Una spia gai-jin ci ha offerto i loro piani d'attacco in cambio di denaro.” Yoshi si fece attento. “Non saranno falsi?”
“Non lo so, sire, ma si dice che descrivano i movimenti delle truppe e della flotta. Nonostante il prezzo richiesto fosse modesto l'ufficiale della Bakufu non li ha voluti comprare subito e ha cominciato a contrattare spaventando il venditore. E
Anjo ...”
La sua bocca riarsa si contorse in una smorfia di disgusto nel pronunciare quel nome. “E' baka, indegno! Se la testa è marcia il corpo è più marcio ancora.”
“Sono d'accordo. Sono stati stupidi.” Inejin annuì. “Continuano a dimenticare Sun-tzu, sire: Restare all'oscuro della condizione del nemico per aver lesinato qualche centinaia di once d'argento è la più grande barbarie. Per fortuna un informatore me ne ha parlato.” Inejin si sfilò un rotolo dalla manica e lo posò sul tavolo.
Yoshi emise un sospiro di contentezza. “Soka!”
“Grazie al mio informatore posso offrirvi questo in dono, sire. Con grave rischio per il mio informatore ho anche disposto la sostituzione del rotolo con una copia falsificata che la Bakufu alla fine comprerà a poco prezzo.”
Yoshi guardò il rotolo con curiosità ma non lo toccò. “Per favore concedetemi di rimborsarvi” disse. Inejin, che per ottenere il denaro necessario all'acquisto aveva impegnato la sua locanda al Gyokoyama nascose il grande sollievo che l'offerta gli procurava. “Rivolgetevi oggi stesso al mio cassiere.
Posso fidarmi di questa informazione?” Inejin alzò le spalle. Conoscevano entrambi il famoso insegnamento di Sun-tzu: La spia più pericolosa è quella che vende i segreti in cambio di denaro. Soltanto un uomo di genio riesce a penetrarne le intenzioni. “Il mio informatore giura che ci si può fidare sia dell'informazione sia della spia.”
“E com'è questa informazione?”
“Il piano dei gai-jin è terribilmente semplice. Dieci giorni dopo la dichiarazione del loro ultimatum, se non sarà stato rispettato, la flotta si dirigerà a Edo.
Il primo giorno le navi attaccheranno i bersagli più lontani, nell'entroterra, usando la massima gittata dei cannoni pesanti per colpire tutti i ponti e le strade di accesso a Edo, di cui conoscono la posizione precisa grazie alle informazioni ricevute dal traditore Hiraga.
Quella notte stessa alla luce degli incendi che saranno divampati bombarderanno il castello.
L'indomani faranno fuoco sulle zone costiere. Il terzo giorno sbarcheranno un migliaio di fucilieri che cercheranno di raggiungere le porte del castello. Andranno all'assalto con i mortai, abbatteranno i cancelli e i ponti d'accesso e tenteranno di distruggere il corpo centrale. Il quinto giorno si ritireranno.”
“Dove andranno, a Yokohama?”
“No, sire. Secondo il piano tutti i gai-jin saranno evacuati il giorno precedente all'attacco e ripareranno a Hong Kong fino alla primavera.
Poi torneranno in forze.
Il costo della guerra, come già è accaduto nelle guerre cinesi e come è loro costume imporre, verrà raddoppiato e ne chiederanno il risarcimento allo shògunato e all'imperatore, pretendendo altresì in cambio della cessazione delle ostilità l'accesso senza limitazioni all'intero territorio giapponese, Kyòto inclusa, e la concessione a tempo indeterminato di un'isola.”
Yoshi fu percorso da un brivido. Se quei barbari sono riusciti a umiliare la Cina, la Madre del Mondo, alla fine umilieranno anche noi.
Un accesso illimitato al nostro territorio? “E l'ultimatum che cosa dice?
Quale ennesima impertinenza contiene?”
“Non è scritto nel rotolo, sire, ma la spia ha promesso di darmene i dettagli insieme alla data prevista per l'attacco e alle eventuali variazioni del piano.”
“Comprate quelle informazioni a qualsiasi costo. Se sono vere ci permetteranno di elaborare un'adeguata difesa.”
“Certo, sire. Riguardano anche le contromisure che i gai-jin intendono adottare contro i nostri brulotti.”
“Ma secondo Anjo erano un segreto!”
“Non per loro. La Bakufu è come un setaccio da riso, oltre che essere corrotta, sire.”
“Voglio i nomi, Inejin, impalerò quei traditori.”
“Cominciate da oggi, sire. Cominciate dal vertice.”
“Sarebbe alto tradimento.”
“Ma è la verità, sire. Diversamente da tutti gli altri capi che abbia mai conosciuto a voi piace la verità, non la menzogna.” Inejin spostò il ginocchio, che gli doleva in modo insopportabile. “La storia di questo informatore è complicata, sire. E' stata Meikin a raccontarmi di lui...” Yoshi sobbalzò. “Sì, lo so, ma è stata Meikin. E' stata lei a convincere l'intermediario a passare le informazioni a me anziché alla Bakufu e sarà lei a sostituire con grande rischio il falso documento e a garantirne l'autenticità presso di loro. Meikin farebbe qualsiasi cosa per dimostrarvi la sua lealtà.”
“Quale lealtà se la sua casa è un rifugio degli shishi, di Katsumata, una palestra di traditori?”
“Meikin giura che né lei né la signora hanno mai fatto parte del complotto contro di voi.”
“Che altro potrebbe dire? A chi dà la colpa, alla cameriera?”
“Forse dice il vero, forse no, ma dato il suo dolore potrebbe essersi pentita dell'errore commesso, sire. Una spia convertita potrebbe tornare utile.”
“Per esserne sicuro vorrei vedere la testa di Katsumata o, meglio ancora, vederlo vivo.” Inejin rise, si chinò e abbassò il tono di voce. “Vi suggerisco di farvi dare da Meikin le informazioni sul traditore Hiraga prima di chiedere la testa di Katsumata.”
“E quella di lei.”
“La testa infilzata di una donna, giovane o vecchia, non è bella a vedersi, sire. E' un'antica verità. Meglio lasciargliela sulle spalle e usare a vostro vantaggio il veleno, la saggezza, l'astuzia o anche soltanto la inevitabile cattiveria che ogni donna del genere possiede.”
“E come?”
“Prima di tutto facendovi consegnare Katsumata. Hiraga è un problema più complicato. Meikin dice che è amico intimo di un importante addetto inglese vicino al loro capo. Si chiama Taira.” Yoshi si accigliò. Un altro auspicio? Anche la parola taira aveva un corrispettivo in giapponese, era il nome di un'antica famiglia reale imparentata con la stirpe di Yoshi Serata. “Continuate.”
“Questo Taira è un addetto, un apprendista interprete. Parla già bene il giapponese: gli inglesi devono avere una scuola come quella che voi avete proposto e che la Bakufu “ha preso in considerazione”.”
“Preso in considerazione, eh? Taira, avete detto?
E' un giovane di aspetto sgradevole, con gli occhi azzurri, un naso enorme e i capelli lunghi come steli di riso?”
“Sì, lui.”
“L'ho visto all'incontro con gli Anziani. Continuate.”
“Meikin ha sentito dire che Taira impara la nostra lingua molto velocemente grazie all'aiuto di una prostituta, Fujiko, ma soprattutto di Hiraga, che si è tagliato i capelli come un gai-jin e indossa gli abiti dei gai-jin.” Il vecchio esitò: gli piaceva centellinare le informazioni.
“Sembra che Hiraga sia il nipote di un importante shoya choshu cui è stato concesso di acquistare il titolo di goshi per i suoi figli, uno dei quali, il padre di Hiraga, è diventato un hirazamurai. Hiraga è stato ammesso alla scuola segreta di Choshu dove grazie ai suoi meriti gli è stato insegnato l'inglese.” Rise tra sé per l'espressione di stupore del suo signore.
“Allora la spia non è un gai-jin, è Hiraga.”
“No, signore, ma Hiraga potrebbe diventare a sua volta una preziosa fonte di informazioni se riuscissimo a convincerlo.”
“Uno shishi che collabora con noi?” sogghignò Yoshi. “Impossibile.”
“Il vostro incontro di ieri sulla nave furansu è stato utile, sire?”
“E' stato molto interessante.” Era impossibile tenere segreta un'impresa di quel genere, e Yoshi si compiacque che Inejin ne fosse venuto a conoscenza così tempestivamente. All'incontro erano presenti Abeh e sei dei suoi uomini. Chi di loro aveva parlato? Non aveva importanza.
Se lo aspettava. E comunque non aveva detto niente di compromettente.
“Abeh!” gridò.
“Sire?”
“Fammi portare del sakè e del tè.” Valutò in silenzio le informazioni ricevute e rifletté sulle nuove domande. La cameriera arrivò, versò da bere a entrambi e subito si congedò. Poi Yoshi riprese: “Che cosa proponete?”.
“Non sta a me proporre quello che avete sicuramente già deciso, sire, ma credo che qualora il capo degli inglesi dia l'ultimatum voi siate la persona più adatta per trattare. Da solo, sire.”
“Ah! E poi?”
“Tra le altre cose potreste chiedere di vedere Hiraga, per soppesarlo ed eventualmente convincerlo ad allearsi con voi. Poi lo userete a vostro vantaggio.”
“Valuterò il vostro consiglio, Inejin” disse Yoshi, che aveva già scartato l'ipotesi a favore di un'idea più adatta al piano discusso con Ogama a Kyòto e al suo bisogno di avviare il grande progetto. “Oppure potremmo servirci di Hiraga come esempio per tutti gli altri. Catturate Katsumata, è lui il capo degli shishi. Se Meikin è in grado di consegnarcelo vivo tanto meglio per lei.” A poche miglia di distanza, a Hodogaya, una stazione di cambio sulla Tokaidò, Katsumata osservava la folla dalla finestra di una casa da tè.
“Sii paziente, Takeda” disse, “Hiraga arriverà come previsto a metà mattinata. Sii Paziente.”
“Odio questo posto” rispose Takeda. Si trovavano nella Locanda della Prima Luna dove già Katsumata aveva alloggiato con il daimyo Sanjiro dopo che Ori e Shorin avevano aggredito i gai-jin sulla Tokaidò.
Quel villaggio, a circa tre miglia dall'Insediamento di Yokohama, era in aperta campagna e non offriva molti rifugi. “E se non arrivasse?” Il giovane si grattò il capo con fastidio: non si rasava da prima della loro fuga da Kyòto e adesso aveva il mento e la testa coperti da un'ispida peluria.
“Arriverà, se non oggi domani. Devo vederlo.” I due uomini si nascondevano nella locanda da una settimana. Il viaggio da Kyòto era stato difficile e pieno di insidie. “Sensei, questo posto non mi piace, non mi piace nemmeno il cambiamento apportato al piano. Per continuare la lotta dovremmo andare a Edo o forse tornare indietro, rientrare a casa.”
“Sei libero di proseguire o di tornare a Choshu” rispose Katsumata.
“Ma se osi lamentarti ancora una volta sarò io a cacciarti!” Takeda si scusò subito ma non si perse d'animo: “A Kyòto abbiamo perso troppi uomini e non abbiamo notizie degli shishi di Edo. Chiedo scusa, si, ma continuo a pensare che avremmo dovuto tornare a casa, io a Choshu e voi a Satsuma, come gli altri sopravvissuti, per riunirci in un secondo tempo”.
“Hodogaya è un posto perfetto e qui siamo al sicuro.”
Appena informato della taglia che Yoshi aveva messo sulla sua testa, Katsumata aveva prudentemente deciso di non proseguire. “Partiremo domani o dopodomani” disse, contento di essere protetto da quel giovane coraggioso.
“Prima Hiraga.” Mettersi in contatto con Hiraga era stato difficile e pericoloso. A poche persone era consentito di attraversare le barriere o di entrare nello Yoshiwara.
I lasciapassare e le parole d'ordine venivano sostituiti di continuo, tutte le strade erano pattugliate dai samurai della Bakufu sicché Yokohama era praticamente isolata dal resto del territorio.
Dopo qualche giorno di ricerca Katsumata aveva trovato una cameriera la cui sorella faceva la levatrice e ogni tanto si recava allo Yoshiwara. In cambio di un oban d'oro la levatrice aveva accettato di portare un messaggio alla mama-san della Casa delle Tre Carpe.
“Takeda, tu rimani qui e continua a fare la guardia. Aspetta con pazienza.” Katsumata scese nel giardino, uscì dal cancello e si avviò sulla Tokaidò. La strada brulicava di viaggiatori mattutini, palanchini, portatori, indovini, scrivani, samurai a piedi o a cavallo e qualche raro pony cavalcato da donne.
La gente parlava, gridava, strillava. Per difendersi dal freddo tutti indossavano giacche imbottite e avevano il capo coperto da calde sciarpe o da cappelli. Alcuni samurai si accorsero di Katsumata ma evitarono di guardarlo con insistenza: la sua andatura, i capelli sporchi e il volto non rasato, la lunga spada nel fodero sulla schiena e quella infilata nella cintura potevano essere i segni distintivi di un ronin: meglio non provocarlo.
Arrivato al confine del villaggio, prima della barriera, scelse uno spiazzo che offriva una buona vista sul mare e su Yokohama e lì si sedette sulla panca di un chiosco di ristoro.
“Voglio un tè e bada che sia appena fatto e ben caldo.”
Terrorizzato, il padrone si affrettò a ubbidire.
All'Insediamento alcuni mercanti a cavallo attraversavano il ponte, sollevavano educatamente i cappelli o agitavano i frustini in risposta ai brevi inchini delle guardie della porta Nord. Intorno passeggiavano mercanti, soldati, marinai e sfaccendati della Città Ubriaca che si godevano la mattina di festa.
Era il primo dell'anno.
Nel pomeriggio, dopo le corse, le squadre della marina e dell'esercito si sarebbero affrontate in una partita di calcio. Nonostante il freddo la giornata era piacevole, con una leggera brezza che teneva lontano l'odore dell'inverno, delle alghe marcescenti sulla spiaggia e dei rifiuti abbandonati nell'entroterra.
A poca distanza da Jamie McFay, Hiraga cavalcava con il volto semicoperto da una sciarpa, il cappello calato sugli occhi e impeccabili abiti da cavallerizzo.
Quella passeggiata era un regalo di Jamie per aver fatto da interprete al suo incontro con lo shoya e per le informazioni commerciali ricevute da lui. Tyrer e sir William, che non avrebbero approvato la gita, non ne erano stati informati.
Il giorno prima Hiraga si era congedato da McFay dicendo: “Altre domande domani a cavallo, Jami-sama. Io devo andare, andare a Hodogaya, a incontrare mio cugino. Per favore?”.
“Perché no, Nakama, vecchio mio.” McFay, che non visitava il villaggio da mesi benché fosse parte del territorio dell'Insediamento, aveva accolto con piacere la scusa di accompagnarlo.
Dopo l'aggressione a Canterbury e a Malcolm Struan i mercanti evitavano di avventurarsi tanto lontano senza una scorta militare.
McFay era di ottimo umore.
L'estratto conto della sua banca di Edimburgo giunto con l'ultimo postale rivelava una posizione finanziaria migliore di quanto non si aspettasse, una cifra più che sufficiente a consentirgli di avviare una modesta attività. Era anche contento che la Nobil Casa fosse in buone mani perchè da Shanghai era arrivato il nuovo direttore, Albert MacStruan. Jamie lo aveva conosciuto a Hong Kong tre anni prima quando MacStruan si era appena inserito nella compagnia.