Gai-Jin (38 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“L'ho vista” disse Anjo seguendo il rituale ma scoppiando di rabbia perchè quegli uomini avevano osato attaccarlo, avevano osato spaventarlo a morte, lui, il capo del Roju!

“Adesso quell'altro... mente anche lui, uccidilo!”

“Chiedo rispettosamente che gli sia concesso di commettere seppuku.” Anjo era sul punto di ordinare al samurai di uccidere quell'assassino brutalmente o di fare lui stesso seppuku quando avvertì l'improvvisa antipatia dei samurai che lo circondavano. Un'insolita paura lo assalì: di chi mi posso fidare? Le mie guardie personali sono soltanto cinque.

Finse di riflettere sulla richiesta. Quando riuscì a contenere la rabbia che provava annuì, si allontanò dirigendosi verso il cancello sotto la pioggia sempre più fitta. I suoi uomini lo accompagnarono. Gli altri circondarono Jozan.

“Puoi riposare un momento, shishi” disse l'ufficiale con cortesia asciugandosi il volto. “Dategli un pò d'acqua.”

“Grazie.” Jozan si era preparato per quel momento sin da quando con Ori, Shorin e altri quattro compagni aveva giurato di “onorare l'imperatore e scacciare gli stranieri”. Raccolse le forze e cercò di mettersi in ginocchio ma con grande orrore scoprì che l'idea di morire lo terrorizzava.

L'ufficiale capì il suo terrore e gli si inginocchiò accanto: “Hai una poesia di morte, shishi? Dimmela, fatti forza, ragazzo, non cedere, sei un samurai e questo è un giorno come un altro per te” sussurrò facendogli coraggio e augurandosi che smettesse di piangere.

“Dal nulla al nulla, una spada taglia il nemico, una spada taglia te. Grida il tuo grido di battaglia e vivrai per sempre. Dillo: Sonno-joi... ancora...” Jozan si preparava da sempre a questo momento. Con un gesto improvviso ed elegante si alzò estraendo la spada dal fodero. E in un istante la sua giovinezza fu nell'eternità.

“Uuh!” esclamò uno dei suoi uomini con ammirazione. “Uragasan, è stato sublime a vedersi.”

“Il sensei Katsumata di Satsuma è stato uno dei miei maestri” spiegò con voce roca. Il cuore gli batteva come mai prima ma era felice che il giovane avesse compiuto il suo dovere di samurai. Uno degli uomini raccolse la testa tenendola per i capelli. La pioggia mischiò lacrime ad altre lacrime. “Pulisci la testa e portala al principe Anjo.” Uraga gettò un'occhiata verso il castello. “I vigliacchi mi fanno schifo” disse, e si allontanò.

 

Nel cuore della notte Hiraga e gli altri uscirono dalla cantina dove si erano nascosti e prendendo vie diverse si diressero verso il nascondiglio.

Il cielo era nero e coperto, il vento fischiava con forza e la pioggia scendeva torrenziale. Non sentirò freddo, non mostrerò disagio, sono un samurai, si ordinò Hiraga seguendo il modello di addestramento in uso da sempre nella sua famiglia. E così addestrerò i miei figli e le mie figlie se il mio karma sarà di averne, pensò.

“E' giunto per te il momento di sposarti” gli aveva detto suo padre un anno prima.

“Sono d'accordo, padre. Rispettosamente vi chiedo di cambiare idea e di consentirmi di sposare una donna di mia scelta.”

“Primo è dovere del figlio obbedire al padre, secondo è dovere del padre scegliere le mogli per i figli e i mariti per le figlie, terzo il padre di Sumomo non approva, lei è una satsuma e non una choshu e inoltre, benché desiderabile, non è adatta a te. Cosa ne dici della ragazza Ito?”

“Vi prego di scusarmi, padre, concordo con voi che la mia scelta non sia perfetta ma la sua famiglia è samurai, lei stessa è samurai e io sono invaghito di lei. Ve ne prego. Avete altri quattro figli... io ho soltanto una vita e noi... voi ed io... siamo entrambi d'accordo sul fatto di dedicarla a sonno-joi e perciò sappiamo che sarà breve.

Concedetemi Sumomo come un ultimo desiderio.”

Secondo la tradizione la richiesta dell'ultimo desiderio veniva considerata con estrema serietà e significava che, una volta esaudita, qualsiasi altra richiesta fosse per sempre preclusa.

“Molto bene” aveva risposto suo padre in tono burbero. “Ma non ti concedo l'ultimo desiderio. Ti potrai fidanzare quando lei avrà diciassette anni. Allora e solo allora la accoglierò nella nostra famiglia.”

Questo era accaduto un anno prima. Alcuni giorni dopo Hiraga aveva lasciato Shimonoseki per raggiungere, in teoria, il reggimento choshu a Kyòto. In realtà era per aderire a sonno-joi, diventare ronin per quattro anni e mettere in pratica l'addestramento ricevuto.

Adesso era il nono mese. Fra tre settimane Sumomo avrebbe avuto diciassette anni, ma ormai Hiraga era un fuorilegge e non aveva più nessuna possibilità di tornare sano e salvo.

Fino al giorno prima.

Suo padre aveva scritto:

 

Con mio grande stupore il nostro principe Ogama ha offerto il perdono a tutti i guerrieri che hanno apertamente abbracciato sonno-joi e ripristinerà le paghe di quelli che faranno ritorno immediato, rinunceranno all'eresia e giureranno ancora alleanza a lui pubblicamente. Approfitterai di quest'offerta.

Sono in molti a tornare.

 

La lettera l'aveva intristito indebolendo la sua determinazione.

“Sonno-joi è più importante della famiglia e anche del principe Ogama, più importante persino di Sumomo” si era ripetuto. “Del principe Ogama non ci si può fidare. In quanto alla mia paga...”

Per sua fortuna il padre era benestante se paragonato alla maggioranza della popolazione e in virtù del nonno shoya era stato promosso al birazamurai, il terzo livello di samurai.

Sopra di lui c'erano i samurai hatomoto e i daimyo.

Sotto allo hirazamurai c'erano tutti gli altri, goshi, ashigaru, samurai contadini, e fanti che appartenevano alla classe feudale ma inferiore a quella dei samurai. Grazie al nonno suo padre aveva avuto accesso ai gradi inferiori e aveva potuto far impartire ai figli l'educazione migliore.

Gli devo tutto, pensò Hiraga.

Si, e con obbedienza mi sono applicato per diventare il miglior allievo nella scuola di samurai, il più abile con la spada, il più bravo con l'inglese. E ho il permesso e l'approvazione sua e del sensei, il nostro maestro, di abbracciare sonno-joi, e diventare ronin, di guidare e organizzare i guerrieri choshu in un'avanguardia per il cambiamento.

Si, tuttavia la loro approvazione è segreta, perchè se fosse resa nota costerebbe certamente a mio padre e al sensei la testa.

Karma.

Sto facendo il mio dovere.

I gai-jin sono feccia che noi non vogliamo. Vogliamo solo le loro armi per ucciderli.

La pioggia divenne ancora più battente. E cominciò il temporale, il che gli fu gradito perchè rendeva più difficile essere intercettati. La prospettiva di un buon bagno, di un buon sakè e indumenti puliti lo allettava.

Che l'attacco fosse fallito non lo preoccupava granché. Era sempre e solo questione di karma.

La certezza che i nemici e i traditori fossero ovunque gli era stata inculcata dagli insegnanti e dal padre ed era diventata ormai per lui una seconda natura. Procedette con cautela, si accertò di non essere seguito, cambiò spesso direzione e ogni qualvolta gli fu possibile controllò davanti a sé prima di muoversi.

Quando raggiunse il vicolo le forze lo abbandonarono. La Locanda dei Quarantasette Ronin e lo steccato che la circondava erano scomparsi.

Restavano soltanto il vuoto e l'odore acre del fumo e le ceneri ancora calde.

Qualche corpo.

Uomini e donne. Alcuni decapitati, altri tagliati a pezzi.

Riconobbe il suo compagno Gota dal kimono.

La testa della mama-san era stata infilata su una lancia.

Attaccato c'era un cartello:

 

E' contro la legge dare asilo a criminali e traditori

 

Il sigillo ufficiale sotto la scritta era della Bakufu e la firma quella di Nori Anjo, capo del Roju.

Hiraga fu travolto da un incontenibile gelido furore che andò ad aggiungersi a tutto quello già sedimentato in lui.

Quei maledetti gai-jin, pensò.

E' colpa loro.

utto ciò è accaduto per colpa loro.

Presto ci vendicheremo.

Capitolo 13


 

Domenica, 28 settembre

 

Malcolm Struan riemerse dal sonno a fatica, mentre i sensi rispondevano al richiamo del giorno con piccoli tentativi di ripresa. La perdita di due fratelli e una sorella gli aveva già molto insegnato sulla sofferenza dello spirito, ricordava bene l'angoscia provocatagli dall'ubriachezza paterna quando diventava violenta, le punizioni corporali inferte da insegnanti impazienti, le privazioni alle quali si sottoponeva spinto dall'ossessivo bisogno di eccellere perchè un giorno sarebbe diventato tai-pan; conosceva la paura subdola d'essere inadeguato malgrado gli sforzi, le speranze e le preghiere nonché la quotidiana fatica che gli aveva impedito di godere l'infanzia e l'adolescenza al pari dei suoi compagni.

Tuttavia mai prima di Kanagawa aveva dovuto affrontare un risveglio che lo costringeva a sondare le profondità del dolore fisico; di riemergere a un giorno che, come tutti gli altri giorni, avrebbe portato soltanto sorda sofferenza, cercando disperatamente di ignorare l'improvviso e accecante spasmo che arrivava da un momento all'altro senza preavviso né logica.

Oggi andava meglio di ieri, il dolore era soltanto spossante. Quanti giorni erano trascorsi dalla Tokaida?

Sedici. Era il sedicesimo giorno.

Si concesse qualche altro passo sul cammino del risveglio. Andava davvero molto meglio di ieri. Occhi e orecchie ormai erano aperti alle sollecitazioni del mondo. La stanza non turbinava nella luce del primo mattino. Cielo chiaro, una brezza leggera, nessun temporale in vista.

Il temporale si era placato due giorni prima.

Il vento che per otto giorni aveva soffiato con la forza di un tifone era scomparso all'improvviso. La flotta all'ancora al largo di Edo si era allontanata alle prime avvisaglie di tempesta mettendosi in salvo in altomare. L'unica nave che da allora avesse fatto ritorno a Yokohama era l'ammiraglia francese.

Benché non fosse ancora il caso di disperare tutti tenevano lo sguardo fisso sull'orizzonte e speravano, e pregavano.

Durante la burrasca un mercantile era stato spinto sulla riva di Yokohama, alcuni edifici avevano subito danni ingenti, molte lance e barche da pesca erano andate perdute, il villaggio e lo Yoshiwara erano stati in parte distrutti, molte tende nell'accampamento militare sulla scogliera erano state portate via dal vento.

Non c'erano stati feriti nell'Insediamento né altrove.

Siamo stati molto fortunati, pensò Struan. Ma tornò subito a concentrarsi sul problema centrale del suo personale universo: posso mettermi seduto?

Un tentativo goffo e incerto. Ahi! Un dolore forte, si, ma non insopportabile. Facendo perno con entrambe le mani riuscì a mettersi eretto.

Sopportabile. Meglio di ieri. Dopo un attimo si sporse in avanti liberando con attenzione il peso da un braccio. Ancora sopportabile. Tolse il peso da entrambe le braccia. Sempre sopportabile. Con grande attenzione scostò le lenzuola e cautamente cercò di appoggiare i piedi sul pavimento.

Non gli riuscì, la fitta di dolore era simile a una pugnalata. Il secondo tentativo fu seguito da un secondo fallimento.

Non importa, proverò più tardi. Si riadagiò piano piano. Quand'ebbe liberato la vita e la schiena dalla fatica di sostenersi da sole sospirò di sollievo.

“Aaah!”

“Ci vuole pazienza, Malcolm” gli aveva ripetuto ogni giorno Babcott durante le sue visite.

“Al diavolo la pazienza!”

“Avete ragione... però state davvero facendo grossi progressi.”

“E quando mi potrò alzare?”

“Anche adesso se lo desiderate... ma non ve lo consiglio.”

“Fra quanto?”

“Diciamo tra un paio di settimane.” Aveva imprecato senza ritegno benché in un certo senso non gli dispiacesse di restare confinato a letto con a disposizione tutto il tempo che voleva per riflettere sulla sua nuova posizione di tai-pan, sul comportamento da tenere con la madre, con Angélique, con McFay e su come affrontare i problemi d'affari più urgenti.

“Avete riflettuto sulla vendita dei fucili ai choshu?” gli aveva domandato McFay qualche giorno prima.

“Sarebbe un ottimo affare.”

“Ho un'idea. Lasciatemi fare.”

“Norbert deve aver già subodorato la richiesta dei giapponesi e se non ci sbrighiamo si farà avanti con un'offerta più vantaggiosa.”

“Al diavolo Norbert e i Brock! I loro contatti non sono buoni quanto i nostri, e Dmitri, la Cooper-Tillman e la maggior parte degli altri commercianti americani sono dalla nostra parte.”

“Eccetto nelle Hawaii” ribatté McFay.

Dieci giorni prima, con l'ultima posta, dopodiché non c'erano state novità perchè il vapore quindicinale non sarebbe arrivato che dopo cinque giorni, Tess Struan gli aveva scritto:

La Victoria Bank ci ha traditi. Credo che abbiano sostenuto segretamente Morgan Brock a Londra con prodighe lettere di credito.

Con queste lettere di credito Brock ha comprato o corrotto tutti i nostri agenti hawaiani impossessandosi dell'intero mercato dello zucchero ed escludendoci completamente.

Quel che è peggio, anche se non ne ho prove sicure, è che si dice che abbia stretti contatti con il presidente dei ribelli Jefferson Davis e con i proprietari delle piantagioni di cotone ai quali sta proponendo di acquistare l'intero raccolto per gli stabilimenti inglesi; un accordo del genere farebbe diventare Tyler e Morgan gli uomini più ricchi dell'Asia.

CIO' NON DEVE ACCADERE!

Sono allo stremo delle forze, Jamie, che cosa mi consigliate? Mostrate questo messaggio a mio figlio.

“Che cosa consigliate, Jamie?”

“Non ho idea, Malcolm... tai-pan.”

“Se l'accordo è stato concluso è stato concluso e ciò risolve in un certo senso il problema. Se così fosse, potremmo intercettare il cotone in qualche modo?” McFay lo guardò allibito.

“Un'azione di pirateria?”

Struan rispose in tono indifferente.

“Se è necessario, perchè no? Il vecchio Brock non si tirerebbe indietro, ha già fatto cose del genere in passato. E' una possibilità, perchè il cotone sarà tutto sulle sue navi.

Seconda possibilità: la nostra Marina rompe il blocco dell'Unione e così possiamo ottenere tutta la merce che vogliamo.”

“Potremmo soltanto se dichiarassimo guerra all'Unione. Impensabile! “

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