Moll Flanders (Collins Classics) (47 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Per questa parte dei suoi servigi il capitano ci domandò seimila misure di tabacco, che disse di dovere al suo armatore, e che noi subito comprammo per lui, e di ciò fu più che soddisfatto.

Non è opportuno che io mi spinga a dire in particolare in quale parte della colonia della Virginia ci stabilimmo, per diverse ragioni; sarà sufficiente dire che entrammo nel grande fiume Potomac, dov’era diretta la nave; e lì avremmo dapprima voluto stabilirci, anche se poi cambiammo idea.

La prima cosa di una certa importanza che feci, dopo avere fatto sbarcare tutte le nostre mercanzie e averle fatte mettere in un deposito o magazzino, che, insieme a un alloggio, prendemmo in affitto nel piccolo posto o villaggio dove sbarcammo — ripeto, la prima cosa fu chiedere informazioni di mia madre e di mio fratello (il fatale personaggio che avevo preso per marito, come ho già diffusamente raccontato). Una piccola indagine mi condusse ad apprendere che la signora…, e cioè mia madre, era morta; mio fratello (ovvero marito) era vivo, cosa che confesso non fui lieta di sapere; ma quel che era peggio appresi che se ne era andato dalla piantagione dove prima viveva e dove ero vissuta io con lui, e abitava adesso con uno dei figli in una piantagione proprio vicinissima al luogo dove eravamo sbarcati noi e avevamo preso in affitto il magazzino.

Io rimasi dapprima molto stupita, ma siccome potevo esser certa che non era in grado di riconoscermi, non solo fui tranquillissima, ma mi venne una gran voglia di rivederlo, se era possibile, senza che mi vedesse lui. A questo scopo scovai, informandomi, la piantagione dove lui stava, e, in compagnia di una donna del luogo che presi per assistermi, una di quelle che si chiamano tuttofare, me ne andai a spasso da quelle parti come se volessi soltanto vedere la campagna e dare un’occhiata in giro. Alla fine, arrivai tanto vicina da vedere la casa dove abitavano. Domandai alla donna di chi era quella piantagione; lei disse che apparteneva al tale, e dando un’occhiata sulla nostra destra, “Eccolo lì,” dice, “il signore che è proprietario della piantagione, e con lui c’è il padre.”

“Quali sono i loro nomi di battesimo?” dissi io.

“Quello del vecchio non lo so,” disse lei, “ma quello del figlio è Humphry; e mi pare,” dice, “che si chiami così anche il padre.”

Figuratevi, se potete, quale confuso miscuglio di gioia e di spavento si impadronì dell’animo mio, perché immediatamente compresi che quello non era altri che mio figlio, vicino a quel padre che la donna mi mostrava, e che era mio fratello. Non avevo maschera, ma mi abbassai tanto il cappuccio sul volto da poter star certa che, dopo oltre vent’anni d’assenza, e per di più non aspettandosi certo di vedermi in quella parte del mondo, non mi riconoscesse. Ma non c’era bisogno di tante precauzioni, perché il vecchio signore era diventato di corta vista per una malattia che gli era venuta agli occhi, e ci vedeva appena tanto da camminare senza sbatter contro gli alberi o cadere nei fossi. La donna che era con me lo aveva detto per pura combinazione, senza sapere com’era importante per me.

Come s’avvicinavano a noi io dissi: “Vi conosce, signora Owen?” (così si chiamava quella).

“Sì,” disse lei, “mi conosce se mi sente parlare, ma non ci vede abbastanza da riconoscere né me né altri.” E mi raccontò la storia della sua vista come ho riferito. Questo mi rassicurò, e perciò, riaperto il cappuccio, li lasciai passarmi accanto.

Era tremendo per una madre vedere a quel modo il proprio figlio, un giovine signore bello e prestante, in fiorente condizione, e non potersi azzardare a farsi riconoscere né a interessarsi di lui. Consideri ciò ogni madre che legge, e pensi quale angoscia mi dovette occupare l’animo; qual desiderio avevo di abbracciarlo e di piangergli addosso e in qual modo mi parve di sentirmi rivoltare le viscere dentro: da torcermi le interiora, e non sapevo che fare, come neppure adesso so esprimere la sofferenza che provai! Quando lui si allontanò da me, io restai fissa e tremante, a guardarlo fin quando potei vederlo; poi mi stesi sull’erba, in un posto che avevo notato, finsi di sdraiarmi per riposarmi, ma, volgendo le spalle a quella donna, e tenendo la faccia in terra, piansi, e baciai il suolo dove aveva posato il piede lui.

Non riuscii a nascondere a quella donna il mio turbamento, tanto che lei se ne accorse e pensò che mi sentissi male, e io fui costretta a fingere che fosse vero; al che, lei mi forzò ad alzarmi perché il terreno era umido e pericoloso, e io così feci, e ce ne andammo via.

Sulla via del ritorno, continuando io a parlare di quel signore e del figlio, ebbi un altro motivo di dispiacere. La donna incominciò, come se volesse raccontarmi la storia per divertirmi: “Circola,” dice, “una storia molto curiosa, dalle parti dove abitava prima quel signore.”

“Di che si tratta?” io dissi.

“Ecco,” dice, “che il vecchio, andato in Inghilterra quand’era giovanotto, s’innamorò di una giovane, una delle donne più belle che si siano mai viste, la sposò, e la condusse qui da sua madre che allora era viva. Visse diversi anni con lei,” continuò, “ed ebbe da lei parecchi figli, uno dei quali è il signore che adesso era con lui; ma, dopo qualche tempo, quando la vecchia signora, la madre, parlò alla nuora di certe cose che la riguardavano di quando era stata in Inghilterra, e della sua vita in Inghilterra, che era stata piuttosto cattiva, la nuora incominciò a sentirsi stupita e turbata; e, a farla breve, andando più a fondo, si scoperse in modo innegabile che la vecchia era la madre di lei e, dì conseguenza, suo figlio era il fratello della propria moglie, il che riempì d’orrore tutta la famiglia, e li gettò in tale costernazione da condurli quasi alla rovina. La giovane donna non volle più vivere con lui; il figlio, fratello e marito, per qualche tempo diventò matto; alla fine, la giovane se ne andò in Inghilterra, e non se ne è saputo più niente.”

È facile capire quanto terribilmente mi colpisse quel racconto ma non è possibile descrivere la natura del mio turbamento. Mi mostrai meravigliata da quella storia, e feci mille domande sui particolari, dei quali mi accorsi che era perfettamente informata. Alla fine cominciai ad informarmi delle condizioni della famiglia, come la vecchia signora, cioè mia madre, era morta, e a chi aveva lasciato quel che possedeva; mia madre, infatti, mi aveva promesso con la massima solennità che, morendo, avrebbe fatto qualcosa per me e mi avrebbe lasciato tanto da fare in modo che, se vivevo, avrei potuto prima o poi entrarne in possesso senza che suo figlio, ovvero il mio fratello e marito, potesse impedirmelo. La donna mi disse che non sapeva esattamente che cosa era stato disposto, ma le avevano raccontato che mia madre aveva lasciato una somma di denaro, e ne aveva legato alla piantagione il pagamento, perché andasse alla figlia se se ne avevan notizie, sia in Inghilterra che altrove; e il mandato era stato affidato al figlio, cioè alla persona che avevamo visto con suo padre.

Era quella una notizia troppo bella per prenderla alla leggera, e potete ben immaginare che mi fece venire in mente mille idee, che passi compiere, come, quando e in che modo farmi conoscere, e anche se farmi conoscere oppure no.

Era quello un imbarazzo dal quale non avevo capacità sufficiente per uscirne, né sapevo che strada scegliere. Mi occupava la mente giorno e notte. Non riuscivo a dormire né a conversare, tanto che mio marito se ne accorse, mi domandò che cosa mi angustiasse, si sforzò di distrarmi, ma fu tutto inutile. Insistette che gli dicessi che cosa mi turbava, ma io tenni duro finché, siccome non faceva che insistere, mi vidi obbligata a mettere in piedi una storia, che tuttavia si fondava su qualcosa di vero. Gli dissi che ero preoccupata perché mi rendevo conto che dovevamo levare le tende e cambiare i nostri piani di sistemazione, dato che capivo che mi potevan riconoscere se mi fermavo in quella parte del paese; infatti, dopo la morte di mia madre, diversi miei parenti eran venuti in quella zona dove stavamo ora noi, e io mi vedevo costretta o a rivelarmi, cosa che nella nostra situazione non era opportuna per molti motivi, o ad andarmene; e non sapevo che cosa fare, ed era questa la ragione per cui ero così triste e pensierosa.

Lui, in questo, fu d’accordo con me, che cioè non era affatto opportuno che nella situazione in cui ci trovavamo io mi facessi conoscere; e, di conseguenza, disse d’essere disposto a trasferirsi in qualunque altra parte del paese, o anche in un altro paese se a me pareva il caso. Ma io avevo presente un’altra difficoltà, cioè che se mi trasferivo in un’altra colonia mi toglievo per sempre la possibilità di fare una seria ricerca di quel che mia madre mi aveva lasciato. Inoltre, non potevo nemmeno pensare di svelare al mio nuovo marito il segreto del mio precedente matrimonio; non mi pareva una storia che si potesse raccontare, né sapevo prevedere le conseguenze; ed era impossibile svolgere la ricerca, andando fino in fondo, senza far sapere a tutti quanti non solo chi ero stata, ma anche che cosa ero adesso.

In quell’imbarazzo restai per parecchio tempo, e ciò rese molto inquieto il mio sposo; mi vedeva infatti preoccupata, e pensava però che io non fossi sincera con lui e che non lo mettessi interamente a parte della mia angustia; diceva spesso che si domandava che cosa avesse fatto lui perché io non dovessi avere fiducia in lui per qualsiasi cosa, specie se si trattava di cose spiacevoli e dolorose. La verità è che sarebbe stato giusto fargli completa fiducia perché non c’era uomo che lo meritasse di più da parte di una moglie; ma era quella una cosa che io capii di non potergli rivelare, e tuttavia siccome non avevo nessuno a cui raccontarne anche solo una parte, il peso era troppo grave per l’anima mia; infatti, dite pure quanto vi pare che il nostro sesso non sa mantenere un segreto, la mia vita secondo me è una chiara dimostrazione del contrario; ma, si tratti del nostro sesso o del sesso maschile, un segreto di una certa importanza dovrebbe sempre avere un confidente, un amico del cuore, qualcuno cui comunicarne la gioia o il dolore a seconda dei casi, altrimenti peserà il doppio sull’animo e potrà anche diventare intollerabile; e di quanto ciò sia vero chiamo a testimone il genere umano.

Ed è questa la ragione per cui molte volte sia uomini che donne, e spesso uomini per altri versi di grandi e ottime qualità, si sono però trovati deboli a quel riguardo, e non sono stati capaci di sopportare il peso di una gioia segreta o di un segreto dolore, ma sono stati costretti a svelarlo, anche soltanto per sfogarsi, e per liberare l’animo oppresso dai pesi che vi gravavano sopra. Né era questo un segno di pazzia o di sconsideratezza, bensì una logica conseguenza del fatto; e quelle persone, avessero pure continuato a lottare contro la loro oppressione, certamente avrebbero parlato durante il sonno, e avrebbero svelato il segreto, fosse pur stato di fatale natura, senza riguardo alla persona a cui veniva esposto. Questo bisogno naturale è cosa che spesso agisce con tale forza nell’animo di coloro che sono colpevoli di atroci misfatti, specialmente di omicidi segretamente commessi, da costringerli a svelarli, anche se ne consegue necessariamente la loro rovina. Ora, anche se può esser vero che spetta alla giustizia divina la gloria di tutte quelle scoperte e di tutte quelle confessioni, è però altrettanto certo che la Provvidenza, la quale di solito agisce con i mezzi della natura, si serve in questo caso delle medesime cause naturali per produrre casi straordinari.

Potrei fornire significativi esempi di ciò, tratti dalla mia pratica di delitti e delinquenti. Conoscevo un tale che, quando io ero in carcere a Newgate, era di quelli che si chiamavano allora falchi di notte. Non so che nome gli danno da allora, ma era uno che per connivenza aveva il permesso di uscire fuori ogni sera, e compiva le sue imprese, e riforniva quelle oneste persone che si chiamano acchiappaladri di materia per darsi da fare il giorno seguente e restituire dietro compenso quel che era stato rubato la sera prima. Quel tale era certo di raccontare durante il sonno tutto quel che aveva fatto, ogni passo che aveva compiuto, che cosa aveva rubato e dove, proprio come se lo avesse voluto raccontare apposta da sveglio, e perciò non era pericoloso e non faceva male a nessuno, e di conseguenza era costretto, dopo essere stato fuori, a chiudersi a chiave da sé, o a farsi chiudere da qualcuno dei custodi che lo avevano in consegna, in modo che nessuno lo udisse; ma d’altra parte, se aveva raccontato tutti i particolari, e fatto un resoconto completo dei suoi giri e dei suoi colpi a un collega, a un confratello ladro o ai suoi capi, come li posso ben chiamare, allora si sentiva completamente a posto, e dormiva tranquillo come chiunque altro.

Poiché la pubblicazione di questo racconto della mia vita è fatta in vista della sana morale di ciascuna sua parte, e per fornire insegnamento, monito, consiglio e occasioni di miglioramento ad ogni lettore, questa non sarà, spero, considerata un’inutile divagazione a proposito di coloro che son costretti a svelare i più grandi segreti sia degli affari loro che di quelli altrui.

Col peso di quell’oppressione sull’animo mi tormentavo per la questione di cui ho detto; e l’unica risorsa che riuscii a trovare fu di mettere mio marito al corrente per quel tanto che pensai potesse: persuaderlo della necessità per noi di andarci a stabilire in qualche altra parte del mondo; e, subito dopo, ci ponemmo a considerare in quale parte delle colonie inglesi ci convenisse andare. Mio marito era assolutamente forestiero in quel paese e non aveva di quei luoghi nemmeno una cognizione geografica; e io, prima di mettermi a scrivere questa storia, non sapevo nemmeno che cosa significasse la parola geografia, possedevo soltanto una conoscenza generica ottenuta da lunghe conversazioni con gente che andava e veniva da luoghi diversi; sapevo però una cosa e cioè che il Maryland, la Pennsylvania, il Jersey dell’est e dell’ovest, la Nuova York e la Nuova Inghilterra erano tutte a nord della Virginia, ed erano perciò tutti climi più freddi, per i quali, appunto per quel motivo, io non avevo simpatia. Infatti, come m’era sempre per natura piaciuto il clima caldo, così, avanzando negli anni, avevo una tendenza sempre più forte a scansare i climi freddi. Di conseguenza, pensai che potevamo andare in Carolina, che è l’unica colonia meridionale di inglesi del continente americano, e proposi perciò d’andarci; tanto più che di là potevo facilmente ritornare in qualunque momento, quando sarebbe stato opportuno svolgere indagini sui lasciti di mia madre, e farmi riconoscere per reclamarli.

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