorrise.
Era contento di pensare a sir William con il suo soprannome: fino a poche settimane prima ne era terrorizzato. “Ah, ora capisco. Pastella! Anche noi usiamo la pastella.”
“Cibo di tuo gusto, Taira-san?” chiese Hiraga in inglese.
“Sì, grazie.” Tyrer cercava di rispondere in giapponese.
“Grazie di tutto, del massaggio, del bagno, ora sono colmo... scusa, calmo e contento.”
Trovò alcuni piatti molto buoni, tempura e yakitori, quei bocconi già tagliati di pollo alla griglia con salsa dolce e salata. Gli piacque poi soprattutto l'anago, l'anguilla alla griglia con una salsa agrodolce tiepida.
I sushi, pezzetti di pesce crudo di diversi colori e consistenza avvolti nel riso, dapprima gli risultarono difficili da ingoiare, ma quando li immerse in una misteriosa salsa chiamata soy o soya li trovò gustosi.
In fin dei conti, pensò, mio padre mi ha consigliato di provare tutto: “Figlio mio, giacché insisti nel tuo drammatico proposito di diventare un interprete di giapponese, ti suggerisco di buttarti a conoscere il loro modo di vivere, il loro cibo e così via, certo senza dimenticare che sei un gentiluomo inglese, con tutti gli obblighi e i doveri che il tuo rango ti impone, fedeltà alla Corona, all'Impero e a Dio...”.
Chissà cosa direbbe il vecchio di Fujiko. Lei fa sicuramente parte del loro modo di vivere. Tyrer sorrise e indicò con il bastoncino: “Cos'è questo?”.
“Chiedo scusa, Taira-san, è cattiva educazione usare la punta sottile del bastoncino per indicare qualcosa.
Per favore usate l'altra punta. Questo è wasabeh.”
Prima che Hiraga riuscisse a fermarlo, Tyrer prese un ricciolo di crema verde e se lo mise in bocca. Cominciò ad annaspare, con le cavità del naso e della gola in fiamme, gli occhi pieni di lacrime, quasi accecato. Poi il bruciore tremendo finì lasciandolo boccheggiante.
“Dio mio” disse Hiraga imitando Tyrer e sforzandosi di non ridere, “Wasabeh non si mangia, si mette poco poco nella soya per fare piccante.”
“L'errore è stato mio.” Tyrer ansimò, con la gola ancora chiusa. “Dio mio, è letale, peggio del peperoncino! Prossima volta io stare attento.”
“Molto bene come inizio, Tairasan. E impari giapponese molto veloce, molto bene.”
“Domo, Nakama-san, domo.” Anche tu l'inglese.
Contento del complimento, Tyrer cercò di dar prova di maggiore destrezza. Prese un poco di tako, tentacolo di polipo a pezzetti. Anche con la soya e una punta di wasabeh, gli sembrò viscido come la gomma. “Questo molto saporito, mi piace molto.” Sono ancora affamato, pensò. Mangerei altre tre porzioni di pollo, un'altra ciotola di riso e altri venti gamberi tempura, Hiraga invece mangia come un bambino. Non importa, sono ospite di un samurai. E passata solo una settimana da quando lui ci ha fatto uscire indenni dalla Legazione di Edo, ne sono passate meno di sei da quando ho conosciuto André e già posso parlare un pò di giapponese e conosco i loro usi meglio di molti mercanti che sono qui da anni.
Se mantengo questo passo verrò nominato interprete ufficiale in pochi mesi e riceverò un salario da funzionario: quattrocento sterline all'anno! Evviva, banzai, come direbbero i giapponesi. Con il cambio attuale potrei permettermi un altro cavallo, ma prima...
Il suo cuore accelerò.
Prima comprerò il contratto di Fujiko, Nakama ha promesso di aiutarmi, così non ci saranno problemi. Me lo ha promesso. Magari cominciamo a discuterne già stasera. Grazie a Dio, Fujiko è tornata dalla visita alla nonna.
Forse non dovrei farlo, di domenica, ma non importa.
Karma.
Sospirò. Aveva imparato quella parola, una panacea per tutti gli avvenimenti, belli e brutti, al di fuori del controllo umano, da André e da Nakama. “Karma!”
“Come, Taira-san?”
“Niente. Il cibo è buono.”
“Il cibo è buono” lo imitò Hiraga. “Buono, grazie, io contento.” Ordinò ancora birra e sakè. Lo shoji si scostò e apparve il vassoio delle bevande portato da una cameriera dal viso allegro che sorrise a Hiraga e fece un timido cenno a Tyrer. Hiraga le toccò con disinvoltura il sedere.
“Ti piacerebbe farlo Sulla Montagna?”
“Eeeh, insolente! Sulla Montagna? No, e neanche Sotto la Montagna.
Ma per un oban d'oro posso forse Suonare il Flauto!”
Risero tutti e due della battuta: un oban d'oro era una cifra spropositata che solo una cortigiana d'alto rango avrebbe potuto chiedere per quella prestazione.
La cameriera versò il sakè, riempì la tazza di Tyrer e se ne andò.
“Cos'ha detto, Nakama-san?” Lui sorrise. “Molto spiacente, difficile spiegare, ancora conosco poche parole. Uno scherzo, scherzo uomo donna, capisci?”
“Wakarimasu. Chiesa, oggi, ti è piaciuta?” Con l'approvazione di Sir William e l'avido consenso del reverendo Michaelmas Tweet aveva fatto sgusciare Hiraga nella galleria della chiesa.
Con i vestiti all'occidentale che il sarto cinese gli aveva confezionato con la consueta alacrità e con il cilindro di castoro, Hiraga era stato scambiato per un euroasiatico ed era passato quasi inosservato. Ma non a Jamie McFay, che aveva strizzato l'occhio, discreto.
“Chiesa bella, anche tua spiegazione bella” disse Hiraga, che in verità stava ancora cercando di dare un senso alle spiegazioni di Tyrer e di capacitarsi della vista di tutti quegli uomini adulti e delle due donne ributtanti che cantando all'unisono si alzavano, si sedevano, borbottavano con solennità le loro preghiere e si prostravano davanti al loro stranissimo Dio.
Dopo la funzione Tyrer gli aveva spiegato che quel Dio era tre persone, il Padre, il Figlio, crocifisso come un criminale comune, e un kami. “So ka” esclamò Hiraga perplesso. “Così, Taira-san, lei di nome Madonna che non è Dio ha figlio Dio, ma lei non è Dio. E fa amore con kami che non è Dio ma come hatomoto di Dio con ali, che non è suo marito. Marito anche non Dio, ma suo padre, così padre di suo figlio è nonno, vero?”
“No, non hanno fatto l'amore. Vedi...”
Ascoltò ancora, fingendo di capire per poter interrogare Taira sull'inimicizia tra le due Chiese, perchè aveva notato che la donna di Ori non era presente e ne aveva chiesto la ragione. Due Chiese, di uguale potenza, e sempre in guerra tra loro! E Ori voleva che lasciassi perdere.
Baka!
E quando, con la testa dolorante per la concentrazione, aveva scoperto la ragione dello scisma, e il conseguente crescendo di odio, di omicidi di massa e di guerre fratricide, capì con certezza che in alcuni campi i gai-jin erano completamente matti, e molto vulnerabili.
La scissione era avvenuta solo perchè, trecento anni prima, un vecchio bonzo di nome Lutero aveva stabilito una diversa interpretazione di alcuni aspetti minori del dogma inventato da un altro bonzo quattordici o quindici secoli prima di lui.
Quell'uomo, chiaramente un pazzo, aveva decretato tra le altre cose che bisognava perseguire la povertà e che chi non faceva l'amore con le donne, dopo la morte andava per sempre in un posto chiamato Cielo, in cui non esisteva il sakè, né il cibo, né le donne, e diventava un uccello.
I barbari superano ogni immaginazione.
Chi mai vorrebbe andare in un posto del genere? E ovvio, quel vecchio bonzo era come tutti gli stupidi ambiziosi e scontenti che, dopo una vita spesa a fingersi casti, desiderano solo possedere alla luce del sole una moglie o una concubina, come gli altri uomini e i bonzi dotati di senno.
“Taira-san” disse titubante, “tu hai bisogno bagno, massaggio, sakè e cibo. Seguimi, prego.” In un primo tempo si era pentito di aver fatto quell'invito, perchè l'anziano del villaggio avrebbe scoperto che parlava inglese.