Paradiso (64 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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E parranno a ciascun l’opere sozze

               
del barba e del fratel, che tanto egregia   

   

138
         
nazione e due corone han fatte bozze.

               
E quel di Portogallo e di Norvegia   

               
lì si conosceranno, e quel di Rascia

141
         
che male ha visto il conio di Vinegia.

               
O beata Ungheria, se non si lascia   

   

               
più malmenare! e beata Navarra,

144
         
se s’armasse del monte che la fascia!

               
E creder de’ ciascun che già, per arra   

               
di questo, Niccosïa e Famagosta

               
per la lor bestia si lamenti e garra,

148
         
che dal fianco de l’altre non si scosta.”   

PARADISO XX

               
Quando colui che tutto ’l mondo alluma   

               
de l’emisperio nostro sì discende,

3
             
che ’l giorno d’ogne parte si consuma,

               
lo ciel, che sol di lui prima s’accende,

               
subitamente si rifà parvente

6
             
per molte luci, in che una risplende;   

               
e questo atto del ciel mi venne a mente,

               
come ’l segno del mondo e de’ suoi duci   

9
             
nel benedetto rostro fu tacente;

               
però che tutte quelle vive luci,

               
vie più lucendo, cominciaron canti

12
           
da mia memoria labili e caduci.

               
O dolce amor che di riso t’ammanti,   

               
quanto parevi ardente in que’ flailli,

15
           
ch’avieno spirto sol di pensier santi!

               
Poscia che i cari e lucidi lapilli   

               
ond’ io vidi ingemmato il sesto lume

18
           
puoser silenzio a li angelici squilli,   

               
udir mi parve un mormorar di fiume   

               
che scende chiaro giù di pietra in pietra,

21
           
mostrando l’ubertà del suo cacume.

               
E come suono al collo de la cetra   

               
prende sua forma, e sì com’ al pertugio

24
           
de la sampogna vento che penètra,

               
così, rimosso d’aspettare indugio,

               
quel mormorar de l’aguglia salissi

27
           
su per lo collo, come fosse bugio.

               
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi

               
per lo suo becco in forma di parole,

30
           
quali aspettava il core ov’ io le scrissi.   

               
“La parte in me che vede e pate il sole   

   

               
ne l’aguglie mortali,” incominciommi,

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“or fisamente riguardar si vole,

               
perché d’i fuochi ond’ io figura fommi,   

               
quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,

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e’ di tutti lor gradi son li sommi.

               
Colui che luce in mezzo per pupilla,   

   

               
fu il cantor de lo Spirito Santo,

39
           
che l’arca traslatò di villa in villa:

               
ora conosce il merto del suo canto,   

               
in quanto effetto fu del suo consiglio,

42
           
per lo remunerar ch’è altrettanto.

               
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,   

               
colui che più al becco mi s’accosta,

45
           
la vedovella consolò del figlio:

               
ora conosce quanto caro costa

               
non seguir Cristo, per l’esperïenza

48
           
di questa dolce vita e de l’opposta.   

               
E quel che segue in la circunferenza   

               
di che ragiono, per l’arco superno,

51
           
morte indugiò per vera penitenza:

               
ora conosce che ’l giudicio etterno   

               
non si trasmuta, quando degno preco

54
           
fa crastino là giù de l’odïerno.

               
L’altro che segue, con le leggi e meco,   

               
sotto buona intenzion che fé mal frutto,

57
           
per cedere al pastor si fece greco:

               
ora conosce come il mal dedutto

               
dal suo bene operar non li è nocivo,

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avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.

               
E quel che vedi ne l’arco declivo,   

               
Guiglielmo fu, cui quella terra plora

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che piagne Carlo e Federigo vivo:

               
ora conosce come s’innamora

               
lo ciel del giusto rege, e al sembiante

66
           
del suo fulgore il fa vedere ancora.

               
Chi crederebbe giù nel mondo errante   

               
che Rifëo Troiano in questo tondo

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fosse la quinta de le luci sante?   

               
Ora conosce assai di quel che ’l mondo

               
veder non può de la divina grazia,

72
           
ben che sua vista non discerna il fondo.”

               
Quale allodetta che ’n aere si spazia   

   

               
prima cantando, e poi tace contenta

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de l’ultima dolcezza che la sazia,

               
tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta

               
de l’etterno piacere, al cui disio

78
           
ciascuna cosa qual ell’ è diventa.

               
E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio   

   

               
lì quasi vetro a lo color ch’el veste,

81
           
tempo aspettar tacendo non patio,

               
ma de la bocca, “Che cose son queste?”

               
mi pinse con la forza del suo peso:

84
           
per ch’io di coruscar vidi gran feste.

               
Poi appresso, con l’occhio più acceso,   

               
lo benedetto segno mi rispuose

87
           
per non tenermi in ammirar sospeso:

               
“Io veggio che tu credi queste cose

               
perch’ io le dico, ma non vedi come;

90
           
sì che, se son credute, sono ascose.

               
Fai come quei che la cosa per nome   

               
apprende ben, ma la sua quiditate   

93
           
veder non può se altri non la prome.   

               
Regnum celorum
vïolenza pate   

               
da caldo amore e da viva speranza,

96
           
che vince la divina volontate:

               
non a guisa che l’omo a l’om sobranza,   

               
ma vince lei perché vuole esser vinta,   

99
           
e, vinta, vince con sua beninanza.

               
La prima vita del ciglio e la quinta

               
ti fa maravigliar, perché ne vedi

102
         
la regïon de li angeli dipinta.

               
D’i corpi suoi non uscir, come credi,   

               
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede

105
         
quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.

               
Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede   

               
già mai a buon voler, tornò a l’ossa;

108
         
e ciò di viva spene fu mercede:   

               
di viva spene, che mise la possa

               
ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,

111
         
sì che potesse sua voglia esser mossa.

               
L’anima glorïosa onde si parla,

               
tornata ne la carne, in che fu poco,

114
         
credette in lui che potëa aiutarla;

               
e credendo s’accese in tanto foco

               
di vero amor, ch’a la morte seconda

117
         
fu degna di venire a questo gioco.

               
L’altra, per grazia che da sì profonda   

               
fontana stilla, che mai creatura

120
         
non pinse l’occhio infino a la prima onda,

               
tutto suo amor là giù pose a drittura:   

               
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse

123
         
l’occhio a la nostra redenzion futura;

               
ond’ ei credette in quella, e non sofferse

               
da indi il puzzo più del paganesmo;

126
         
e riprendiene le genti perverse.   

               
Quelle tre donne li fur per battesmo   

               
che tu vedesti da la destra rota,

129
         
dinanzi al battezzar più d’un millesmo.

               
O predestinazion, quanto remota   

               
è la radice tua da quelli aspetti

132
         
che la prima cagion non veggion
tota
!

               
E voi, mortali, tenetevi stretti

               
a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,   

135
         
non conosciamo ancor tutti li eletti;

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