Gai-Jin (58 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Cosa dice l'uomo?” chiese Tyrer.

Simulando un grande tremore ma con tutti i sensi all'erta Hiraga rispose a bassa voce: “E' un uomo cattivo... vuole entrare, per... per rubare i vostri fucili”.

“Ah, si, entrare. Perché?”

“Vuole... fare una perquisizione.”

“Non capisco. Cosa vuol dire “perquisizione”?”

“Cercare. Vuole guardare nella vostra casa, dovunque.”

“Si, capisco che vuole entrare.

Perché?”

“Ve l'ho detto, per guardare...”

“Tu, giardiniere” gridò il samurai. Hiraga, investito dall'ira della sua voce, sobbalzò. Per la prima volta in vita sua, al centro dell'attenzione dei samurai là fuori, in ginocchio davanti a un gai-jin, con la testa avvolta da un rozzo turbante e coperta da un cappello che se gli fossero stati tolti avrebbero rivelato la fronte rasata e il codino da samurai, fu improvvisamente assalito dalla paura.

“Tu, giardiniere” gridò ancora l'ufficiale scuotendo il cancello, “di' a questo idiota che voglio solo cercare gli assassini, gli shishi assassini!” Disperato, Hiraga mormorò: “Taira-sama, il samurai vuole entrare per guardare tutti. Ditegli che siete in partenza, dopo potrà entrare”.

“Non capisco. Ukiya, vai laggiù a dirglielo!” Tyrer indicò il cancello.

“Digli di andarsene, andarsene per bene!”

“Non posso, non posso” sussurrò Hiraga, tentando di non perdere il controllo e reprimere la nausea.

“Phillip” intervenne Pallidar che aveva il retro dell'uniforme rigato di sudore.

“Cosa diavolo sta tentando di dirti?”

“Non lo so.” L'atmosfera diventava sempre più tesa. L'ufficiale scosse ancora il cancello, ripeté la richiesta di entrare e i suoi uomini si avventarono sulle sbarre per assecondarlo. Obbligato a intervenire, Pallidar si fece avanti e salutò freddamente. Altrettanto freddamente l'altro rispose con un inchino.

Poi, con calma, Pallidar disse: “Questa è una proprietà britannica.

Vi ordiniamo di andarvene pacificamente o saremo costretti a ricorrere alla forza”.

L'ufficiale lo fissò senza capire, poi con le parole e con i gesti ripeté l'intimazione di aprire il cancello, e in fretta.

“Andatevene!” Senza voltarsi, Pallidar gridò: “Dragoni! Ai posti di combattimento!” Subito i dieci dragoni avanzarono compatti e si schierarono in due file di fronte al cancello. Gli uomini della prima fila si inginocchiarono, poi tutti levarono le sicure, caricarono i fucili e puntarono. Scese il silenzio. Pallidar slacciò lentamente il fodero. “Andatevene!”

L'ufficiale reagì con una risata che contagiò tutti i samurai presenti nella piazza. Erano centinaia, e li vicino ne avrebbe trovati a migliaia e poco lontano altre decine di migliaia.

Nessuno di loro aveva mai visto la carneficina che pochi valorosi e disciplinati soldati britannici potevano provocare con i loro veloci e maneggevoli fucili a retrocarica.

La risata si spense velocemente com'era cominciata. Entrambi gli schieramenti attendevano che l'altro facesse la prima inevitabile mossa.

La tensione era allo spasimo. Sarà uno scontro all'ultimo sangue, shi kiraku beki, Dio santissimo, Namu Amida Butsu...

Hiraga lanciò un'occhiata furtiva a Tyrer e lo vide interdetto, impotente.

Lo maledisse sapendo che da un momento all'altro l'ufficiale sarebbe stato costretto a dare l'ordine di attacco per difendere l'onore della bandiera contro la crescente minaccia che veniva dall'esterno.

In Hiraga scattò l'istinto di sopravvivenza e senza neppure accorgersi di quello che stava per fare giocò il tutto per tutto. Si sentì mormorare in inglese: “Per favore, fiducia, per favore dite: Sencho... dozo...” Non aveva mai fatto capire prima a Tyrer di conoscere la sua lingua.

L'inglese infatti lo fissò a bocca aperta. “Cosa? Hai detto “fiducia”?” Spintosi ormai troppo in là per tornare indietro, con il cuore in gola, sperando che i due ufficiali accanto fossero troppo concentrati su quanto accadeva all'esterno per udirlo, Hiraga si sforzò di pronunciare le parole nel migliore dei modi. “Per favore, calmo. Pericolo! Fingere parole vostre. Dire: Sencho, dozo shizuka ni... Dire!”

Sconvolto dalla paura, aspettò, ma quando si rese conto che la tensione dei samurai all'esterno era sul punto di esplodere sibilò ancora in inglese, questa volta in tono perentorio: “Dire parole subito! Subito! Sencho... dozo shizuka ni...“.

Tyrer ubbidì meccanicamente.

“Sencho, dozo shizuka ni...” E continuò a ripetere fedelmente tutto quello che Hiraga gli suggeriva ignaro del significato delle parole, confuso dal fatto che il giardiniere conoscesse l'inglese e persino incerto che quello che stava vivendo non fosse un brutto sogno.

Tuttavia si rese conto che le parole sortivano un certo effetto. L'ufficiale intimò alla piazza di fare silenzio e la tensione diminuì.

Ora il samurai lo ascoltava con attenzione, limitandosi solo a dire di quando in quando: “Hai, wakatta”. Si, capisco. Ritrovato un pò di coraggio Tyrer si concentrò su Hiraga e sul samurai. Il suo discorso terminò improvvisamente. “Domo.”

L'ufficiale cominciò a rispondere. Hiraga attese che finisse e mormorò: “Scuotere testa. Dire Iyé, domo, inchinare veloce, tornare casa.

Ordinare me venire”.

Tyrer scosse la testa con decisione. “Iyé, domo!” disse con importanza e nel silenzio attonito che lo circondava si avviò verso l'edificio della Legazione. Poi improvvisamente si fermò, confuso, si voltò e gridò in inglese “Ukiya! Vieni... oh, Cristo.” Cercò disperato la parola giapponese, la trovò e chiamò: “Ukiya, isogi!”.

Muovendosi nello stesso modo impacciato di prima, Hiraga lo seguì.

In cima ai gradini della veranda, piegandosi come il più umile dei servitori e volgendo la schiena agli sguardi dei presenti, disse pianissimo: “Per favore, ordinare tutti gli uomini adesso calma. Veloce dentro casa, per favore”.

Ubbidiente, Tyrer gridò: “Capitano Pallidar, ordinate agli uomini di sciogliersi, ora, uhm, il pericolo è finito!“.

Una volta al sicuro nella Legazione, il livido sollievo di Tyrer si trasformò in ira. “Chi sei, cosa diavolo ho detto, eh?”

“Spiego dopo, Taira-san. Samurai vogliono cercare te, tutti uomini, per prendere fucili” rispose Hiraga incespicando nelle parole, ancora sconvolto dalla paura. Adesso stava eretto e guardava l'altro diritto negli occhi, consapevole che il pericolo non era affatto finito. “Capitano molto arrabbiato, vuole fucili, prendere fucili, cercare... nemico di Bakufu. Tu detto. “No, capitano, kinjiru, cercare proibito.

Oggi io e uomini parte, poi voi cerca. Adesso no, kinjiru. Noi parte con armi. Kinjiru, proibito fermare noi.

Grazie. Ora preparo partire per Yokohama.”

“Ho detto questo?”

“Sì. Per favore, ora uscire ancora, con rabbia ordina me e giardinieri tornare al lavoro. Parola hataraki-mashoi” disse Hiraga inquieto. “Parla dopo, in segreto, voi e io, si?”

“Si, ma non da soli, con un ufficiale presente.”

“Così io no parla, spiacente.“

Dopo quello scambio durato pochi secondi, Hiraga riprese l'abituale atteggiamento servile, uscì dalla stanza e si inginocchiò ancora davanti a Tyrer con la schiena rivolta verso il cortile.

Confuso, Tyrer tornò sulla veranda e scoprì che tutti erano rimasti immobili ai loro posti. “Capitano Pallidar e, uhm, capitano McGregor, ordinate agli uomini di sciogliere le fila e per favore raggiungetemi per un colloquio. Hataraki-mashoi! Ikimasho! Rimettevi al lavoro! Presto!” gridò ai giardinieri.

Gli ubbidirono tutti subito. Con grande sollievo Hiraga corse a mettersi in salvo in giardino mormorando ai giardinieri di coprirlo, mentre gli ufficiali e i sergenti impartivano gli ordini ai soldati e la vita riprendeva a scorrere con un ritmo più normale.

Tyrer, in piedi sulla veranda, non riusciva a distogliere lo sguardo da Hiraga, inorridito al pensiero che fosse una spia e nel contempo grato che li avesse salvati.

“Volevi parlare con noi?” chiese Pallidar interrompendo i suoi pensieri.

“Oh! Oh, sì... per favore, seguitemi.” Li condusse in ufficio, chiuse la porta e riferì loro ciò che aveva detto al samurai.

Entrambi si congratularono. “Maledettamente efficace, Phillip” disse Pallidar. “Per un attimo ero sicuro che ci sarebbe stato uno scontro, e Dio solo sa come sarebbe andata a finire. Quelle canaglie in realtà erano troppe, alla fine ci avrebbero sopraffatti. Alla fine però. Poi ovviamente la flotta ci avrebbe vendicati, ma noi intanto saremmo diventati concime per le margherite, una prospettiva davvero poco divertente.”

“Molto poco divertente” borbottò il capitano McGregor. Poi guardò Tyrer.

“Cosa volete fare adesso, signore?” Tyrer esitò, stupito che nessuno dei due avesse sentito Hiraga parlare inglese e contento del prestigio guadagnato da quell'episodio: era la prima volta che McGregor lo chiamava “signore”.

“Ci conviene eseguire l'ordine di sir William. Ordinate a tutti di fare i bagagli ma non deve sembrare una vergognosa ritirata, non possiamo concedere loro di impadronirsi dei nostri fucili, che sfacciataggine!, né lasciare che pensino che questa sia una fuga. Usciremo di qui... uhm... con la banda e con grande pompa.”

“Perfetto, dopo avere cerimoniosamente ammainato la bandiera.”

“Ottimo! Bene, ora... devo sistemare tutti i documenti nelle scatole, eccetera.”

“Se permettete, signore...” disse McGregor, “credo che vi siate meritato un buon bicchiere di champagne. Ci dev'essere ancora qualche bottiglia.”

“Grazie.” Tyrer sorrise soddisfatto. “Ma forse è meglio festeggiare con una doppia razione di rum” suggerì in accordo con la migliore tradizione marinara. “E anche mangiare qualcosa, così dimostriamo di non avere fretta di scappare.”

“Me ne occupo subito” disse McGregor.

“Una bella pensata chiamare in aiuto il giardiniere; a volte le sue parole sembravano quasi inglese. Ma perchè volevano perquisire la Legazione?”

“Per trovare... per cercare i nemici della Bakufu.” I due uomini lo fissarono stupiti. “Ma se è così, qui non ci sono giapponesi, a parte i giardinieri.” Tyrer sobbalzò per quell'evidenza che incastrava Ukiya, ma fu subito distratto da Pallidar che protestava. “Non lascerai che perquisiscano la nostra Legazione, vero? Sarebbe un pericoloso precedente.” Il buonumore di Tyrer svanì, ovviamente Pallidar aveva ragione.

“Maledizione, non ci avevo pensato!” McGregor ruppe il silenzio. “Forse, forse prima di partire, signore, potreste invitare l'ufficiale samurai a fare un giro di ispezione nella Legazione insieme a noi, non c'è niente di male a invitarlo. Nel frattempo potrà controllare i giardinieri, o magari li faremo uscire prima di partire e chiudere i cancelli.”

“Un compromesso perfetto” esultò Pallidar.

 

Hiraga, sporco e sudato, strappava le erbacce vicino a una porta secondaria della Legazione, sotto la finestra aperta. Il sole del tardo pomeriggio era ancora caldo.

I bagagli venivano ordinatamente impilati su alcuni carretti, i cavalli strigliati e i primi soldati erano già schierati nel cortile in ordine di marcia. Le sentinelle pattugliavano le mura di cinta.

Fuori dal recinto i samurai, ancora minacciosi, stavano ammassati all'ombra del parasole o vagavano senza meta.

“Adesso!” gridò Tyrer dall'interno della stanza. Hiraga si accertò di non essere osservato, sgattaiolò tra i cespugli e aprì la porta. Subito Tyrer gli fece strada lungo il corridoio fino a una stanza che si affacciava sul cortile e chiuse la porta a chiave. Dalle tende che coprivano le finestre sprangate filtrava la luce del sole.

L'ufficio era spoglio, arredato solo con alcune sedie e una scrivania su cui era posata una pistola e decine di rotoli di documenti e fascicoli. Tyrer si sedette dietro la scrivania e indicò una sedia. “Prego, accomodati.

Ora dimmi chi sei.”

“Prima, segreto che io parlo inglese, si?” Hiraga rimase ritto in piedi, con un aspetto vagamente minaccioso.

“Prima dimmi chi sei e poi deciderò.”

“No, spiacente, Taira-san. Io utile a voi, già salvato uomini. Molto utile. Vero?”

“Sì, vero. Perché vuoi che rimanga segreto?”

“Salvo io... e salvo voi.”

“Io cosa c'entro?”

“Forse non saggio avere... come si dice, ah, si, segreto altri gai-jin non sa. Io molto utile voi. Aiuto imparare lingua, aiuto imparare Giappone.

Io dico verità a voi, voi dite verità a me, voi aiuta me, io aiuto voi.

Quanti anni, per favore?”

“Ventuno.” Hiraga nascose la sorpresa e gli sorrise da sotto la falda del cappello: gli era molto difficile stabilire l'età dei gai-jin, si assomigliavano tutti.

La pistola che quello stupido nemico teneva sul tavolo non gli incuteva alcun timore perchè avrebbe potuto ucciderlo a mani nude prima che riuscisse a impugnarla.

E' facile ucciderlo, una grande tentazione, e questo posto è perfetto, potrei scappare senza problemi, ma poi, una volta fuori, non mi sarebbe altrettanto facile sfuggire ai samurai. “Segreto?”

“Chi sei? Il tuo nome non è Ukiya, vero?”

“Promette segreto?” Tyrer respirò a fondo, soppesò le conseguenze e vide comunque davanti a sé soltanto guai. “D'accordo.” Gli si fermò il cuore quando Hiraga estrasse la lama dal bordo del cappello e si maledì per la sventatezza che lo aveva spinto a esporsi a un simile rischio. “Ormai è fatta” mormorò.

“Cosa?”

“Niente.”

Hiraga si punse un dito e gli porse il pugnale.

“Ora tu, per favore.” Tyrer esitò, sapendo già quello che sarebbe seguito, ma fedele alla decisione presa alzò le spalle e ubbidì. Hiraga avvicinò solennemente il proprio dito a quello di Tyrer per suggellare il patto di sangue. “Giuro davanti dei mantiene segreto su voi. Per favore, dite stessa frase davanti Dio cristiano, Taira-san.”

“Giuro davanti a Dio di mantenere il segreto su di te finché potrò” disse Tyrer con gravità, chiedendosi dove lo avrebbe portato quel patto.

“Dove hai imparato l'inglese? In una scuola di missionari?”

“Hai, ma io non cristiano.” Meglio non raccontargli delle nostre scuole Choshu, pensò Hiraga, né di Grande Puzza, l'olandese che ci insegnava l'inglese e diceva di essere stato un prete prima di diventare pirata.

Dire la verità o mentire a Taira è irrilevante, è un gai-jin, un capo poco importante dei nostri principali nemici stranieri, devo usarlo, non concedergli nessuna fiducia, odiarlo e poi ucciderlo. “Mi aiuti a scappare?”

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