Gai-Jin (153 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Con minuziosa attenzione.

Solo Raiko era abbastanza fidata per esaminare quelle parti che lei non poteva vedere e che erano ancora senza macchia. “Esaminarsi tutti i giorni è troppo, Hinodeh” le aveva detto la mama-san prima di accettare quella clausola del contratto. “Potrebbe non succedere niente per molti anni...”

“Spiacente, Raiko-san. Tutti i giorni. E' una condizione.”

“Ma perchè accetti questo contratto, Hinodeh? Tu hai un futuro nel nostro Mondo.

Forse non raggiungerai la prima classe ma sei una donna educata, la tua mama-san dice che una lunga lista di clienti si è dichiarata soddisfatta di te, dice che ti potresti sposare con un ricco mercante o un coltivatore o un armaiolo, che sei una donna ragionevole e non rifiuteresti mai un buon contratto matrimoniale.”

“Grazie per la tua preoccupazione per me, Raiko-san, ma hai concordato con la mia mama-san che non mi avresti interrogato né avresti cercato di indagare nel mio passato, né cercato ragioni per la mia scelta.

In cambio dividerai con lei una percentuale di tutto quello che guadagnerò quest'anno e forse anche l'anno prossimo. Lasciami ribadire ancora una volta che l'unica ragione per cui accetto questo contratto è che desidero accettarlo.”

Oh sì, lo desidero e mi ritengo molto fortunata.

Hinodeh aveva ventidue anni.

Era nata in una fattoria alle porte di Nagasaki nella provincia dello Hizen nell'Isola Meridionale, e all'età di cinque anni era stata invitata nel Mondo Fluttuante da un'intermediaria, una delle molte che battevano le campagne alla ricerca di bambine che avessero i requisiti per diventare geisha, donne cioè educate alle arti e che non fossero semplici netsujo-jin, donne per la passione.

I genitori di Hinodeh avevano accettato ricevendo denaro e un pagherò cambiario per il pagamento di cinque anni, valido a partire da dieci anni dopo, il cui ammontare dipendeva dai successi della bambina.

Hinodeh non aveva ottenuto grandi risultati come donna d'arte, né al samisen né nel canto né come danzatrice o attrice, al contrario, ebbe successo come donna di passione fin dal suo debutto, avvenuto all'età di quindici anni, ed essendo educata meglio delle sue coetanee da subito era diventata importante per la mama-san. A quell'epoca si chiamava Gekko, Raggio di Luna, e benché vi fossero molti stranieri a Nagasaki, lei non ne conobbe mai alcuno perchè la sua casa era aperta soltanto a giapponesi di alto livello.

Durante il mese di ottobre, il mese senza dei, ricevette un nuovo cliente. Il ragazzo aveva soltanto un anno più di lei, diciotto, ed era un goshi, figlio di un goshi, un comune spadaccino, un comune soldato, ma che a lei sembrò l'uomo dei suoi sogni. Si chiamava Shin Komoda.

La loro passione fiorì.

Malgrado la mama-san cercasse di mettervi freno, il giovane era povero, e i suoi conti restavano insoluti, niente di ciò che disse o fece ebbe effetto. Sino alla primavera dell'anno successivo. Senza dire nulla a Gekko, la mama-san si recò a casa del giovane, si chinò di fronte alla madre e chiese cortesemente di essere pagata.

La madre prese tempo: non aveva il denaro.

Al giovane fu proibito di rivedere Gekko. Apparentemente ubbidì ai genitori, ma dentro di lui nulla di ciò che essi avevano detto o fatto ebbe effetto.

Dopo una settimana i due giovani scapparono insieme facendo perdere le loro tracce nella popolosa zona del porto. Cambiarono i loro nomi e con il denaro che lei era riuscita a risparmiare e i gioielli, si pagarono un passaggio in terza classe a bordo di una nave costiera che salpava quel giorno per Edo.

La settimana seguente Shin Komoda venne disonorato pubblicamente nel suo villaggio natale e dichiarato ronin. La mama-san tornò a trovare la madre del ragazzo.

Era una questione di faccia, di onore che i conti del figlio fossero pagati. La madre non aveva niente, l'unica cosa di qualche valore e di cui potersi vantare era la sua bellissima chioma.

Ottenuto il permesso dal marito, si recò a Nagasaki da un artigiano che confezionava parrucche.

L'uomo comperò i capelli senza esitare. Il denaro fu appena sufficiente per pagare i conti del figlio.

Ma la questione d'onore era stata sistemata.

A Edo, con pochissimi soldi, Gekko e Shin riuscirono a trovare un alloggio sicuro nei bassifondi cittadini. Un prete buddista li sposò. Per due giovani senza documenti, con un passato inesistente alle spalle, la vita era difficile, quasi impossibile; tuttavia per un anno vissero felici in isolamento e in povertà.

Niente importava loro perchè potevano rifugiarsi l'uno tra le braccia dell'altra. Il loro amore diede un frutto, ma il denaro risparmiato da lei era finito e la paga di lui era appena sufficiente a sfamarli, l'unico lavoro che Shin era riuscito a trovare infatti era quello di guardiano in un bordello di infima categoria, che non si trovava neppure all'interno dello Yoshiwarai, e tuttavia nemmeno questo importava.

Niente importava finché erano insieme. Stavano sopravvivendo. E lei teneva le loro due stanzette immacolate, e le aveva trasformate in un palazzo e in un santuario per lui e per il bambino e per quanto lei insistesse a offrirsi di tornare a lavorare, lui continuava a rifiutare: “Mai!

Mai, mai più un altro uomo ti toccherà, giuralo!”.

E lei giurava.

Quando il loro bambino ebbe un anno, Shin venne ucciso in una rissa.

Con la sua morte la vita per lei perse ogni significato.

Una settimana più tardi la mama-san del bordello le fece un'offerta.

Gekko la ringraziò e rifiutò dicendo che sarebbe tornata a casa, a Nara.

Al mercato acquistò una candela nuova, rossa, e quella notte, mentre il bambino dormiva, l'accese e restò a guardarla e a riflettere fino a quando la fiamma si spense.

Implorò gli dei, promettendo che all'ultimo bagliore della fiamma avrebbe deciso qual era la cosa migliore da fare per suo figlio, e chiese aiuto per prendere la decisione giusta.

La fiamma si era spenta da un pezzo e la decisione era stata presa.

Una decisione semplice: avrebbe mandato il figlio dai genitori di Shin.

E ci sarebbe andato solo.

Lei avrebbe finto di aver commesso con Shin jinsai, il doppio suicidio rituale, per chiedere perdono ai genitori di lui per il dolore che avevano patito. Affinché il bambino fosse accettato doveva portare con sé denaro sufficiente al suo mantenimento almeno per un anno, preferibilmente due.

Doveva essere ben vestito e viaggiare con una balia fidata, e per questo servivano altri soldi. Soltanto a queste condizioni il bambino avrebbe potuto ottenere ciò che gli spettava per diritto ereditario, il rango di samurai. Inoltre non aveva alcun senso obbedire a un giuramento fatto a un morto quando c'era in gioco il futuro di un bambino.

L'indomani mattina lasciò il bambino da una vicina e con i suoi ultimi averi comperò al mercato dei ladri il miglior kimono che riuscì a trovare e un parasole, poi, ormai senza soldi, andò da un buon parrucchiere vicino alle porte dello Yoshiwara.

Qui barattò un mese di guadagni in cambio dell'acconciatura più moderna, di un massaggio al corpo e al viso, manicure, pedicure e informazioni.

Le informazioni costarono un altro mese di guadagni.

Nel pomeriggio varcò le porte dello Yoshiwara e si diresse senza indugi verso la Casa del Glicine.

La mama-san aveva abiti e acconciatura perfetti, il trucco leggermente troppo pesante, quasi una maschera, gli occhi gentili con i clienti, che però potevano diventare duri come il granito in un istante, occhi che facevano tremare di paura le sue ragazze e profumava delle più costose fragranze che tuttavia non riuscivano a celare del tutto l'odore intenso del sakè.

Quella mama-san si chiamava Meikin.

“Spiacente, ma non posso accettare donne senza documenti né passato” disse.

“Qui siamo molto rispettosi delle leggi.”

“Sono onorata di sentirlo, signora, tuttavia io una storia ce l'ho e con il tuo aiuto ne potremo inventare un'altra che soddisfi anche il più indagatore degli ufficiali Bakufu mentre io soddisfo il suo pisello, se mai riesco a trovarlo.” Meikin rise ma i suoi occhi rimasero seri. “Quale educazione hai ricevuto e dove? E come ti chiami?”

“Mi chiamo Hinodeh. Il dove non è importante, in quanto al come...” Gekko le raccontò degli studi per diventare geisha e del fallimento nel soddisfare le aspettative dei suoi insegnanti.

Poi dell'addestramento pratico, dei clienti avuti e del loro numero.

“Interessante. Ma spiacente, io non ho spazio qui, Hinodeh” ripeté la mama-san con esagerata gentilezza.

“Torna domani, farò qualche indagine e magari un'amica ti potrà accettare nella sua casa.”

“Spiacente, ma vorrei chiederti di ripensarci,” insisté Gekko, certa che l'indomani con una scusa o un'altra non sarebbe più stata ricevuta.

“La tua casa è la migliore, e la più fidata.” Strinse i denti, e pregando che l'informazione fosse esatta, con un filo di voce aggiunse: “Anche gli shishi lo sanno”.

Il colore lasciò le guance della mama-san anche se la sua espressione non mutò. “Tu e il tuo amante siete scappati di casa e poi lui ti ha abbandonata?” le chiese con grande calma.

“No, signora.”

“Allora è morto.”

“ Si, signora.”

“Hai dei figli?”

“Uno.” La mama-san sospirò. “Un figlio. E vive con te?”

“E con la famiglia di suo padre.”

“Quanti anni ha?”

“Un anno e tre mesi.” Meikin aveva fatto portare il tè e l'avevano bevuto in silenzio.

Gekko tremava dentro, temendo che la sua minaccia si fosse spinta troppo oltre e certa che l'altra si stesse chiedendo da dove le venisse l'informazione e come mai lei, una straniera, cosa già abbastanza pericolosa in sé, ne fosse venuta a conoscenza, o se non fosse per caso una spia dello shògunato.

Se fossi un spia, ragionò Gekko, non direi mai una cosa simile, perlomeno non al primo incontro.

Infine la mama-san disse: “Non credo che tu possa restare da me, Hinodeh, ma ho una sorella con un'ottima casa nella via accanto. Dovrai fare qualcosa in cambio di questa presentazione”.

“Ti ringrazio umilmente in anticipo per avermi aiutato.”

“Innanzitutto devi giurare che scaccerai tutti i cattivi pensieri dalla tua mente per sempre.”

“Lo giuro sulla mia vita.”

“Giuralo su quella di tuo figlio.”

“Sulla vita di mio figlio.”

“Secondo, che diventerai una signora del nostro mondo come si deve, tranquilla, obbediente e meritevole di fiducia.”

“Lo giuro sulla mia vita e su quella di mio figlio.”

“Terzo... Il terzo punto può aspettare fino a quando non sapremo se mia sorella accetterà di aiutare la persona seduta davanti a me.” Il terzo punto riguardava l'aspetto economico, gli accordi tra le due mama-san. Venne sistemato con soddisfazione da parte di tutti. Hinodeh si accordò con la vicina che si sarebbe occupata di suo figlio in cambio di una paga. Lei sarebbe andata a trovarlo di nascosto ogni due settimane, durante la sua mattina libera.

La bugia che aveva raccontato a Meikin non era del tutto una bugia perchè ben presto il bambino sarebbe partito.

In breve divenne famosa nella Casa ma i clienti non bastavano mai.

I conti del parrucchiere, della massaggiatrice, del sarto non le lasciavano molti risparmi.

L'esistenza di suo figlio era nota ormai a entrambe le mama-san che l'avevano fatta seguire fin dal primo giorno. Non gliene parlarono mai ma furono comprensive.

Poi un giorno la sua mama-san l'aveva mandata a chiamare e le aveva parlato del gai-jin che avrebbe pagato, e in anticipo, una cifra sufficiente a mandare il bambino incontro al suo futuro con abbastanza denaro per più di due anni di mantenimento e per garantire che arrivasse sano e salvo al luogo di destinazione.

Hinodeh aveva accettato subito.

Dopo la prima atroce notte avrebbe voluto mettere fine alla sua vita perchè il cliente era troppo bestiale.

Aveva pianto e implorato ma, implacabile, Raiko gliel'aveva impedito perchè l'accordo era che niente del genere accadesse per un mese almeno. Fortunatamente ebbe tempo a sufficienza per riprendersi e organizzare una strategia.

La sua tecnica aveva conquistato la Bestia, come lei lo chiamava tra sé, e per il momento sembrava addirittura aver fatto di lui un altro uomo. Adesso era docile, piangeva spesso, e richiedeva passione in tutte le sue aberrazioni, ma sotto le sue maniere dolci e piacevoli lei sapeva che la violenza era pronta a esplodere.

Nella bella casetta silenziosa Hinodeh aspettava, i nervi tesi. Appena lui bussava alla sua porta, la maiko si precipitava ad avvertirla. Aveva ancora tempo, quindi si sedeva nella posizione del Loto in meditazione zen.

Dopo poco era pronta.

Accoppiarsi con la Bestia era sopportabile. E strano com'è diverso, pensò, costruito in modo molto diverso dagli uomini civilizzati, ma privo della loro fermezza e della loro forza.

Così diverso da Shin, che era morbido e dolce e forte insieme. Stranamente, in suo marito non c'era traccia dell'antenato gai-jin, Anjinsan, che due secoli e mezzo prima, con il nome di Komoda, si era stabilito con la nuova famiglia a Nagasaki. La prima famiglia viveva a Izu dove lui costruiva navi per il suo signore e padrone, lo shògun Toranaga.

Ringrazio gli dei per quell'antenato, perchè grazie a lui nacque il mio Shin e mio figlio sarà samurai.

Sorrise felice.

Il bambino era in viaggio da quasi tre settimane in compagnia di due domestici fidati. Alla loro custodia aveva affidato un ordine di pagamento per il Gyokoyama a nome della madre di Shin per un ammontare pari a quasi tre anni di mantenimento, per il bambino e per i nonni.

Ho pensato a tutto, si disse Hinodeh con fierezza. Ho fatto il mio dovere verso nostro figlio, Shin-sama. Ho protetto il tuo onore. Tutto è a posto. Persino l'ultima domanda di Raiko, prima di stabilire la clausola finale del contratto con la Bestia, aveva avuto una risposta: “Per finire, Hinodeh, come vuoi che disponga del tuo corpo?”.

“Gettalo su un mucchio di letame, per quello che me ne importa, Raiko-san; è già contaminato, gettalo in pasto ai cani. “

Capitolo 42


 

Yokohama, Martedì, 9 dicembre

 

Nella luce che precedeva l'alba, la lancia della Struan si allontanò velocemente dalla fregata Pearl affrettandosi verso il loro molo.

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