Paradiso (72 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Poscia che ’ncontro a la vita presente   

               
d’i miseri mortali aperse ’l vero   

3
             
quella che ’mparadisa la mia mente,   

               
come in lo specchio fiamma di doppiero   

   

               
vede colui che se n’alluma retro,

6
             
prima che l’abbia in vista o in pensiero,

               
e sé rivolge per veder se ’l vetro

               
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda   

9
             
con esso come nota con suo metro;

               
così la mia memoria si ricorda   

               
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi

12
           
onde a pigliarmi fece Amor la corda.   

               
E com’ io mi rivolsi e furon tocchi   

               
li miei da ciò che pare in quel volume,   

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quandunque nel suo giro ben s’adocchi,   

               
un punto vidi che raggiava lume   

               
acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca

18
           
chiuder conviensi per lo forte acume;

               
e quale stella par quinci più poca,

               
parrebbe luna, locata con esso

21
           
come stella con stella si collòca.

               
Forse cotanto quanto pare appresso   

   

               
alo cigner la luce che ’l dipigne

24
           
quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,

               
distante intorno al punto un cerchio d’igne   

               
si girava sì ratto, ch’avria vinto

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quel moto che più tosto il mondo cigne;   

               
e questo era d’un altro circumcinto,   

               
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,

30
           
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

               
Sopra seguiva il settimo sì sparto   

               
già di larghezza, che ’l messo di Iuno

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intero a contenerlo sarebbe arto.

               
Così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno   

               
più tardo si movea, secondo ch’era

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in numero distante più da l’uno;

               
e quello avea la fiamma più sincera   

               
cui men distava la favilla pura,

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credo, però che più di lei s’invera.

               
La donna mia, che mi vedëa in cura

               
forte sospeso, disse: “Da quel punto   

   

42
           
depende il cielo e tutta la natura.

               
Mira quel cerchio che più li è congiunto;   

               
e sappi che ’l suo muovere è sì tosto

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per l’affocato amore ond’ elli è punto.”

               
E io a lei: “Se ’l mondo fosse posto   

               
con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,

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sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;

               
ma nel mondo sensibile si puote

               
veder le volte tanto più divine,

51
           
quant’ elle son dal centro più remote.

               
Onde, se ’l mio disir dee aver fine   

               
in questo miro e angelico templo

54
           
che solo amore e luce ha per confine,

               
udir convienmi ancor come l’essemplo   

               
e l’essemplare non vanno d’un modo,

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ché io per me indarno a ciò contemplo.”

               
“Se li tuoi diti non sono a tal nodo   

               
sufficïenti, non è maraviglia:

60
           
tanto, per non tentare, è fatto sodo!”

               
Così la donna mia; poi disse: “Piglia

               
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;

63
           
e intorno da esso t’assottiglia.

               
Li cerchi corporai sono ampi e arti   

               
secondo il più e ’l men de la virtute

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che si distende per tutte lor parti.

               
Maggior bontà vuol far maggior salute;

               
maggior salute maggior corpo cape,

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s’elli ha le parti igualmente compiute.

               
Dunque costui che tutto quanto rape

               
l’altro universo seco, corrisponde

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al cerchio che più ama e che più sape:   

               
per che, se tu a la virtù circonde

               
la tua misura, non a la parvenza

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de le sustanze che t’appaion tonde,

               
tu vederai mirabil consequenza

               
di maggio a più e di minore a meno,

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in ciascun cielo, a süa intelligenza.”

               
Come rimane splendido e sereno   

               
l’emisperio de l’aere, quando soffia

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Borea da quella guancia ond’ è più leno,

               
per che si purga e risolve la roffia

               
che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride

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con le bellezze d’ogne sua paroffia;

               
così fec’ïo, poi che mi provide

               
la donna mia del suo risponder chiaro,

87
           
e come stella in cielo il ver si vide.   

               
E poi che le parole sue restaro,   

               
non altrimenti ferro disfavilla

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che bolle, come i cerchi sfavillaro.

               
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;   

               
ed eran tante, che ’l numero loro

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più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.

               
Io sentiva osannar di coro in coro   

               
al punto fisso che li tiene a li
ubi
,   

96
           
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.

               
E quella che vedëa i pensier dubi   

               
ne la mia mente, disse: “I cerchi primi   

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t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.

               
Così veloci seguono i suoi vimi,

               
per somigliarsi al punto quanto ponno;

102
         
e posson quanto a veder son soblimi.

               
Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,   

   

               
si chiaman Troni del divino aspetto,   

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per che ’l primo ternaro terminonno;   

               
e dei saper che tutti hanno diletto   

               
quanto la sua veduta si profonda

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nel vero in che si queta ogne intelletto.

               
Quinci si può veder come si fonda   

               
l’esser beato ne l’atto che vede,

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non in quel ch’ama, che poscia seconda;

               
e del vedere è misura mercede,   

               
che grazia partorisce e buona voglia:

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così di grado in grado si procede.

               
L’altro ternaro, che così germoglia   

   

               
in questa primavera sempiterna   

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che notturno Arïete non dispoglia,

               
perpetüalemente
‘Osanna’
sberna   

   

               
con tre melode, che suonano in tree

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ordini di letizia onde s’interna.

               
In essa gerarcia son l’altre dee:   

               
prima Dominazioni, e poi Virtudi;

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l’ordine terzo di Podestadi èe.

               
Poscia ne’ due penultimi tripudi   

               
Principati e Arcangeli si girano;

126
         
l’ultimo è d’Angelici ludi.

               
Questi ordini di sù tutti s’ammirano,   

               
e di giù vincon sì, che verso Dio   

129
         
tutti tirati sono e tutti tirano.

               
E Dïonisio con tanto disio   

               
a contemplar questi ordini si mise,   

132
         
che li nomò e distinse com’ io.

               
Ma Gregorio da lui poi si divise;   

               
onde, sì tosto come li occhi aperse

135
         
in questo ciel, di sé medesmo rise.   

               
E se tanto secreto ver proferse   

               
mortale in terra, non voglio ch’ammiri:

               
ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse

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con altro assai del ver di questi giri.”

PARADISO XXIX

               
Quando ambedue li figli di Latona,   

   

   

               
coperti del Montone e de la Libra,

3
             
fanno de l’orizzonte insieme zona,

               
quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra   

               
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,

6
             
cambiando l’emisperio, si dilibra,

               
tanto, col volto di riso dipinto,   

               
si tacque Bëatrice, riguardando

9
             
fiso nel punto che m’avëa vinto.   

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