Gai-Jin (40 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Potrei esigere prima l'incontro con il Consiglio degli Anziani e in seguito l'incontro con lo shògun. Sarebbe la cosa migliore, ma ho l'impressione che si rifiuteranno di contravvenire ai mistici desideri dello shògun e che se insisto probabilmente troveranno il modo di nicchiare, cambiar le carte in tavola e irretirci un'altra volta.

Johann disse: “Il loro portavoce dice che se siete d'accordo con quanto proposto vi porgono i loro saluti”.

“Non sono d'accordo su niente. Un ritardo di trenta giorni è inaccettabile.

Abbiamo già stabilito una data per l'incontro con il Consiglio degli Anziani che si svolgerà quando stabilito e poi, dieci giorni più tardi, saremo lieti di incontrare lo shògun.”

Dopo un'ora di respiri trattenuti e silenzi sconcertati da parte giapponese e di piatta durezza anglosassone da parte inglese sir William si permise di essere più malleabile e arrivò a un compromesso: l'incontro con il Consiglio degli Anziani si sarebbe svolto come stabilito e quello con lo shògun venti giorni più tardi.

Una volta rimasto solo con sir William, Johann disse: “Non terranno fede all'impegno”.

“Si, lo so. Non importa.”

“Sir William, il mio contratto scade tra un paio di mesi e ho deciso che non lo rinnoverò.”

Seccamente il ministro disse: “Non posso fare a meno di voi per almeno altri sei mesi”.

“Per me è giunta l'ora di tornare a casa. In questo posto ci sarà presto un bagno di sangue e non ho alcun desiderio di vedere la mia testa infilzata su un palo.”

“Vi aumenterò lo stipendio di cinquanta sterline l'anno.”

“Non è questione di denaro, sir William. Sono stanco. Il novantotto per cento di tutti questi discorsi è sheiss. Non ho più la pazienza per stare a distinguere il grano dalla pula e il fango dallo sterco, signor ministro!”

“Ho bisogno di voi per i prossimi due incontri.”

“Non avverranno mai. Due mesi ancora e torno a casa. Il giorno preciso è scritto sul contratto. Mi dispiace, sir William, ma sono arrivato alla fine di questo viaggio e adesso vado a ubriacarmi.”

E se ne andò.

Sir William attraversò l'ingresso, entrò nel suo ufficio e si diresse alla finestra per scrutare l'orizzonte. Il tramonto era prossimo. Ancora nessuna traccia della flotta. Mio Dio, speriamo che siano in salvo. Devo riuscire a trattenere Johann. Tyrer sarà pronto solo tra un anno almeno.

Di chi potrei fidarmi? Maledizione!

La luce del sole morente non bastava a illuminare la stanza, perciò sir William accese una lampada a olio aggiustandone la fiamma con attenzione. Sulla sua scrivania c'erano mucchietti ben ordinati di dispacci, la sua edizione di All the Year Round letto già da molti giorni dall'inizio alla fine insieme a tutti i giornali arrivati con l'ultimo postale, alcune edizioni dell'Illustrated London News e del “Punch”.

Prese la copia di Padri e Figli di Turgenev, in russo, inviatagli da un amico alla corte di San Pietroburgo, lo sfogliò con distrazione, poi lo ripose e cominciò a scrivere la seconda lettera della giornata per il governatore di Hong Kong nella quale gli raccontava i dettagli dell'incontro odierno e chiedeva un sostituto per Johann. Lun entrò in silenzio e si chiuse la porta alle spalle.

“Si, Lun?”

Lun si avvicinò alla scrivania e dopo qualche istante di esitazione disse a bassa voce: “Padrone, ho sentito che esserci guai, guai tra poco nella Grande Casa di Edo, grandi guai”.

Sir William lo fissò. Grande Casa era il modo con cui i domestici cinesi chiamavano la Legazione di Edo. “Quali guai?” Lun si strinse nelle spalle. “Guai.”

“Quando?” Ancora una volta Lun si strinse nelle spalle. “Whisky e acqua, heya?” Sir William annuì pensieroso. Di tanto in tanto Lun gli riferiva voci che si rivelavano sgradevolmente esatte.

Lo guardò avvicinarsi alla mensola e preparargli la bevanda proprio come piaceva a lui.

 

Phillip Tyrer e il capitano, in kilt, stavano ammirando il tramonto da una finestra al piano superiore della Legazione di Edo mentre i soliti gruppi di samurai stazionavano fuori dalle mura e in tutte le vie d'accesso alla collina.

All'orizzonte il cielo era rosso cupo, arancione, marrone, e striato d'azzurro proprio sopra il mare. “Come sarà il tempo domani?”

“Non so granché del tempo da queste parti, signor Tyrer. Se fossimo in Scozia potrei azzardare una previsione” rispose il capitano, un uomo di trent'anni con i capelli brizzolati. Rise. “Pioggia con perturbazioni sparse... ma in fondo non così pessimo.”

“Non sono mai stato in Scozia. Vorrei andarci durante la prossima licenza. Quando tornate a casa?”

“Forse l'anno prossimo, o quello dopo ancora. E' soltanto il mio secondo anno in Giappone.”

Tornarono a rivolgere l'attenzione all'esterno.

Completato il giro di ronda sul molo dov'era di stanza un drappello di marinai, quattro highlander e un sergente si inerpicarono sulla collina attraverso gli schieramenti di samurai e varcarono il cancello di ferro. I samurai sembravano aspettare qualcosa,, a volte parlavano tra loro o si raccoglievano in gruppo intorno ai fuochi, accesi quando faceva freddo, ma davano l'impressione di non abbassare mai la guardia. A nessun soldato o impiegato della Legazione era stato in alcun modo proibito di uscire o entrare.

Tutti però dovevano passare attraverso un accurato e silenzioso esame.

“Scusate, vado incontro al sergente” disse il capitano, “voglio sapere se la nostra lancia è lì, nel caso che... e sistemare tutto per la notte. Si cena alle sette come sempre?”

“Si.” Quando si ritrovò solo Tyrer trattenne uno sbadiglio nervoso, si stiracchiò e mosse il braccio per allentarne la tensione. La ferita era guarita perfettamente e non aveva più bisogno di fasciature. Sono molto fortunato, pensò, eccetto che per Zia Willie. Perché mi ha spedito quaggiù quando ho tanto da studiare per diventare un interprete?

Dopotutto non sono il suo tirapiedi, maledizione, maledizione, maledizione. E adesso perderò anche il concerto di André a cui tenevo tanto.

Angélique sarà sicuramente presente.

Voci sul suo fidanzamento segreto erano già circolate nell'Insediamento come un vento caldo e inquietante.

Accenni fatti direttamente a lei o a Struan non erano serviti a ottenere né smentite né conferme, nemmeno una spiegazione. Al circolo le scommesse davano il fidanzamento due a uno, venti a uno il mancato matrimonio. “Struan sta male come un cane, lei è cattolica, e sapete bene com'è fatta la madre di lui, Jamie!”

“Scommetto! Lui sta guarendo e voi non lo conoscete come lo conosco io.

Dieci ghinee contro duecento.”

“Charlie, a quanto mi date che ce n'è uno in arrivo?”

“Oh, per l'amor di Dio!”

“Angélique non è una donnaccia, per carità del cielo!

“Mille a uno?”

“D'accordo per Dio... una ghinea d'oro!” Con grande disgusto di Tyrer e Pallidar le scommesse e le percentuali su fatti sempre più personali e dettagliati cambiavano da un giorno all'altro.

“Gli uomini qui sono soltanto un branco di farabutti!

“Avete ragione, Pallidar. Individui spregevoli!” Oltre alle fitte congetture su Struan e Angélique l'argomento di dibattito dominante erano le preoccupazioni sulla sorte della flotta. Nel peggiore dei casi doveva essere in guai terribili e comunque anche nell'ipotesi più rosea qualche danno doveva averlo subito per forza.

I mercanti giapponesi erano più nervosi che mai e riferivano voci di insurrezioni in tutto il paese contro o a favore della Bakufu, sussurravano che il mistico Mikado, il sommo sacerdote che risiedeva a Kyòto, avesse ordinato a tutti i samurai di marciare su Yokohama.

“Stupidaggini, se volete il mio parere” si rassicuravano l'un l'altro gli occidentali, ma gli ordini di armi e munizioni erano sempre in aumento e ormai persino le due donne dell'Insediamento dormivano con un'arma carica sotto il cuscino. La Città Ubriaca, si diceva, era una vera e propria santabarbara.

Poi, qualche giorno prima, c'era stato un atto di guerra: un mercantile americano mal ridotto dalla tempesta aveva fatto rotta verso Yokohama attraverso lo stretto. Veniva da Shanghai con un carico di argento, munizioni e armi e doveva proseguire per le Filippine con oppio, tè e altre merci.

Nello stretto era stato attaccato da alcuni cannoni che sparavano dalla spiaggia.

“E non avete risposto al fuoco?” gridò qualcuno durante un'infuocata serata al circolo.

“Avete ragione, maledizione! Noi sempre buoni come angeli! Quei bastardi di Choshu hanno avuto buona mira... quale incosciente infame gli ha venduto i cannoni? Ci hanno fatto saltare l'albero prima che potessimo renderci conto di quello che stava succedendo e metterci al sicuro.

Certo, abbiamo risposto col fuoco ma avevamo soltanto un paio di stupidissimi cinque libbre che non fanno venire neanche il singhiozzo.

Loro avevano almeno venti cannoni.

“Mio Dio, con venti cannoni e qualche soldato esperto potrebbero bloccare lo stretto per sempre e se ciò accadesse noi ci troveremmo in un guaio tremendo. Lo stretto è la via più veloce e sicura per arrivare qui.

“Ah! Il mare interno ci è indispensabile per Dio!”

“E dov'è la flotta, spero che tutte le navi siano salve!”

“E se non lo fossero?”

“Charlie, ne dovremmo far arrivare altre.” Stupidi, pensò Tyrer, tutto quello che riescono a immaginare è di mandare a chiamare altre navi, ubriacarsi e fare soldi.

Grazie a Dio l'ammiraglio francese ha riportato André con sé. Grazie a Dio per André, anche se è volubile e strano, ma forse è soltanto francese. Grazie a lui ho già due quaderni zeppi di parole e frasi giapponesi, e il mio diario di una buona raccolta di aneddoti folcloristici.

Ho un appuntamento con un gesuita, quando torneremo a Yokohama. Insomma ho fatto qualche piccolo ma meraviglioso progresso. E' così importante per me imparare in fretta... e inoltre c'è l'argomento Yoshiwara.

Vi ho già fatto tre visite. Le prime due guidate, la terza da solo.

“André, non so dirvi quanto apprezzo tutto il tempo che mi avete dedicato e l'aiuto che mi date. E in quanto a stanotte, non vi potrò mai ripagare, mai.”

Questo dopo la prima visita.

Nervoso, paonazzo, sudato, incapace di parlare ma fingendo sempre un virile coraggio che non aveva, al crepuscolo aveva seguito André fuori dall'Insediamento.

Si erano uniti alle folle vocianti di uomini diretti allo Yoshiwara, avevano superato le guardie samurai alzando cortesemente i cilindri e ricevendo in cambio eleganti inchini, e imboccato il cosiddetto ponte del Paradiso dirigendosi verso gli alti cancelli della recinzione di legno. “Yoshiwara vuol dire luogo dei giunchi” aveva spiegato André.

Si erano entrambi scaldati con lo champagne, ma su Tyrer il solo effetto era stato di rendere più inquietanti i suoi presagi.

“E' il nome di un quartiere di Edo, una palude bonificata dove lo shògun Toranaga, due secoli e mezzo fa, fece costruire il primo quartiere di bordelli.

Prima di allora erano sparsi in tutte le zone delle città. Da quel momento, così mi hanno detto, tutte le città hanno una zona riservata ai bordelli, tutti muniti di regolare licenza e sottoposti a severi controlli. Per tradizione molte di queste zone vengono chiamate Yoshiwara. Vedete quelli?”

Sopra il cancello che gli stava indicando c'erano alcuni ideogrammi incisi nel legno con eleganza.

“Significano: quando il desiderio preme, è necessario agire per soddisfarlo”.

Tyrer rise nervosamente. C'erano molte guardie intorno ai cancelli.

La sera precedente, quando André si era offerto di scortarlo allo Yoshiwara, stavano bevendo al circolo, gli aveva detto di aver sentito raccontare da un mercante che le guardie non stazionavano ai cancelli tanto per mantenere l'ordine quanto soprattutto per impedire alle prostitute di scappare.

“Ma allora sono schiave, non vi sembra?” Con grande stupore aveva visto Poncin arrossire di sdegno.

“Mon Dieu, non dovete mai pensare a loro come a delle prostitute. E non chiamatele mai prostitute nel senso in cui noi intendiamo questa parola.

Non sono schiave. Alcune di loro sono legate da un contratto per un certo numero di anni, in molti casi sono state vendute dai genitori in giovane età. Comunque i loro contratti devono sempre essere approvati e registrati dalla Bakufu. Non sono puttane, sono le signore del Mondo dei Salici e non ve lo dovete dimenticare. Signore!”

“Scusate, io...” Ma André aveva proseguito senza prestargli attenzione. “Alcune sono geishe, artiste, sono educate per intrattenervi, cantare, danzare e fare giochi sciocchi, e con loro non si può dormire. Le altre invece, mon Dieu, ve l'ho già detto, non pensate a loro come a delle puttane ma come a donne di piacere, educate nel corso di molti anni per darvi piacere.”

“Scusate, non lo sapevo.”

“Se le trattate nel modo giusto vi daranno piacere, qualsiasi tipo di piacere... se vogliono... e se pagate il giusto prezzo. Voi date loro del denaro che per voi non significa nulla e loro vi danno la giovinezza. E' uno scambio stravagante.” André l'aveva guardato con una strana espressione. “Vi danno la loro giovinezza e nascondono le lacrime che voi provocate.”

Trangugiò il vino e fissò il bicchiere, improvvisamente malinconico.

Tyrer ricordò come, senza dire una parola, aveva riempito nuovamente i bicchieri maledicendosi in cuor suo per aver rotto quell'atmosfera di cordiale confidenza che gli era tanto preziosa e ripromettendosi in futuro di essere più cauto. Non poteva tuttavia non chiedersi il motivo di quel repentino cambiamento di umore.

“Lacrime?”

“La loro vita non è una bella vita, tuttavia non è neppure sempre malvagia. Per qualcuna di loro può essere addirittura meravigliosa. Le più belle diventano famose, vengono ricercate persino dai più importanti daimyo, i re del paese, possono fare matrimoni altolocati, sposare ricchi mercanti o samurai.

Ma le nostre signore del Mondo dei Salici, quelle che sono riservate a noi gai-jin” aveva ripreso André con amarezza, “non hanno altro futuro che quello di aprire un'altra casa, ubriacarsi di sakè e impiegare altre ragazze. Mon Dieu, trattatele bene perchè una volta che entrano in contatto con noi per i giapponesi sono contaminate.”

“Mi dispiace. Che cosa tremenda.”

“ Si, nessuno capisce...” Un'esplosione di risate ubriache degli uomini li intorno lo distrasse per un momento. Il circolo risuonava di voci roche; faceva molto caldo. “A questi cretini non importa niente, non gliene frega niente, a nessuno di loro, eccetto a Canterbury, a lui si che importava.”

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