Gai-Jin (206 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“In cucina.”

“In cucina? Prego, prego, seguitemi.” Lei fece strada di buon grado.

Quando vide Hiraga con il capo chino sul pavimento tra una dozzina di cuochi e di sguatteri quasi le cedettero le ginocchia.

Hiraga era sporco, portava sul capo la parrucca del travestimento di Katsumata a Hodogaya e indossava soltanto un sudicio perizoma e una canottiera lacera. “Legati un sasso sotto al piede” gli aveva consigliato Katsumata, “più che il viso potrebbe tradirti l'andatura. Sporcati la faccia e le braccia, di sterco se puoi, diventa uno sguattero, non recitare, diventalo. Nel frattempo prepara le bombe incendiarie e insegna a Takeda come si fanno, così al mio ritorno...”

Il sergente dal viso arcigno si fermò sulla porta con le mani sui fianchi e si guardò intorno. Poi si mise a frugare in ogni angolo, aprì ogni armadio e ogni ripostiglio scoprendovi spezie rare, botti di sakè, bottiglie del liquore dei gai-jin e sacchi del migliore riso. Borbottò qualcosa per nascondere l'invidia.

“Tu! Capocuoco!” L'uomo corpulento alzò la testa terrorizzato.

“Mettiti lì! Anche voi, in fila!” Per la fretta di ubbidire tutti inciampavano l'uno sull'altro. Hiraga si trascinò zoppicando accanto a loro.

Imprecando il samurai lì passò in rassegna uno a uno. Quando fu il turno di Hiraga arricciò il naso per il fetore, poi proseguì fino all'ultimo sguattero e lo investì con tutta la rabbia accumulata facendolo crollare a terra per il terrore. Il sergente arretrò di qualche passo, si avvicinò a Hiraga e urlò: “Tu!”.

Raiko si lasciò sfuggire un grido e quasi svenne mentre gli altri trattennero il respiro.

Hiraga si buttò umilmente con la faccia a terra piagnucolando, ma puntò i piedi contro il muro pronto a lanciarsi sulle gambe del sergente. Furente, il samurai tuonò: “Come osi stare in una cucina, e tu” gridò rivolgendosi a Raiko che, terrorizzata, si riparò contro il muro. Hiraga si trattenne. “Tu, dovresti vergognarti di far lavorare una simile canaglia sporca di sterco in una cucina per ricchi.” Colpì il presunto sguattero con un potente calcio sul collo. Gridando per il dolore Hiraga si portò le mani sul capo per fermare la parrucca che gli era quasi volata via. “Scaccialo. Se questa sera questo sacco di pulci sarà ancora qui o nello Yoshiwara ti farò chiudere il locale per sporcizia! Fallo rasare a zero!”

Il sergente gli sferrò un altro calcio e uscì. In cucina tutti rimasero immobili finché non giunse il messaggio che i samurai se ne erano andati, e anche allora ripresero a muoversi con grande circospezione. Le cameriere offrirono i sali a Raiko e la sostennero accompagnandola nelle sue stanze, altri inservienti aiutarono Hiraga ad alzarsi.

Tacendo il dolore lo shishi si spogliò, andò nella zona dei servitori e si lavò.

Finalmente poteva togliersi di dosso quel luridume disgustoso: all'arrivo della Bakufu aveva appena fatto in tempo a infilare le mani nel più vicino bidone di acque nere per cospargersi il corpo di liquame e correre davanti alle stufe. Temeva che non sarebbe mai più riuscito a sentirsi pulito.

 

Nudo, dopo essersi lavato alla bell'e meglio, si incamminò verso la sua stanza per fare un bagno, caldo questa volta. Sulla veranda lo fermò Raiko, ancora tremante.

“Spiacente, Hiraga-sama, la sentinella non ci aveva avvisati dei samurai nel giardino... Dentro c'è una cameriera con l'acqua calda per il bagno, ma adesso, spiacente, ti converrebbe andare via, è troppo pericoloso...”

“Sto aspettando Katsumata, poi me ne andrò. Ti ha pagato bene.”

“Sì, ma la Bakufu...”

“Baka! Sei tu la responsabile del sistema di vigilanza. Se sbagliano un'altra volta ti taglieremo la testa!” Corrucciato, Hiraga entrò nel padiglione del bagno. La cameriera lo accolse inginocchiandosi e si inchinò con tanta foga che picchiò la fronte sul pavimento. “Baka!” esclamò lui. Sentiva ancora in bocca lo sgradevole sapore della paura. Si accovacciò sullo sgabello per farsi lavare la schiena. “Svelta!” Baka, pensò furente.

Sono tutti baka, Raiko è baka, Katsumata no, lui non è baka, ancora una volta aveva ragione: senza quello sterco adesso sarei morto o, peggio, mi avrebbero catturato vivo.

 

Edo

 

Il crepuscolo era un momento della giornata molto intenso per gli abitanti dello Yoshiwara di Edo, il più grande e raffinato del Giappone, un labirinto di stradine e di angoli deliziosi ai margini della città su un'area di quasi duecento acri dove Katsumata, gli shishi e i ronin si sentivano al sicuro, quando veniva loro concessa ospitalità.

Katsumata era sempre ben accetto perchè non badava a spese. Pagò alla cameriera la zuppa con i vermicelli e si avviò senza fretta verso la casa del Glicine. Era ancora travestito da bonzo, ma si era messo i baffi finti e indossava una tunica più preziosa dalle ampie spalle.

Le vie erano illuminate da lanterne colorate, i giardini e i sentieri venivano spazzati per l'ultima volta prima del calare della notte e si sceglievano fiori freschi per rinnovare le composizioni nei vasi. Nelle case da tè e nelle locande le geishe, le cortigiane e le mama-san facevano il bagno e si preparavano tra mille chiacchiere per la serata. Nelle cucine ferveva l'attività, gli uomini tagliavano, sminuzzavano, decoravano, mescolavano salse e dolci e bollivano il riso migliore, pulivano e marinavano il pesce.

Molte risate amichevoli e qua e là le lacrime di qualche ragazza che soffriva al pensiero di dover accogliere un cliente abituale o uno sconosciuto e regalargli sorrisi, disponibilità e lusinghe anziché il giovane amante che tanto avrebbe desiderato per poter riposare o dormire in pace.

Per calmarla la mama-san e le cortigiane più anziane le avrebbero ripetuto il precetto di sempre, lo stesso che in quel momento Meikin stava spiegando a Teko, la maiko di Koiko, disperata perchè quella sera aveva inizio la sua carriera di cortigiana: “Asciuga le lacrime, Raggio di Luna, accetta senza pensare la triste transitorietà della vita, accetta quello che ti riserva, ridi con le tue sorelle, godi del vino, dei canti e dei bei vestiti, apprezza la poesia della luna o di un fiore e lasciati portare dalla corrente della vita come un guscio vuoto. Adesso vai”.

Non accetterò che Katsumata abbia tradito la mia Koiko, anche se per una giusta causa, pensò Meikin con il cuore infranto.

Non c'era alcun bisogno di compromettere la mia diletta con quella shishi, per quanto coraggiosa! E' peggio, è stato baka a porre fine a una simile fonte di influenza e di informazioni segrete colte all'ombra di Yoshi, stupido, stupido, stupido! Ma ormai è fatta. Fine. Accetta il tuo stesso consiglio, Meikin: lasciati portare dalla corrente, che importanza ha?

Riconosco che a me importa. Koiko era importante per tutti noi, e soprattutto per Yoshi, che adesso si scaglia senza pietà contro gli shishi.

La mama-san tornò a sedersi davanti allo specchio. Il riflesso le restituì uno sguardo malinconico. Il trucco, più pesante del solito, non nascondeva le ombre e le rughe di preoccupazione.

E riconosco anche di essere terribilmente invecchiata da quando lo shoya mi ha sorpreso con Raiko.

L'undicesimo giorno del Dodicesimo mese è stato l'ultimo della mia vita. Trentatré giorni fa.

Trentatré giorni soltanto e sembro una megera, addirittura più vecchia di una cinquantenne che sarebbe la media di vita per tutte noi.

Trentatré giorni di lacrime, un lago di lacrime, io che pensavo di non dover più piangere, di aver consumato tutte le mie lacrime molto tempo fa disperandomi per amanti di cui quasi non ricordo il nome e per colui del quale ancora sento il profumo e il sapore e che ancora bramo, il mio giovane e povero samurai che mi ha lasciata senza una parola né una lettera per un'altra casa da tè e un'altra donna, portandosi via i miei miseri risparmi e i cocci della mia anima per gettarli nel fango.

E più tardi altre lacrime per il mio bambino morto nell'incendio della casa dei genitori adottivi dopo che il padre, un ricco mercante, se ne era andato come l'altro, e poi, ancora, per il mio suicidio fallito.

Troppi anni nel Mondo Fluttuante. Mi sono lasciata portare dalla corrente per trentatré anni, un anno per ciascuno di questi giorni di tormento.

Proprio oggi ne compio quarantatré. Che cosa farò adesso? Presto il principe Yoshi pretenderà un risarcimento. Karma.

Riconosco di aver educato Koiko, di avergliela offerta e di aver garantito per lei. Cos'altro posso offrire per ottenere il perdono? Che cosa posso fare?

L'immagine nello specchio non le rispose.

Bussarono alla porta. “Signora, è arrivato Katsumata-sama, è in anticipo.” Meikin si sentì morire. “Vengo subito.”.

Per calmarsi bevve un sorso del brandy dei gai-jin che Raiko le aveva regalato. Appena si sentì meglio si avviò lungo l'elegante corridoio verso il salone per il ricevimento degli ospiti.

Quella stanza arredata in legno e tatami e con gli shoji più costosi e squisiti era il vanto della casa. Le era costata molta fatica, ma grazie a Koiko il Fiore, a molti patemi e alla continua opera di persuasione l'attività era stata redditizia, con grande gioia dei suoi banchieri.

Quel giorno si era incontrata con loro. “Notiamo, spiacenti, che le vostre entrate sono notevolmente diminuite rispetto al mese scorso.”

“Questa stagione non è mai propizia per le case da tè, e quest'anno il clima è particolarmente freddo. In primavera gli affari riprenderanno.

Quest'anno abbiamo guadagnato molto, non c'è nulla di cui preoccuparsi.”

Ma Meikin sapeva, e lo sapeva anche il Gyokoyama, che la maggior parte del guadagno dipendeva da Koiko e che soltanto un velo sottilissimo ormai la separava dalla rovina. Il suo destino era nelle mani di Yoshi.

Perché allora aggravare la situazione ospitando gli shishi? si chiese.

Soprattutto Katsumata che adesso è il nemico principale di Yoshi. Ma non importa. Il bene si accompagna sempre al male, bisogna affrontare il male e godere del bene. E' emozionante essere una shishi, appartenere a sonno-joi, alla lotta per spezzare un giogo secolare.

Questi valorosi giovani sacrificano la vita per l'imperatore in un'impresa tragica e senza speranza, sono nati per perdere, com'è triste. E se vincessero, coloro che andranno al potere ci libereranno dal nostro giogo ancora più antico?

No. Mai. Noi donne vivremo sempre come oggi, alla mercé dello yang.

La luna sbucò in tutto il suo splendore da una nuvola rossa di tramonto e ne fu subito inghiottita, il cielo si tinse di cremisi, poi d'oro e infine si rabbuiò. Da un momento all'altro, dalla vita alla morte.

“Bello, neh?”

“Sì, Katsumata-sama, così triste e così bello, si. Ah, hanno portato il tè, mi dispiace che ci lasci.”

“Tornerò tra qualche giorno. Hai notizie di Raiko? Sai qualcos'altro dei gai-jin e dei loro piani?” Meikin versò il tè soffermandosi un istante ad ammirare la squisita fattura delle tazze. “Dicono che il principe Yoshi si sia incontrato con il capo dei gai-jin per stringere amicizia con loro.” Gli riferì le informazioni di Furansu-san portategli dal messo di Raiko alcune sere prima, e che fino a quel momento gli aveva taciuto. “Dicono anche che lo stesso giorno il dottore gai-jin di Kanagawa abbia visitato in segreto, qui a Edo, il tairò dandogli delle medicine gai-jin. Ho sentito che è migliorato.”

“Baka” commentò lui con disprezzo.

“Sì. Quel dottore va fermato. La fonte di Raiko dice che tornerà per visitare di nuovo il tairò domani o dopodomani.”

“So ka?” Katsumata raddoppiò l'attenzione. “Dove, nel castello?” Meikin scosse il capo.

“No. E questo il bello, all'esterno delle mura, nel palazzo di Zukumura l'Idiota, come la volta scorsa.”

Lui fece una smorfia. “Una magnifica occasione, Meikin, un'occasione rara.

Proprio come per Utani, non credi? Che tentazione. L'eco dell'omicidio di Utani risuona ancora in tutto il Giappone! E Hiraga, lo hanno preso?”

“No, il capo dei gai-jin ha lasciato andare Akimoto, e anche Takeda è ancora al sicuro.” Lei lo guardò cercando di indovinare i suoi pensieri, poi aggiunse sotto voce: “Ci sono altre due cose che devi sapere. Anche il principe Yoshi era presente all'incontro tra il dottore e il tairò, con una scorta di poche guardie. Ho sentito che ci tornerà”. Nonostante la stanza fosse in penombra, Meikin vide un lampo di violenza illuminare gli occhi del sensei e ne fu terrorizzata.

“Yoshi e Anjo insieme, quei due cani all'esterno delle mura insieme?

Eeeh, Meikin, è eccezionale!” Katsumata tremava per l'emozione. “Sei in grado di scoprire con esattezza quando verrà il dottore?”

Con una segreta speranza lei si chinò e sussurrò: “Aspetto un altro messaggero questa sera. Raiko non avrà certo sottovalutato l'importanza che un'occasione simile può rappresentare per noi, per tutti noi, di pareggiare i conti”.

Sarebbe stata davvero una possibilità irripetibile. Katsumata si accigliò.

“Non posso fermarmi ad aspettare e nemmeno tornare più tardi.

Quando è avvenuto l'incontro precedente?”

“Di prima mattina.” Il suo volto si imbronciò, poi si rasserenò. “Meikin, tutti gli shishi ti ringrazieranno. Se l'incontro è stato fissato per domani avvisami immediatamente, sono alla Locanda dei Cieli Azzurri, vicino al ponte di Nihonbashi.” Si inchinarono, entrambi, almeno per il momento soddisfatti.

 

Il ponte di Nihonbashi alla periferia di Edo veniva considerato la prima stazione della Tokaidò e nei dintorni vi erano una decina di alberghi più o meno costosi.

Era una serata buia e fredda, il cielo era coperto di nuvole e la mezzanotte ancora lontana. La Locanda dei Cieli Azzurri era tra le più povere, un anonimo e cadente edificio a due piani che si affacciava su un misero vicolo e con i servizi, le cucine e alcune stanze indipendenti che davano sul giardino posteriore.

Avvolto in una tunica imbottita per difendersi dal freddo, Katsumata era seduto in meditazione sulla veranda di una di queste stanzette e si godeva il giardino ben curato, in contrasto con tutto il resto.

Lanterne colorate tra piante preziose sulle rive di un ruscello, un ponticello, il rilassante e amichevole suono dell'acqua che sgocciolava, il rumore gradevole della coppa di bambù montata su una leva che cadeva contro una pietra, si riempiva d'acqua e si svuotava ripetendo la sequenza sotto il getto di una cascata in miniatura. La silenziosa guardia del corpo si fermò un attimo, annuì per dire che tutto andava bene e proseguì la ronda intorno alla locanda.

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