Gai-Jin (130 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Con tutto se stesso desiderava fuggire e con tutto se stesso desiderava possederla ancora, in ogni modo, anche in modo peggiore di allora, a qualsiasi costo. Si odiava. Meglio morire e farla finita, ma prima la voglio. Devo possederla.

Si sfilò le scarpe e scostò la porta. Lei era inginocchiata esattamente come la prima volta, con lo stesso abito, lo stesso sorriso, la stessa bellezza, la stessa mano delicata che lo invitava ad accomodarsi, la stessa voce gentile: “Il sakè è come mi hanno detto che piace a te. Non riscaldato. Lo bevi sempre così?”.

André rimase a bocca aperta. Gli occhi di Hinodeh, che quando lui l'aveva lasciata erano così pieni di odio, ora gli sorridevano con la timida dolcezza del primo momento. “Cosa?” Come se non avesse mai pronunciato prima quelle parole, lei le ripeté con il medesimo tono: “Il sakè è come mi hanno detto che piace a te.

Non riscaldato. Lo bevi sempre così?”

“Io, io sì” rispose quasi senza sentirsi.

Lei sorrise.

“E' strano bere cose fredde in inverno. Il tuo cuore è freddo sia in inverno che in estate?”

Lui ripeté come un pappagallo le risposte della loro prima volta, non gli costava alcuna difficoltà ricordarne parole e gesti, incisi indelebilmente nella sua memoria.

Parlava come un automa, ma Hinodeh sembrò non notarlo, e continuò come prima con quel suo sguardo obliquo e calmo.

Tutto come allora.

“Vuoi mangiare qualcosa?”

“Per ora, per ora non ho fame.” Hinodeh sorrise, poi sospirò e si alzò. Ma questa volta abbassò le lampade a olio, andò nella camera da letto che lui aveva profanato e spense tutte le luci.

Appena gli occhi si furono abituati al buio, André vide che dagli shoji della veranda filtrava una fioca luce, appena sufficiente per scorgere la sagoma del corpo di Hinodeh che si stava spogliando.

Dopo qualche istante udì il fruscio delle coperte scostate dai futon.

Quando fu in grado di alzarsi, la raggiunse nell'altra stanza e si inginocchiò accanto al letto: ormai aveva capito che lei cercava di salvargli la faccia, di cancellare ciò che non avrebbe mai potuto essere cancellato.

“Dalla mia mente non potrà mai essere cancellato, mai” mormorò disperato tra le lacrime, “non so se per te sarà lo stesso, Hinodeh, ma io non potrò mai dimenticarlo. Spiacente, molto spiacente. Mon Dieu.

Vorrei, oh come vorrei...”

“Nan desu ka, Furansu-sama?”

Gli ci volle qualche minuto per poter parlare in giapponese, poi balbettò: “Hinodeh, devo... devo ringraziarti. Ti prego, scusami, sono molto spiacente ...”.

“Non c'è nulla di cui dispiacersi.

Cominciamo questa notte.

E' questo il nostro inizio.”

Capitolo 36


 

Mercoledì, 3 dicembre

 

Hiraga colse un fugace riflesso nella vetrina del negozio del macellaio e non si riconobbe.

I passanti di High Street lo guardavano appena.

Arretrò per guardare meglio il nuovo travestimento.

Cilindro, colletto alto e cravatta, finanziera di lana scura con le spalle ampie e segnata in vita, panciotto di seta blu attraversato dalla catena d'acciaio dell'orologio da tasca, pantaloni stretti e stivali di pelle.

Tranne l'orologio, dono di Tyrer, erano tutti regali del governo di Sua Maestà per i servizi resi.

Hiraga si tolse il cappello e si osservò.

Ora i capelli gli coprivano la nuca e sebbene non fossero lunghi come quelli di Phillip Tyrer lo stile poteva considerarsi europeo.

Era ben rasato. La qualità e il basso prezzo dei rasoi della Legazione lo avevano strabiliato, fornendogli un'ennesima dimostrazione dell'ottima qualità dei manufatti britannici.

Sorrise alla propria immagine soddisfatto del travestimento, poi si sfilò l'orologio e lo ammirò. Segnava le undici e sedici minuti. Come se sedici minuti fossero importanti, pensò con disprezzo. Tuttavia era soddisfatto d'aver imparato a leggere il tempo dei gai-jin tanto in fretta.

Ho imparato molto. Non basta ancora, ma non va male.

“Volete comprare una bella coscia di montone australiano, è arrivata congelata con il postale, signore, o volete della bella pancetta affumicata di Hong Kong?”

Il macellaio aveva un'enorme pancia, braccia grandi come cannoni e il grembiule macchiato di sangue.

“Oh!” Hiraga scorse i pezzi di carne, le interiora e la selvaggina appesi dietro la vetrina e assediati da un nugolo di mosche. “No, no grazie. Stavo solo guardando. Buongiorno signore” disse nascondendo il ribrezzo.

Si rimise il cappello in testa un pò di sghimbescio, come faceva Tyrer, e proseguì lungo High Street verso il villaggio, scoprendosi cortesemente quando incrociava i pedoni o i cavalieri che ricambiavano puntualmente il suo saluto.

Se ne compiacque, eppure non aveva niente in comune con le abitudini giapponesi, con le forme di riconoscimento degli uomini civili.

Stupidi. Solo per il fatto che indosso i loro vestiti e comincio a camminare come loro pensano che io sia cambiato. Per me loro sono ancora nemici, anche Taira. E' stupido da parte di Taira cambiare idea su Fujiko, cosa gli sarà venuto in mente? Mi scombussola i piani.

Hiraga vide Malcolm uscire zoppicando dall'edificio Struan con Jamie McFay e la donna di Ori. Parlavano animatamente.

La scena richiamò alla sua memoria l'incontro con il numero due della Nobil Casa. Era ancora scombussolato da tutte quelle informazioni sull'economia occidentale, oltre che svuotato dalle informazioni che McFay gli aveva estorto sugli usurai e sui mercanti di riso come il potente Gyokoyama.

“Jami-sama, forse per voi possibile incontrare qualcuno di loro, in segreto” aveva detto disperato pur di sfuggirgli. “Io farò da interprete, in segreto.” Lo shoya lo aspettava. Intuendone il desiderio di conoscere le nuove informazioni, Hiraga prese tempo e accettò il massaggio che gli veniva offerto.

Poi, vestito con una vera yukata e, con davanti a sé un buon pranzo a base di riso, calamari secchi, sottili filetti di spigola appena pescata condita con soia, daikon rafano, e sakè, finalmente disse di essersi incontrato con importanti gai-jin che avevano risposto alle sue domande. Sorseggiò il sakè senza anticipare altro.

Per informazioni così preziose era necessario un incoraggiamento. E qualcosa in cambio.

“Che novità ci sono da Kyòto?”

“La situazione è molto strana” rispose lo shoya cogliendo la possibilità che gli veniva data. “I miei padroni mi hanno informato che lo shògun e la principessa sono arrivati sani e salvi tra le mura del palazzo. Ci sono state altre tre imboscate agli shishi da parte degli uomini di Ogama... no, molto spiacente, ancora non so quanti di loro siano stati uccisi.

Il principe Ogama e il principe Yoshi praticamente non si muovono più dalle loro fortezze... Ma i samurai dello shògunato adesso controllano le Porte, come in passato.”

Hiraga sgranò gli occhi. “Davvero?”

“Sì.

Otama-sama.” Lo shoya si compiacque che avesse abboccato.

“Stranamente, a poca distanza dalle Porte, sono dislocati picchetti segreti di samurai di Ogama, e i rispettivi capitani si incontrano in segreto.” Hiraga grugnì. “Curioso.” Lo shoya annuì e, da buon pescatore qual era, diede lo strappo. “Ah sì, per voi forse non è importante, ma i miei signori credono che i due shishi di cui vi ho parlato, Katsumata e Takeda, lo shishi choshu, siano fuggiti da Kyòto e stiano viaggiando sulla Tokaidò.”

“Verso Edo?”

“I miei padroni non lo hanno specificato. Ovviamente sono notizie senza importanza.” Lo shoya sorseggiò il sakè, segretamente divertito dallo sforzo di Hiraga di nascondere un bruciante interesse.

“Ogni cosa che riguarda gli shishi può essere rilevante.”

“Ah, in tal caso... anche se non è saggio riferire le voci” disse lo shoya con finto imbarazzo, valutando che fosse giunto il momento di tirare a riva il suo pesce, “nelle locande di Kyòto si dice che alla prima imboscata sia scappato anche un terzo samurai. Una donna, una donna samurai esperta nell'arte dello shuriken... che vi prende, Otami-sama?”

“Niente, niente.” Hiraga si sforzò di mantenere il controllo. Una sola donna samurai nella scuola di Katsumata possedeva quell'arte.

“Cosa dicevate, shoya? Una donna di lignaggio samurai sarebbe scappata?”

“E' solo una voce, Otamisama. Sciocchezze. Sakè?”

“Grazie. Si sa altro di questa donna?”

“No. Una fesseria del genere non meriterebbe neppure di essere riferita.”

“Forse potreste scoprire se c'è del vero in quella stupida voce. Mi piacerebbe saperlo. Prego.”

“In tal caso...” disse lo shoya con voce umile e mielata, notando la grande concessione di quel “prego”. “Il Gyokoyama è onorato di prestare un servizio a voi e alla vostra famiglia, preziosi clienti.”

“Grazie.” Hiraga finì il suo sakè. Sumomo era a Kyòto con Katsumata...

Dove sarà adesso, perchè non è andata a Shimonoseki come le ho ordinato, cosa faceva, e se è scappata adesso dov'è?

Con grande fatica mise da parte tutti i possibili interrogativi e si concentrò per contraccambiare quelle informazioni. Tirò fuori una manciata di appunti e cominciò a spiegare, semplicemente, ripetendo quanto sentito, ciò che Taira e “Mukfey” gli avevano raccontato per ore. Lo shoya ascoltava attento, contento che la moglie nascosta dietro lo shoji stesse prendendo nota di ogni parola.

Dopo che Hiraga si fu cimentato a parlare di prestiti e operazioni finanziarie e bancarie che a lui stesso rimanevano in gran parte oscuri, lo shoya, impressionato dalla memoria e dall'intelligenza del giovane nel cogliere ciò che gli era totalmente alieno, disse con serietà: “Notevole, Otami-sama”.

“C'è un'altra questione importante.” Hiraga respirò a fondo.

“Mukfey dice che i gai-jin hanno una specie di mercato, shoya, una borsa valori dove le uniche merci che vengono scambiate, comprate o vendute, sono piccoli pezzi di carta stampata chiamati azioni o titoli che in qualche modo equivalgono al denaro, a un'immensa quantità di denaro, e ogni azione appartiene a una società per azioni, una compagnia.” Sorseggiò il tè. Notando che lo shoya non capiva, respirò profondamente e cominciò a spiegare: “Poniamo che Ogama affidi tutto il feudo di Choshu, tutta la terra e i prodotti della terra a una società per azioni, la Choshu Società per Azioni, e decida di dividere la società in diecimila parti uguali, diecimila azioni, capite?”.

“Io... credo di sì. Proseguite, prego.”

“Dunque, il valore della Choshu Società per Azioni è di diecimila azioni. Poi, il daimyo, rappresentante della società per azioni, offre tutte o parte delle azioni a qualcuno in cambio di denaro. Questi riceve un pezzo di carta che dice quante azioni della Choshu Società per Azioni ha comprato, e così entra in possesso della Choshu Società per Azioni per una quota corrispondente al denaro versato.

Il denaro che lui e altri versano alla compagnia diventa il suo capitale, si, credo che Mukfey abbia chiamato così il denaro che serve a gestire e arricchire la compagnia, a pagare gli stipendi, a bonificare terreni o comprare armi, sementi, nuove barche da pesca e qualsiasi cosa necessiti per migliorare e far prosperare Choshu. Per aumentare il valore della Choshu Società per Azioni.

“Mukfey ha spiegato... In qualsiasi mercato, e questo, shoya, lo sapete bene anche voi, i prezzi cambiano, e in tempi di carestia cambiano anche da un giorno all'altro. Lo stesso accade alla borsa valori, che riunisce centinaia di compagnie diverse, con i compratori e i venditori. Se il raccolto di Choshu è immenso, il valore di ogni parte della Choshu Società per Azioni sarà molto alto, se c'è carestia, basso. Così varia anche il valore di ogni azione. Capite?”

“Credo di sì” rispose cauto lo shoya, che in verità aveva capito molto bene. Era assai soddisfatto e avrebbe voluto conoscere più particolari.

“Bene.” Hiraga era stanco, ma apprezzava quel labirinto di nuove idee anche se a volte vi si perdeva.

Per parte sua non aveva mai contrattato in un mercato o in una locanda, perchè aveva sempre pagato la cifra richiesta senza esitare, e mai in vita sua aveva discusso il prezzo di una merce o l'ammontare di un conto, almeno prima di diventare un ronin. I conti di un samurai venivano sempre spediti a chi riceveva il suo stipendio, quindi, non essendo sposato, alla madre.

Le faccende riguardanti lo scambio di denaro erano competenza delle donne, non degli uomini.

I samurai mangiavano, si vestivano e si armavano con quello che le donne, madri, zie, nonne, sorelle o mogli, compravano con il loro stipendio. Se lo stipendio veniva a mancare, il samurai e la sua famiglia soffrivano la fame, oppure l'uomo diventava un ronin o ancora rinunciava volontariamente al rango di samurai per diventare contadino, operaio o, peggio, mercante. “Shoya” disse accigliato. “Sul mercato del cibo e del pesce i prezzi variano.

Ma chi stabilisce i prezzi?”

La corporazione dei pescatori e dei contadini, avrebbe potuto rispondere lo shoya, o più spesso i mercanti, i veri padroni dei prodotti, avendo prestato il denaro per acquistare reti o sementi. Ma era troppo prudente per rispondere, la sua energia era totalmente convogliata nello sforzo di restare calmo di fronte a una simile mole di preziosissime informazioni, seppur incomplete.

“Se la pesca è abbondante, costano meno e viceversa. Dipende dalla pesca, o dal raccolto.” Hiraga annuì, pur essendo certo che lo shoya avesse dato una risposta reticente, parziale o ambigua. Dai mercanti e dagli usurai non ci si può aspettare di più, pensò, e decise all'istante di sospendere ogni eventuale incontro tra Mukfey e lo shoya e di rimandare l'ultima parte della lezione sulla società per azioni, quella che per qualche misteriosa ragione lo affascinava di più: che il fondatore di una società per azioni, cioè, potesse decidere quante azioni riservare a se stesso, senza pagarle, e se queste ammontavano al cinquantun per cento del totale aveva il potere sulla compagnia.

Ma perché...

All'improvviso capì: Senza esborso, si può diventare lo shògun di una compagnia, e quanto più grande è una compagnia tanto più potente è lo shògun... senza esborso!

Quando sonno-joi avrà vinto, pensò, noi, il Consiglio dei samurai chiederemo all'imperatore di consentire solo al Consiglio di formare le società per azioni, così, finalmente, avremo il controllo su tutti i parassiti, i mercanti e gli usurai!

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