Gai-Jin (207 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Katsumata era soddisfatto, il suo piano era pronto: due shishi, la guardia e un altro, sarebbero partiti con lui al mattino per Yokohama.

Grazie al loro sacrificio e a quello di Hiraga, Takeda e Akimoto, sarebbe stato possibile incendiare l'Insediamento e affondare la nave provocando il cannoneggiamento e la distruzione di Edo nonché la catena di eventi che sarebbe seguita a quell'atto di guerra. All'ultimo momento lui si sarebbe occupato di dare fuoco alla chiesa, come aveva sempre progettato di fare, lasciando che fosse Hiraga a comandare la spedizione contro la nave, e in questo modo avrebbe potuto facilmente mettersi in salvo lasciando gli altri in trappola.

Accarezzò l'elsa della katana posata sulle sue ginocchia apprezzando il fine cuoio del rivestimento. Già si immaginava protagonista di quegli atti di terrorismo che avrebbero risvegliato sonno-joi dall'apatia in cui stagnava consegnando per sempre il comando dei nuovi shishi a lui e a Satsuma.

Yoshi e Anjo erano un bersaglio allettante ma meno succulento di Yokohama e perciò li aveva affidati ad altri shishi di Edo. Non essendovi uomini a sufficienza per sferrare un attacco frontale aveva escogitato un'imboscata. Le possibilità di successo erano scarse ma l'audacia dell'azione avrebbe comunque sortito un effetto incoraggiante.

Era necessario soltanto conoscere il momento esatto dell'arrivo del dottore. Se Meikin lo avesse informato che il gai-jin era atteso per l'indomani, Katsumata avrebbe avvisato gli shishi già istruiti che attendevano di compiere la missione suicida in una locanda dei dintorni, e poi sarebbe partito con i suoi due per Yokohama.

Un'imboscata tesa alle soglie del castello sarà di per sé un successo, si disse compiaciuto. Quest'azione e l'attentato di Yokohama garantiranno la vittoria di sonno-joi e renderanno fulgido il mio futuro. Se soltanto ci fosse più tempo per prepararla! Ah, il tempo! “Il tempo è un pensiero” aveva insegnato ai suoi studenti durante le lezioni di Zen, aprendo e chiudendo il pugno per illustrare la frase.

“Il tempo esiste e non esiste, è permanente e transitorio, è fisso e mobile, è necessario e superfluo, bisogna afferrarlo, poi aprite la mano e chiedersi: perché?” Dischiuse con solennità il palmo di una mano e lo guardò. Sorrise.

Che assurdità! Oh, quanto si sono strizzati il cervello quei giovani cercando un significato laddove non ve n'era alcuno, specialmente Ori e Hiraga, i miei studenti migliori, e futuri capi come speravo allora. Adesso Ori è morto e Hiraga è contaminato e infido.

Il rumore della tazza nell'acqua e il suono della cascata gli erano di grande conforto. Katsumata si sentiva pieno di vitalità, d'idee e di progetti; ancora una volta il futuro era dolce, non sentiva alcuna stanchezza e Meikin aveva molto tempo per mandargli...

Un'ombra si mosse tra i cespugli, poi un'altra, dal retro giunse un fruscio, lui impugnò la spada, balzò in piedi e si lanciò verso la porta segreta nascosta nella vegetazione, ma fu intercettato da tre uomini vestiti da ninja con le spade sguainate sbucati dall'oscurità.

Si girò subito su se stesso per scappare in un'altra direzione, ma vi trovò altri ninja, tutto il giardino ne era pieno, alcuni gli venivano incontro, altri aspettavano senza muoversi che fosse lui ad avvicinarsi. Si scagliò come impazzito contro quattro uomini che lo chiudevano a sinistra, ne uccise uno mentre gli altri si eclissavano misteriosamente come erano venuti.

All'improvviso sentì un lancinante dolore agli occhi: gli avevano gettato dell'acido sul volto.

Accecato, si lanciò contro il nemico con un grido rabbioso. L'orrore di essere stato accerchiato e ingannato gli dava una forza e una velocità sovrumane.

La sua spada affondò nella carne di un nemico che urlò quando il braccio gli si staccò dalla spalla.

Katsumata si accucciò e si lanciò in un nuovo disperato assalto, colpì a destra, a sinistra, poi ancora a destra, fece una finta e tentò di pulirsi gli occhi. Girando su se stesso sferrava colpì all'impazzata e si graffiava gli occhi.

Per un istante gli si schiarì la vista. Vide di fronte a sé una via di fuga e lo steccato. Il suo slancio disperato fu interrotto da un possente colpo alla nuca che lo fece barcollare. In un ultimo gesto disperato tentò di girare la spada per cadervi sopra ma un altro colpo gli spezzò il braccio allontanando la lama.

Gridò e perse conoscenza.

Il risveglio fu un tormento infernale di lampi rossi e verdi dentro gli occhi, non ci vedeva, sentiva solamente un martellamento incessante, nel petto in fiamme il cuore pulsava come per scoppiare e tutti i sensi erano intorpiditi. D'un tratto sussultò, colpito in viso da un getto d'acqua gelida. Un altro, un altro ancora, tossendo e ansimando riemerse dalle tenebre.

Il braccio gli faceva un male tremendo. L'osso rotto spuntava dalla carne. La violenza del dolore gli fece tornare la vista. Era disteso, impotente, inchiodato al terreno da quattro ninja.

Quando si tolsero la maschera capì che non erano veri ninja. Riconobbe Abeh, e Yoshi, vestito di scuro, ma diverso dagli altri attaccanti, una trentina, che lo circondavano silenziosi come la notte e il giardino tutt'intorno.

“Bene, Katsumata! Katsumata il Corvo, Katsumata lo shishi, il capo degli shishi e il protettore delle donne” disse Yoshi in tono carezzevole.

“Un vero peccato che tu sia vivo. Ti prego, dimmi la verità, Koiko faceva parte del complotto, neh?”

Poiché nel disperato sforzo di tornare in sé Katsumata non rispose con prontezza il samurai più vicino al suo braccio ruotò con forza l'osso rotto. Lo shishi gridò, la volontà d'acciaio che sempre aveva creduto di possedere se n'era andata insieme alla sua libertà. “Per favore, per favore...”

“Koiko faceva parte del tuo complotto?”

“Non era il mio complotto, sire, quel piano era suo e della mama-san, era suo, sire” balbettò lui distrutto, in preda a un dolore insopportabile e con il capo in fiamme al pari del braccio, “no... era... era suo, suo e della mama-san, signore, io non c'entravo niente, era suo e della mama-san Meikin, sono state loro, non io...”

“So ka? E Sumomo, la shishi fuggita con te nel cunicolo di Kyòto, te la ricordi? Ti ricordi Sumomo? Hai ricattato Koiko e a sua insaputa hai ordinato a Sumomo di uccidermi, non è vero?”

“Sumomo... sire? Non so chi sia... non ha niente a che vedere con me, niente...” Gridò ancora: il samurai che calpestava il suo braccio aveva cambiato posizione.

Yoshi sospirò e senza scomporre i lineamenti rigidi che facevano del suo volto una maschera si rivolse a Meikin, accanto a Inejin e fuori dalla vista di Katsumata. “Hai sentito il tuo accusatore, Meikin?”

“Sì, sire.

“ La donna si avvicinò tremante e con un filo di voce rispose: “Spiacente, è un bugiardo. Non abbiamo mai complottato contro di voi, mai, è un bugiardo. Siamo innocenti”. Guardò Katsumata con occhi pieni di odio, contenta di averlo tradito e di essere stata vendicata: la codardia che dimostrava e il fatto che fosse stato catturato vivo erano la migliore delle ricompense.

“Bugiardo!” esclamò, subito costretta a indietreggiare da uno scatto furioso e impotente di Katsumata. Un samurai lo colpì con brutalità e lui ricadde perdendo conoscenza e mormorando vaghi lamenti sotto gli occhi impietosì degli altri.

A Meikin pulsavano le tempie e in bocca le era salito un gusto amaro.

“Però, sire, spiacente, è vero, io lo conoscevo e lo conosceva anche la mia protetta perchè era un vecchio cliente, ma soltanto per questo. Era un vecchio cliente, però non sapevo chi fosse...” Esitò sforzandosi di trovare parole corrispondenti all'odio che provava. ”... o che cosa questo verme facesse.”

“Ti credo, Meikin. Bene, finalmente la verità. Bene. E poiché è un bugiardo sarai tu a occuparti di lui, ho già dato disposizioni.”

“Grazie, signore.”

“Fa' quello che ti dice” ordinò Yoshi ad Abeh, “poi portala fuori.” Seguito dai suoi che gli facevano da scudo si allontanò. Abeh e i tre che lo trattenevano rimasero intorno al ferito che stava riprendendo conoscenza. Meikin aspettò pregustando l'occasione di vendicare se stessa, Koiko e tutto il Mondo Fluttuante, una possibilità davvero rara.

“Per favore, spogliatelo” disse con calma. Ubbidirono. Si inchinò e mostrò a Katsumata il pugnale. Quel coltellino era più che sufficiente per lo scopo. “Traditore, non andrai a fornicare all'inferno, se un inferno esiste.”

Mentre le urla di Katsumata si spegnevano Meikin lo evirò come si fa con i maiali. “Ecco che cosa sei” mormorò. Ripulì il coltello e con la mano ancora insanguinata lo ripose nel suo obi.

“Datelo a me” disse Abeh, orripilato per quella vendetta. Meikin gli porse silenziosamente il pugnale e lo seguì nel cortile in mezzo agli altri.

Yoshi la stava aspettando. La donna si inginocchiò sul terreno. “Grazie, signore. Credo che prima di andarsene si sia pentito di avervi tradito, di aver tradito tutti noi. Grazie.”

“E tu, Meikin?”

“Io non vi ho mai tradito, vi ho detto la verità, tutto quello che sapevo e questa sera vi ho consegnato il traditore.”

“Allora?” Lei lo guardò senza timore negli occhi.

Non si lasciò turbare dalla spietatezza fuori dal comune del suo sguardo e preferì considerarlo un uomo, uno dei mille clienti e dei tanti funzionari che aveva affrontato con coraggio nella vita, per denaro o per piacere, per sé o per la sua casa.

“E tempo di andare, signore.” Estrasse dalla manica una fialetta.

“Posso farlo qui se desiderate, ho scritto la mia poesia di morte e il Gyokoyama si è preso la casa del Glicine. Ma io appartengo al Mondo Fluttuante” disse con fierezza, “e non è onorevole morire con le vesti e le mani sporche di sangue. Desidererei andarmene pulita. Vorrei prima tornare a casa. E' il mio ultimo desiderio, sire: un bagno e degli abiti puliti.

Prego?”

Capitolo 56


 

Yokohama, Martedì, 13 gennaio

 

Nella luce del primo mattino Angélique e gli altri cavalieri facevano correre i loro pony nell'ippodromo di Yokohama.

Lei cavalcava da sola al piccolo galoppo, quasi senza accorgersi dei compagni. Il circuito era affollato e tutti tenevano gli occhi su di lei pensando alle forti scommesse già fatte.

Era in ritardo di almeno un giorno.

“Edward, è incinta, non è così?” disse Pallidar che cavalcava accanto a Gornt sull'altro lato del prato.

“E in ritardo, vero?”

“Sì, signore, perlomeno secondo i calcoli.”

Gornt la guardò in lontananza meditando la mossa successiva.

Angélique montava il pony nero regalatole da Malcolm, indossava un costume da amazzone nero molto aderente, stivali neri e un cappello con la veletta.

“Ha un buon sarto, non le ho mai visto quel completo.”

“Sì, e sta in sella molto bene” osservò Pallidar.

Risero entrambi. “Monta come una dea, non c'è dubbio, è aggraziata come una bellezza del Sud.”

“Seriamente, voi cosa pensate? Voglio dire, le previsioni sono contrastanti, pochi di noi ne sanno qualcosa, voglio dire, non abbiamo dimestichezza con questo genere di faccende femminili. Ci avete scommesso del denaro?” Non puoi immaginare quanto, pensò Gornt. “Ieri l'ho chiesto senza mezzi termini a Hoag.”

“Buon Dio, davvero? Io non ne avrei mai avuto il coraggio, amico.” Pallidar avvicinò il cavallo, un castrato grigio dei dragoni una spanna più alto del pony di Gornt. “Cos'ha detto?”

“Che ne sa quanto noi. Lo conoscete, gli si può credere.” Gornt nascose l'impazienza, Angélique gli mancava. Avevano concordato di evitarsi finché lei non fosse stata sicura di non essere incinta perchè nel frattempo non era possibile prendere alcuna iniziativa, anche fino al secondo mese. “Il dottore mi ha detto che dovrebbero venirle l'undici o il dodici, forse qualche giorno più tardi... ma non molti di più. E che se non le arrivano è incinta.”

“Cristo! Vi rendete conto di quello che significa? Poveretta, essere incinta nella sua condizione e con Tess e tutti quei problemi a Hong Kong non sarà facile, e lo sarà ancora meno se non lo è, a sentire quello che si dice in giro. Non saprei che cosa augurarle.” Dal promontorio sovrastante l'ippodromo giunsero degli squilli di tromba provenienti dall'accampamento, nelle cui tende erano alloggiati un migliaio di soldati.

“Dannazione” mormorò Pallidar.

“Cos'è?”

“E una chiamata alla base. Il generale dev'essersi svegliato con i postumi di una sbronza e la vuole scaricare su tutti noi.”

“Andate con sir William domani?”

“A Kanagawa per l'incontro con Yoshi?

Credo di si. Di solito sono io il cane da guardia. Adesso è meglio che vada. Cenerete con me alla mensa questa sera?”

“Grazie, con piacere.” Gornt osservò Pallidar girare il cavallo con eleganza e lanciarlo al galoppo per raggiungere gli altri ufficiali che abbandonavano il circuito.

Dall'Insediamento stava arrivando Hoag. Il dottore cavalcava bene e, nonostante la stazza, in sella era a suo agio.

Deciso a raggiungerlo Gornt spronò al piccolo galoppo il suo pony, uno stallone bruno, il migliore della scuderia della Brock, poi cambiò idea.

Per quel giorno aveva cavalcato abbastanza. L'avrebbe comunque saputo presto, Hoag non era in grado di tenere un segreto del genere.

Prima di lasciare la pista salutò da lontano Angélique e gridò: “'Giorno, signora, vedervi è come una gioia in una giornata triste”.

Distolta dal suo mondo interiore lei alzò gli occhi. “Oh, grazie, signor Gornt.”

La palese malinconia del suo sguardo lo preoccupò, ma fu subito rincuorato da un sorriso e proseguì soddisfatto. Meglio non farle fretta.

Lasciamole scoprire se è incinta o no. A me va bene in entrambi i casi.

Angélique era stata felice di vederlo, l'ammirazione che Gornt le dimostrava, la sua eleganza e la sua virilità la confortavano. La tensione solitaria dell'attesa, la necessità di chiudersi nel lutto e di custodire tanti segreti cominciavano a logorarla. Le cavalcate di prima mattina, qualche rara passeggiata, la lettura di tutti i libri nuovi reperibili e le conversazioni con Vargas sulla seta e i bachi da seta erano le uniche distrazioni che si concedeva. Poi vide Hoag.

Hoag! Continuando al galoppo lo avrebbe raggiunto. Per evitarlo le sarebbe bastato andare al trotto, o, ancora meglio, girare il cavallo e tornare a casa. “Buongiorno, monsieur le docteur, come state?”

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